Abolire i telegiornali. O imporre “quote bianche” di good news

by Davide Leccese

Proponendo una riflessione sul filo del paradosso, bisognerebbe abolire i telegiornali o quantomeno limitarne la visione ad un pubblico adulto, capace di distinguere tra la necessità di cronaca – quasi sempre nera – e l’idea di un mondo dove i cattivi e le “cose brutte” non hanno il sopravvento della notorietà rispetto ai buoni e alle “cose belle”.

E’ invece una gara forsennata a raccontarci ogni forma di nefandezza, tutte le grandi e piccole tragedie, da quelle della strada accanto a quelle dei luoghi più lontani o sperduti della terra.

E se sotto i regimi dittatoriali era vietata la diffusione della benché minima negatività – privata o pubblica – perché a nessuno venisse in mente di incolpare il lìder maximo del tempo (per questo i nostri nonni dicevano, convinti, che prima queste cose non succedevano), oggi sembra che la stampa si sia data, come regola, il comportamento contrario.

C’è chi lo fa a ragion veduta perché s’inietti il virus del “Piove, governo ladro”, ma c’è chi, sempre sulla stessa logica, accusa comunque l’avversario di essere la causa – ereditata – di quel che oggi succede. La politica – ha scritto ironicamente qualcuno – è come lavare le finestre. Non importa da quale parte sei, lo sporco è sempre dall’altra parte.

Esiste, poi, una sorta di autodifesa, estesa persino ai colpevoli: rarissimamente si sente dire, dalla gente intervistata, che il delinquente, l’assassino, il mariuolo, il pirata della strada aveva già dato evidenti segni di anormalità: un bravo ragazzo, un bravo figlio, una persona dabbene. Eppure questi quotidiani scannamenti, questi ubriachi al volante, questi eroinomani di basso o alto bordo ci vivono affianco e, con le loro colpe, ci rubano la scena, balzando agli onori della cronaca. La gente fatta ammodo, quella esclusa dalla cronaca, zitta zitta paga il prezzo con questa immondizia a piene mani.

Così, per scendere nei fatti di casa nostra, si sta generando una arrabbiata ritrosia a dire che siamo di Foggia; il più delle volte troveremo il solito cretino, ritornato da chissà quale paradiso sociale, che chiede “Cosa sta succedendo dalle vostre parti…con tutti questi omicidi!”

Tutti bravi, prima, a meno che non si tratti di un extracomunitario, di uno zingaro che, se anche non c’è sul posto del reato, lo si va a trovare nei buchi neri della nostra fantasia malata, lì dove abbiamo messo l’orco e il lupo cattivo, sempre opportuni per tacitare la nostra coscienza avvizzita, i nostri compromessi che recitano “Io mi faccio i fatti miei”.

Ad ogni modo, come si sono chieste le cosiddette “quote rosa”, per garantire la presenza delle donne nei “luoghi che contano”, così si dovrebbe imporre all’informazione una sorta di “quote bianche”, di notizie buone, serene, che rispecchiano i gesti semplici e puliti, forse anche eroici nella quotidianità, della stragrande maggioranza dei cittadini.

Ma, per realizzare questo sogno depurativo della notizia, occorre che anche il fruitore cominci a rimettere ordine nei suoi gusti, non lasciando varchi alla sensazione diffusa di volere a tutti i costi sapere di violenza, di marciume, di egoismi, di imbecilli a buon mercato. Se così si atteggiasse la gente per bene e “comune” non troverebbero spazio il Fabrizio Corona di turno che, passati nel turbine della cronaca rosa-nero, si vantano di essere diventati più ricchi e richiesti proprio grazie alla notorietà acquisita dai fattacci di cui è accusato.

Il triste è che questa è una società che ha negato il valore delle vie di mezzo, la saggia e fraintesa “aurea mediocritas”: o sei diavolo o sei santo; basterebbe essere gente che si barcamena per migliorare e non si vergogna dei suoi limiti. Massimo Troisi, emblema di questo vissuto che si arrampica nella fatica coraggiosa della quotidianità, ha scritto: “Ma tra un giorno da leone e cento da pecora, non se ne potrebbero fare cinquanta da orsacchiotto?”, invitandoci, da buon napoletano, a leggere il valore del tappeto non solo dalla trama ufficiale ma soprattutto dall’intreccio dei nodi nella parte posteriore. Sono questi pazienti fili con fili che disegnano la nostra esistenza e quante figure sarebbero diverse se avessimo la pazienza di programmare scene rispettose della nostra dignità umana, portando orgoglioso vanto di essere gente comune, gente che non ha mai avuto bisogno e voglia di dire o di pensare: “Ma lei non sa chi sono io”!

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