The elephant man: “Si ha paura solo di ciò che non si conosce”

by Tommaso Campagna

1980. David Lynch dirige il suo secondo film dopo aver sbalordito la critica internazionale con ‘Erashead – la mente che cancella’, tre anni prima. Dalle proiezioni riservate ai midnight’s movies alle sale di tutto il mondo, Lynch diventa, all’età di 34 anni, un cineasta tra i più celebrati nel mondo dopo essere stato un oscuro pittore, innamorato di Francis Bacon. Anne Bancroft conosce la storia di Joseph Merrick, ‘freak’ vissuto nell’età vittoriana, prima fenomeno da baraccone, quindi accettato nella London Society (divenne addirittura beniamino della regina Vittoria, la ‘nonna d’Europa’) e, infine, catapultato nuovamente in sordidi ambienti in mercé di gente priva di scrupoli.

Il marito della grande attrice era un certo Mel Brooks, che decide di produrlo. Prova prima a convincere Terence Malick che aveva girato, fino ad allora, solo due film, capolavori (‘La rabbia giovane’ e ‘I giorni del cielo’). Ma Malick rifiuta (aspetterà vent’anni prima di rimettersi dietro la macchina da presa).

Brooks vede ‘Erashead’ e non ha più dubbi: la storia dell’uomo elefante deve diventare un film di David Lynch. Viene girato come un classico, in un magnifico b/n con la fotografia del grande Freddie Francis. Furono scritturati interpreti d’eccezione: Anthony Hopkins nella parte del dott. Treves, Sir John Gielgud nella parte del direttore dell’ospedale, in un primo tempo scettico poi estimatore di Merrick, la stessa Bancroft, ovviamente, nella parte della celebre attrice Kendall e John Hurt che si sottopose ad interminabili sedute di trucco per entrare nei panni di Joseph Merrick.

Lynch, infatti, ottenne il permesso di avere i calchi dell’uomo elefante dal Royal London Hospital ove Merrick fu ospitato per alcuni anni. Il film è ancor oggi il maggior successo e il maggior incasso di David Lynch, autore dell’inconscio, della profondità dell’animo umano. Ottiene 8 nominations agli Oscar ma non ne vince nessuno. Quell’anno vincerà “Ordinary people” di Robert Redford. Brooks dirà: “Tra dieci anni ‘gente comune’ sarà solo la risposta ad un gioco di società, ma la gente andrà ancora nei cinema a vedere “The elephant man”. Non si sbagliava: sono passati 40 anni e ancora ammiriamo questo straordinario film.

The elephant man è un film sullo sguardo, quello ‘scientifico’ conteso tra filantropia e vampirismo (il dott. Treves non è in fondo diverso dall’abominevole Bytes), quello della ‘commiserazione’ della buona società londinese, quello ‘crudele’ del popolo morbosamente innamorato dei freak show (splendido l’omaggio sul finale di Lynch a Tod Browning, autore di quell’incredibile, modernissimo, “Freaks” del 1932 da rivedere assolutamente, magari sempre al Santa Chiara).

Un film di genere? Forse, ma un film che ribalta le regole del genere: l’incontro con il “mostro” non scatena il nostro terrore ma il suo, “perché racconta la paura di Merrick di far paura” (come ha scritto Emanuela Martini). Un uomo alla disperata ricerca di quella normalità che un destino crudele gli ha negato. 

Joseph Carey Merrick (5.08.1862 – 11.04.1890), fu affetto da neurofibromatosi e dalla sindrome di Proteo (abnorme crescita di pelle, tessuti, organi in alcune parti del corpo con escrescenze tumorali diffuse), una patologia genetica, forse la più rara delle malattie rare (ad oggi se ne conoscono 200 casi in tutto il mondo). Prende il nome dal dio della trasfigurazione della mitologia greca Proteo, da cui l’aggettivo ‘proteiforme’ ad indicare un oggetto dalla diversa e contorta morfologia. 

Nato a Leicester da Joseph Rockley Merrick e Mary Jane Potterton, iniziò a mostrare segni di deformità all’età di due anni. Il corpo di Merrick era interamente e grottescamente deformato dalla malattia, esclusi i genitali ed il braccio sinistro. Nella sua tormentata infanzia subì anche una brutta caduta e si ruppe la gamba sinistra: la famiglia, essendo povera, non poté pagare le cure mediche, così Joseph dovette rassegnarsi a vivere con la gamba storpia non solo per effetto della malattia, ma anche per la frattura mai risanatasi. Sua madre, Mary Jane, morì quando lui aveva 11 anni e, secondo i ricordi della famiglia, era anche lei zoppa. Joseph, rimasto orfano di madre, fu costretto a vivere con il padre, Joseph, e la matrigna; ma la donna, padrona della casa e con figli propri, non gradiva la presenza del ragazzo deforme e lo abbandonarono. 

Cacciato di casa, il ragazzo riuscì a sopravvivere vendendo lucido da scarpe in strada, dove era costantemente infastidito dai bambini del vicinato che lo seguivano facendosi beffe delle sue malformazioni. Per la maggior parte della gioventù fu disoccupato, trovò infine lavoro come fenomeno da baraccone. Venne trattato decentemente e riuscì ad accumulare una piccola somma di denaro. Quando nel 1886 i freak show furono dichiarati fuori legge nel Regno Unito, si trasferì in Belgio in cerca di un’occupazione simile ma, sfortunatamente, venne maltrattato e in seguito abbandonato dal presentatore del suo spettacolo.

Dopo aver fatto ritorno a Londra, fece amicizia con il dottor Frederick Treves, che aveva conosciuto alla stazione ferroviaria mentre era affetto da una grave infezione bronchiale. Treves, medico dell’ospedale di Whitechapel, divenuto in seguito Royal London Hospital, procurò a Joseph un letto permanente in ospedale e fu, probabilmente, l’unica persona che il giovane ebbe la fortuna di conoscere, capace di offrirgli un concreto affetto. Merrick, dopo quella sistemazione, visse gli anni più sereni della sua vita fino a divenire una sorta di celebrità presso l’alta società vittoriana e addirittura un favorito della regina Vittoria. 

Il dottor Treves testimoniò, in seguito, che Joseph desiderò sempre, anche dopo essersi stabilito nel Royal London Hospital, di trasferirsi in un istituto per ciechi: sperava in questo modo di trovare una donna che non fosse spaventata dal suo aspetto. L’infelice cercò sollievo nella scrittura, con componimenti sia in prosa che in poesia e venne curato all’ospedale fino alla morte avvenuta l’11 aprile 1890 all’età di 27 anni. Morì a causa di un soffocamento, apparentemente accidentale, durante il sonno. Merrick era impossibilitato a dormire orizzontalmente a causa del peso della testa, e quindi era costretto a giacere seduto con la schiena sorretta. La notte del decesso potrebbe aver tentato, intenzionalmente, di dormire disteso cercando di imitare un comportamento normale: riposare nella stessa posizione usata dalle persone care a lui più vicine. Questa ipotesi è stata ripresa anche dal film di David Lynch che abbiamo avuto la fortuna di vedere e rivedere ieri al Santa Chiara. Grazie al Rettore dell’Università, prof. Limone, e al Presidente della Fondazione Apuliafelix, prof. Volpe.

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