sComunica contro gli stereotipi della comunicazione e dell’informazione. Viviana Tiso: «La società attorno a noi li ha già superati»

by Antonella Soccio

Si chiama sComunica, l’evento della sCommunity inclusiva in programma sabato 13 Aprile 2024 (dalle 9.00 alle 17.30) a Foggia, presso Laltrocinema.

Ideato, realizzato e prodotto da We Hate Pink, Red Hot, ArciGay Le Bigotte e Assunta di Matteo Consigliera di parità della provincia di Foggia, sComunica è un format inedito che coniuga professionalità, esperienze di vita e storie di discriminazione, il tutto in un contesto territoriale complesso.

L’evento B2B dedicato alle professioni dell’industria creativa ha l’obiettivo di scardinare gli stereotipi nella comunicazione commerciale, istituzionale e giornalistica, concentrandosi su tre temi: genere, LGBTQI+ e meridionalismo.

«L’idea è nata un anno fa da una chiacchierata, c’è stato un primo confronto tra me e Rossella Forlè, legato al genere, che ormai è un concetto che si è allargato, tutte e due lavoriamo nel mondo del marketing con le agenzie, fornendo consulenze. Sul tema dei pregiudizi e degli stereotipi ci sono una serie di iniziative istituzionali e non, però noi volevamo stimolare la parte dei professionisti che si devono relazionare con le aziende e gli enti pubblici. Volevamo capire quanto siamo consapevoli e quanto siamo in grado di cambiare strategia», racconta a Bonculture Viviana Tiso, creativa e fondatrice di We Hate Pink insieme a Rossella Forlè.

Quando parla di strategia Tiso è precisa: non è solo l’effetto di una campagna, ma l’essere efficaci.

Una campagna è efficace se «si relazione con la realtà», spiega.

«Il format di sComunica non riguarda solo le donne, riguarda molti temi, ci siano confrontate con Arcigay, con la consigliera di parità, con Red Hot ognuno era portatore di un punto di vista. Lorenzo Trigiani è stato bravissimo e subito ha colto il senso del nostro agire attraverso una di quelle frasi tipiche che si dicono, ossia auguri e figli maschi, che si riferisce ad una priorità dei ruoli».

Quali sono gli stereotipi più comuni nella pubblicità e nell’informazione?

«Banalmente quelli degli standard della raffigurazione dei generi: l’uomo va a lavorare, la donna ha essenzialmente un ruolo di cura, è uno stereotipo che la società attorno a noi ci dice che è superato. Un altro esempio classico è quello quando passa Capodanno e si parla delle vittime dei botti e viene citata sempre Napoli, quando la regione con i maggiori danni è l’Emilia Romagna. Ma quello è un tipo di informazione utile per gli stereotipi: i meridionali devono essere esagerati, incivili».

Anni fa il sociologo Onofrio Romano, allievo di Franco Cassano, scrisse un saggio sull’informazione stereotipata e negativa nei confronti del Sud, è colpa dei giornalisti se abbiamo cliché sul Sud?

«Io ritengo di sì, lo pensiamo tutti, tutti noi siamo responsabili dell’immaginario che costruiamo, noi influenziamo il modo in cui le persone pensano la realtà. Nella comunità Lgbtqi+ per una persona che non è binaria, o trans non sentirsi rappresentata significa non essere presente. Ma la società attuale è molto più variopinta. Noi vogliamo dare degli input di comunicazione».

Tiso ascolta anche le obiezioni di chi contrasta un certo politically correct con molta cautela, da una parte per lei sono una resistenza, all’altra manifestano un fattore di controllo, un feedback esterno.

Da osservatori del reale We Hate Pink e gli altri si avvalgono di diversity lab, un osservatorio che studia la percentuale di rappresentazione della della diversità attraverso il volume delle parole chiave.

Nel mondo imprenditoriale gli episodi di pink washing e rainbow washing sono innumerevoli e come rimarca Tiso «sono i primi a non soddisfare strategia e target».

Sono tante le campagne, da Chicco a Trussardi Kids, che contemplano la diversità ma trasportano bimbi di altre culture dentro il mondo del brand. Con una inclusione che sembra spesso una annessione posticcia all’estetica bianca.

Ma Tiso aggiunge: «In questa ottica c’è anche da dire, che per un brand è inevitabile analizzare il proprio target, se io mi rendo conto che il mio target non è più composto solo da famiglie bianche, ma aumenta la percentuale di famiglie nere, devo cercare di rappresentare anche il mio nuovo target. Uno dei casi che aprirà il panel sulla discriminazione di sComunica è il brand di occhiali Police, che ha analizzato la nuova mascolinità e come sta cambiando il sentimento maschile rispetto ai canoni classici dell’uomo che non deve chiedere mai. Alle spalle di quella campagna c’è un anno di strategie, con investimenti importanti e un budget forte di studi sulla nuova idea di virilità dei giovani. Essere un grande brand significa avere un peso, si può prendere il lusso di cambiarli i trend perché li determina. Noi abbiamo voluto rivolgerci alle piccole e medie aziende, abbiamo voluto decentrare la conversazione su questi temi, portarla in una città come Foggia, in cui ci sono delle dinamiche diverse. Quello che ci aspettiamo è stimolare e cercare di lasciare delle ispirazioni anche per le imprese del territorio e per le istituzioni, che spesso hanno l’abitudine a pensare che dovendo parlare a tutti debbano essere super partes, ma si rischiano di peccare di mancanza di efficacia. Non voler dire nulla di troppo estremo finisce per essere poco efficace».

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