Catty Vick, la balena bianca

by Raffaella Passiatore

C’era una volta, non tanto tempo fa, un giovane e promettente politico di nome Giona.

Era un tipo tutto d’un pezzo, si distingueva per caparbietà ed intransigenza e un’eccellente capacità oratoria. Un giorno lo chiama per telefono il suo capo, il presidente del suo partito.

“Pronto?”

“Pronto, Giona, sono io”.

“Ah, ciao, dimmi”.

“Giona, devi andare a fare dei comizi nel Paese dei Balocchi”.

“No! Io in quella città non ci vado! Gli abitanti di quella città sono centoventimila asini depravati e, come se non bastasse, alle ultime elezioni non ci hanno dato manco un voto!”

“Giona, proprio per questo ti dico che devi andare  nel Paese dei Balocchi e tenere lì un comizio, vedrai che le cose cambieranno. Dobbiamo convincerli a credere in noi, a votarci e…”

“No, no e no! Io non ci vado, quelli non ci meritano, sono tutti corrotti, andrebbero invece castigati; se fosse per me rimetterei in vigore la legge del taglione, anzi la pena capitale gli ci vorrebbe!”

“Giona, non te lo ripeterò un’altra volta; vai nel Paese dei Balocchi e fa’ quanto ti ordino, altrimenti ti faccio passare i guai! Parti domani stesso con l’aereo!”

Giona, testardo, non dette retta al suo capo e, anzi, pensò di fuggire. Per far perdere le sue tracce pensò d’imbarcarsi, sotto falso nome, su una baleniera diretta in Brasile. Il viaggio non sarebbe stato comodo come su una nave da crociera ma più sicuro per mantenere l’anonimato; chi avrebbe pensato di andare a cercarlo su una baleniera? La baleniera eseguiva, a prezzi modici, un trasporto viaggiatori verso l’oceano Atlantico.

Mentre Giona cercava la baleniera al porto, s’imbatté in uno strano personaggio, un omino più largo che lungo, tenero ed untuoso come una palla di burro, con un viso deturpato dalla couperose e un naso da beone. Aveva una boccuccia fina e piccola che rideva sempre e una vocina sottile e carezzevole, come quella di un gatto che si raccomanda al buon cuore della padrona di casa:

“Che cerchi, ragazzo mio?”

“La baleniera che salpa fra poche ore per l’Oceano Atlantico, Signore”.

“Chiamami pure Omino di burro, è il soprannome che mi hanno dato, tutti mi chiamano così”. Poi rise facendogli l’occhiolino. Quel risolino infastidì Giona poiché gli sembrò falso.

“Vieni con me, ti ci porto io, io ci lavoro su quella baleniera. Seguimi”.

Giona seguì l’omino.

“Vuoi?” Chiese l’Omino di burro a Giona offrendogli un po’ della sua pagnotta. Ci ho messo la mortadella.

“No, grazie, non mangio carne di maiale”.

“Sarai mica vegano?”

“No, semplicemente non mangio il maiale”.

“E perché? Che male ti hanno fatto i porci?” Disse ancora l’omino seguitando col solito risolino.

“Vede, è una questione religiosa”.

“Ah, capisco, sei ebreo o musulmano?”

“Se non le dispiace vorrei mantenere una certa discrezione circa la mia fede religiosa”.

“Mmhh…Come vuoi. Io sono pastafariano. Siamo ancora in pochi a professare questa fede ma vedrà che presto tutto il pianeta diventerà pastafariano”.

“Beh, devo ammettere che aver fede in un creatore molto simile a degli spaghetti con le polpette non mi sembra proprio una bella prospettiva per l’umanità”.

L’omino rise.

“Io invece ne sono deliziato! Comunque, che Lei ci creda o no, Io sono stato più volte toccato da Sua Santissima Spaghettosa appendice e, una volta, ho anche visto Sua Santità lo Spaghetto volante!”

Gionata, inorridito, si tacque e non disse una parola fino a quando non scorse la baleniera.

“È quella la baleniera?”

“Sì. Siamo arrivati. Ci si vede, Signor…?”

“Call me Pinocchio”.

“Bene, Pinocchio. Arrivederci”.

Detto questo l’omino, sorprendentemente lesto, con due balzi fu sulla nave mentre Giona, o Pinocchio come preferite, si avvicinò al graduato in uniforme che stava in piedi all’entrata.

“Buongiorno, il suo nome prego…”

“Call me Pinocchio”.

“Pinocchio e basta?” Chiese Star Dreck, il primo ufficiale della nave, un tipo alto e magrissimo con un caschetto nero e due strane orecchie a punta.

“Pinocchio e basta”.

“Vabbè, passi, questo è il numero della sua cabina”. Disse Star Dreck porgendo a Giona una targhetta ed una chiave.

Giona che, da questo momento chiameremo sempre Pinocchio, attraversò il ponte cercando la sua cabina.

Incontrò il secondo ed il terzo ufficiale che gli fecero un cenno di saluto.

“Salve”.

“Salve, secondo ufficiale Volpe al Vostro servizio. Cosa posso fare per Voi?”

“Sapreste indicarmi come arrivare alla mia cabina?”

Il secondo ufficiale Volpe dette una lunga boccata alla sua pipa, poi mostrò la targhetta al terzo ufficiale con aria interrogativa. Il terzo ufficiale sorrise mostrando due canini appuntiti, quindi si rivolse direttamente a Pinocchio.

“Salve, sono il terzo ufficiale Gatto, sinceramente non credo che sulla nostra nave ci sia una cabina con quel numero”.

“Cosa significa?” Rispose Pinocchio contrariato.

“Significa quello che ho detto, questa cabina sulla nave non esiste!”

Il secondo Ufficiale Volpe intervenne sorridente ad allentare la tensione.

“Non si preoccupi, Signore, vado subito a chiedere spiegazioni, mi aspetti qui”.

Detto questo, si allontanò in una nuvola di fumo. Pinocchio, indispettito, appoggiò il suo zainetto a terra. In quel momento apparve uno strano personaggio in abiti orientali. Era un grillo e portava un kaftano lungo fino ai piedi a righe gialle e celesti e un chiassoso turbante blu da cui fuoriuscivano le antenne. Aveva uno sguardo inquietante, forse perché si era truccato troppo gli occhi di kajal, ad ogni modo iniziò a fissare Pinocchio.

“Salve, posso fare qualcosa per lei?” Gli chiese Pinocchio a bruciapelo e abbastanza infastidito, mentre quello non smetteva di fissarlo ed anzi gli si avvicinava.

“Posso presentarmi?” Disse il grillo orientale senza distogliere gli occhi da quelli di Pinocchio come se volesse ipnotizzarlo. Pinocchio assentì col capo. L’altro allora, unì indice e medio della mano destra, si toccò prima il cuore, poi le labbra e infine il centro della fronte, quindi percorse per aria un ampio gesto della mano che accompagnò ad un inchino.

“Grillo parlante, per servirLa con il cuore, soprattutto con la lingua e con la mente!”

Pinocchio, un tantino imbarazzato, rispose:

“Piacere, Pinocchio”.

“Oh! Non mi dica! Che nome inequivocabilmente italiano…non sarà un mafioso?!”

“Ma come si permette scusi? Non è che tutti gli italiani sono mafiosi, sa?!”

Grillo parlante ebbe un moto di malcelata noia e poi, facendo strani gesti con le braccia nell’aria sussurrò: “Aria, vento, aura, brezza, vela, io ti chiamo e…”

“Scusi, lasci perdere, su, non abbiamo ancora issato le vele e, a parte questo,non mi piace fumare quando c’è vento!” Intervenne il secondo ufficiale Volpe appena ricomparso, poi rivolto a Pinocchio disse:

“Ho trovato la sua cabina, mi segua!”

“Mille grazie!” Rispose Pinocchio con sollievo e, quando si voltò per salutare Grillo parlante, questi era sparito.

“Non ci faccia caso, è uno strano tipo quello, pare sia un famoso psichiatra, un esperto d’ipnosi. Altri dicono che in realtà sia un grande Maestro della loggia d’oriente, altri ne fanno un illusionista ed altri ancora un cartomante”.

“Di sicuro è un menagramo!” Sentenziò Gatto addentando un panino da cui spuntava da un lato la testa e dall’altra la coda di una grassa sardina.

“Non lo sottovaluterei se fossi in voi, ieri ci ha fatto una testa così: e state attenti agli scogli, e dove sono gli scogli, e guardate bene che non ci siano scogli… Di scogli non se ne vedeva manco l’ombra, poi, di colpo, eccoli spuntare a tribordo! E quasi ci andavamo a sbattere!”

“Ma no, semplicemente è sopraggiunto un maestrale che si è andato ad incrociare col libeccio!” Disse Volpe ridendo.

Così il Gatto e la Volpe scortarono Pinocchio alla sua cabina.

Quando vi giunsero, Pinocchio si rese conto trattarsi di una cella ricavata alla bell’e meglio dividendo una parte della cambusa.

“La cabina è nuova di zecca!” Disse il secondo ufficiale Volpe con un risolino ironico.

“Mmmhhh. Sembra molto fresca”. Aggiunse il terzo ufficiale Gatto, dando un morso che tagliò di netto la testa della sardina che sparì nella sua bocca famelica.

Pinocchio pensò non fosse il caso di discutere, l’importante era arrivare in Brasile mantenendo l’anonimato. Ringraziò, si sistemò lo zaino sulle spalle e scese le scale.

La cabina, o meglio quello sgabuzzino, conteneva un lettuccio dalle coperte unte e bisunte, un tavolino tarlato e una seggiola con le gambe una diversa dall’altra. Un parallelepipedo di compensato con una tenda rammendata fungeva da armadio. Lo stanzino era buio, l’unica presa di luce era una feritoia sul soffitto dalla quale entrava la gelida aria del ponte. Pinocchio cercò di dare un paio di mandate alla porta ma la serratura non aveva chiave. Startreck, da fuori, sentendo trafficare inutilmente, se la rise e gridò a Pinocchio: “Gli usci nelle celle delle prigioni non si possono serrare dall’interno!”

“Quello Star Dreck è veramente un insolente!” Pensò Pinocchio. Poi, tentoni, raggiunse la lampada a olio appoggiata sul tavolo, accese un fiammifero e dette fiamma allo stoppino. Un’immensa ombra s’allargò su per la parete facendolo sobbalzare; pareva lo spettro di un demone! Dal testone spuntavano due corna appuntite e le membra dinoccolate ondeggiavano minacciose. Giona, col cuore in gola afferrò un martello che aveva trovato accanto alla candela, radunò quindi tutte le sue forze, si voltò alzando il martello gridando: “Vade retro Satana!”

Quale fu il suo stupore nel trovarsi davanti l’orientale, quel ridicolo grillo mezzo matto travestito da Pascià!

“Ma che ci fa nella mia cabina?”

“Veramente io abito in questa stanza da più di cent’anni”.  Rispose gentilmente il Grillo Parlante.

“Oggi però in questa stanza ci sto io e, se vuole farmi un vero piacere, se ne vada subito senza nemmeno voltarsi indietro!”

“Io non me ne andrò di qui senza prima averLe detto una gran verità”.

“Me la dica e si spicci”. Rispose seccato Pinocchio, appoggiando lo zainetto sul letto ed iniziando a tirare fuori il pigiama, le pantofole, il kimono, il vaso da notte, l’asciugamano, il pettine, il deodorante, spazzolino e dentifricio, un costume da bagno, un paio di zoccoli del dottor Scholl, un prendisole, una cappello panama, un paio di occhiali da sole, una maschera e due pinne arancioni, una crema solare protezione trenta.

“Bello questo cappello, quando affogherà me lo posso prendere io? Se vuole Le porto carta e penna per il testamento”.

“Ma cosa dice? Affogato ci muoia Lei insieme alle sue sentenze! Era questa la grande verità che doveva dirmi?”

“Veramente no, il cappello mi ha distratto…veramente bello, mi starebbe proprio bene!”

Disse il Grillo afferrando il Panama. Tuttavia Pinocchio reagì subito dopo menandogli una potente martellata sulla mano, o zampa che fosse.

Il Grillo lanciò un verso di dolore e, con voce perentoria, puntando il dito macilento verso Pinocchio, emise la sentenza.

“Guai a quelli che non ubbidiscono ai superiori, che abbandonano capricciosamente il partito! Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente!”

“Canta pure, Grillo mio, come ti pare e piace: ma io so che fra poco salperemo, e fra qualche giorno sarò in Brasile a ballare la samba perché, se rimango qui, avverrà di me quel che avviene a tutti gli altri, vale a dire mi manderanno a raccontare balle ai comizi e, per amore o per forza, mi toccherà incassare qualche mazzetta ed io, a dirtela in confidenza, di ingannare gli elettori -o di racimolare voti da stupidi e depravati che disprezzo- non ne ho punto voglia, e mi diverto di più a correre dietro alle farfalle e a salire sugli alberi e a ballare la samba a Rio de Janeiro!” Questo pensò Giona, ma al Grillo disse tutt’altro, continuando ad ordinare il contenuto del suo zainetto sul letto.

“Guardi, veramente non so di cosa Lei stia parlando, Signor Grillo”.

Il grillo gli si fece vicino. Giona si voltò e vide che il grillo si era tolto il turbante ed infilato un casco giallo da minatore dal cui centro partiva un fascio di luce che lo abbagliò!

“Ma cosa fa?!” Gli gridò, mentre si copriva gli occhi con le mani. Il grillo, dietro un’enorme lente d’ingrandimento, gli scrutava intanto la faccia.

“Ma lei lo sa che il suo naso pende verso sinistra? Permette?” Disse stringendogli il naso tra pollice ed indice e storcendolo verso destra.

“Vede? Non sta…dovrebbe stare così per essere dritto, ma non ci sta, ripiega a sinistra, non c’è dubbio!”

“Ma va?!”

“Sì, non c’è alcun dubbio, pende a sinistra!” Disse il Grillo mollando di colpo il naso.

Pinocchio infilò le mani nello zainetto e, dopo averci rovistato dentro qualche secondo, tirò fuori uno specchio.

“Si metta qui con quella luce, mi faccia vedere…mmhhh…Lei dice? Non me ne ero mai accorto! Pensi in tutti questi anni…ma allora quello che io vedo nello specchio, quello che io credo di essere non è quello che vedono gli altri…ma allora la mia realtà non è la realtà di chi mi guarda e se ognuno mi vede in modo diverso, allora chi sono io? Sono uno? Sono centomila? Sono nessuno?”

“Guardi, Le lascio il mio biglietto da visita, mi venga a trovare, io posso aiutarla, sono un esperto di sdoppiamento della personalità e schizofrenia multipla, svolgo una terapia molto efficace, faccio anche visite a domicilio, nessun problema per me raggiungerla in Brasile o al Paese dei Balocchi, con un balzo e sono da lei. E poi ho un amico chirurgo plastico che è un genio della rinoplastica, io al suo posto me lo rifarei sto’ naso, non è solo che pende a sinistra, è pure lunghetto forte…”

“Ma Lei che ne sa del Paese dei Balocchi? Come fa a sapere che…”

“Bene, allora adesso vado, ci vediamo su per la cena”.

Pinocchio afferrò il bigliettino da visita esterrefatto e guardò il Grillo Parlante con un salto raggiungere la porta.

“Non faccia tardi, la cena inizia esattamente tra quindici minuti quindici”.

Pinocchio era basito. Ma chi era veramente quel Grillo Parlante? Un veggente? O piuttosto un impostore, uno spione? E se avesse lavorato per il suo capo e avesse ricevuto l’ordine di pedinarlo? Che fare? Doveva sbarazzarsi di lui, sperando che non fosse troppo tardi. Si dette una rinfrescata, poi prese il fagottino e v’infilò il martello trovato sul tavolo, quindi si avviò verso la sala ristorante.

La nave stava salpando. Vide l’Omino di burro tirare su le vele, il Gatto e la Volpe accanto a Star Dreck che dava ordini a un altro giovanissimo marinaio che chiamavano Lucignolo. Pinocchio chiese al primo ufficiale Volpe come giungere alla sala ristorante e quello gliela indicò con il solito fare ironico che incominciava a dargli veramente ai nervi.

La sala era tutta di legno scuro; un lungo tavolo al centro della stanza era apparecchiato per sei. Accanto ad una parete, vi era un tavolo quadrato con una sola sedia,

“Probabilmente quella del capitano, pensò Pinocchio”.

Il Grillo Parlante entrò immediatamente dopo di lui, come se gli fosse stato alle calcagna, la qual cosa era molto strana perché Pinocchio aveva controllato che nessuno lo seguisse.

Da una porta a due ante va e vieni, che sembrava quella di un saloon, apparve un uomo così brutto, ma tanto brutto che pareva un mostro marino. Invece dei capelli aveva un cranio rasato e, alla sua estremità una cresta, simile alla pinna di alcuni pesci velenosi. La cresta era foltissima, alta circa quindici centimetri e tinta di verde. La pelle del cuoco era olivastra, verdi gli occhi e tinta di verde era anche una barba lunghissima ed incolta che gli scendeva fino alla cintola. Più che una barba sembrava un cumulo di alghe putrescenti ed era picchiettata di cozze patelle.

Con una voce orrenda almeno quanto l’aspetto disse:

“Signori a tavola! Oggi: pescato del giorno”.

Detto questo, dette un paio di colpetti sul tavolo con uno straccio sudicio e vi appoggiò dei piatti di metallo e una pagnotta di pane nero.

“Che eccellente, che eccellente il nostro cuoco! Assaggerà le meraviglie del nostro Pescatore Verde! Venga, venga a sedersi, Giona!” Disse il Grillo Parlante. Il ragazzo sbiancò.

“Non so Signore di chi Lei stia parlando, il mio nome è Pinocchio”.

“Ah! Mi scusi, devo aver fatto confusione…Non aveva detto di chiamarsi Giona?”

“Veramente no”.

“Forse Mona?!” Disse il Grillo aggiustandosi il turbante che gli era leggermente calato sugli occhi.

“Nemmeno! Mi chiamo Pinocchio!”

 Nel frattempo entrarono anche Star Dreck, il Gatto e la Volpe e l’Omino di burro che disse:

“A tavola malandrini!”

Star Dreck aggiunse: “Il pilota automatico è stato inserito, Secondo ufficiale Volpe ha detto a Lucignolo di controllare le vele?”

“Sissignore!”

“Mi da’ un gusto rimpinzarmi sapendo che quell’asino sta fuori al freddo e al vento!” Sussurrò l’Omino di Burro al Gatto che emise un ghigno sottile e catarroso.

Tutti si sedettero a tavola. Pinocchio si trovò tra Star Dreck ed il Grillo ed invece, di fronte, sedevano il Gatto e la Volpe con, nel mezzo, l’Omino di burro. Tenere quei tre di fronte era per Pinocchio disgustoso; parlottando sbavavano e toccavano tutto con mani luride che si portavano ripetutamente nelle narici e nelle orecchie. Come se non bastasse, esalavano aliti rancidi e fiati pestilenziali.

Il Pescatore Verde apparve con tre caraffe di birra e sei boccali di terraglia. Non c’era un solo boccale uguale all’altro e che non fosse sbeccato in più punti.

“Dicci un po’ il menù di stasera, Pescatore Verde!” Chiese l’omino di Burro.

“Stasera abbiamo di crudo: cozze pelose e cetrioli di mare. Di primo: minestra di pinna di balena, di secondo: pinna di balena bollita ripiena di carne. Di contorno: macinato di pinne di balena marinate con alghe in salamoia”.

A Pinocchio venne il voltastomaco, mentre l’Omino di Burro, Volpe e Gatto esultarono con gridolini e risolini di apprezzamento trangugiando un boccale di birra in un sol fiato.

In quel momento si spalancò la porta e fece il suo ingresso il capitano Mangiafoco. Pinocchio rabbrividì nel vederlo. Era un omone così brutto che metteva paura solo a guardarlo. Era strabico, portava una barbaccia nera come uno scarabocchio d’inchiostro e tanto lunga che gli scendeva dal mento fino a terra, basta dire che quando camminava zoppicava e non si capiva se fosse perché inciampava nella sua barba o perché avesse una protesi ad uno degli arti inferiori.

Il capitano fece un rigoroso saluto militare ai presenti che, tuttavia, risultò alquanto bislacco visto il suo aspetto tanto sciatto; la divisa trasandata, la barba incolta e l’olezzo mefitico che proveniva dalla sua persona. Mangiafoco si diresse al suo tavolo personale zoppicando e, ogni qual volta appoggiava la gamba sinistra a terra, tutta la sala rimbombava come colpita da una martellata. Il Grillo, come intuendo i pensieri di Pinocchio gli sussurrò nell’orecchio: “Si è costruito la gamba da sé, con la mandibola di un pescecane!”

“Ma come ha perso la gamba?”

“Staccata di netto dal terribile morso di Catty Vick, la grande balena bianca, l’essere più malvagio di tutto il creato!”

Pinocchio rabbrividì. Intanto il capitano, con un vocione terribile, urlò al Pescatore Verde:

“Pendaglio da forca, dov’è la mia birra?”

Il Pescatore Verde subito accorse con un boccale di birra grande circa il doppio di quello degli altri commensali. Mangiafoco glielo strappò di mano e poi se lo portò avidamente alla bocca. Mentre ingollava la birra gorgogliando, fiotti spumosi gli percorrevano la barba e la divisa lacera, esalando un fetore insopportabile.

Pinocchio tremò. Mangiafoco poggiò il boccale vuoto e si pulì il grugno con il dorso della mano.

“Avanzo di galera, cosa aspetti, portamene un altro!!” Gridò poi al Pescatore Verde che era rimasto tutto il tempo immobile a guardarlo. Mentre quello correva in cucina, Mangiafoco osservò ad uno ad uno tutti i commensali con degli occhi di fuoco ma, essendo strabico, non si capiva bene chi fissasse.

“Ma chi abbiamo qui, un nuovo ospite?!”

Tutti guardarono Pinocchio, quindi evidentemente Mangiafoco stava parlando proprio con lui! Balbettando dalla paura egli rispose: “Buona…Buonasera, Signore”.

Il Pescatore Verde entrò portando su un vassoio la cena e Mangiafoco fu immediatamente distratto dall’antipasto, con grande sollievo di Pinocchio.

Dopo l’antipasto furono servite tutte le altre portate.

Il cibo era disgustoso e Pinocchio, che aveva una gran fame, ingoiava i bocconi senza masticarli per non sentirne il sapore.

“Mmmhhh che bonta’ questa pinna!”

“Mi piace proprio così, quando è vecchia di quattro o cinque giorni, il gusto è più intenso”.

“Sì, questa pinna ripiena di carne è fantastica”.

“Carne di che? Non sarà mica maiale?” Chiese timidamente Pinocchio.

“No, non preoccuparti, è carne di vermi!” Pinocchio ebbe un conato di vomito.

“Ha il singhiozzo? Perché mangia troppo in fretta, non mastica bene caro Lei, adesso deve mantenere il respiro e contare fino a dieci, poi subito tre grandi sorsi di birra, bisogna che le insegni a mangiare, ragazzo mio”. Sentenziò Grillo Parlante.

Mangiafoco si alzò e tutti di colpo zittirono.

“Oh, no, adesso attacca uno dei suoi sproloqui!” Sussurrò nell’orecchio il Grillo Parlante a Pinocchio.

“Se Voi fate, per Satanasso, ancora il più piccolo rumore io vi mando all’inferno!” Disse il Gatto al Grillo Parlante mentre Mangiafoco iniziava il suo monologo.

Ho veduto il suo zampillo; ha schizzato un paio di arcobaleni, belli quanto può desiderare di vederne un cristiano. È una vera botte d’olio, quella bestia, scrisse il pilota Cooper, ma noi sappiamo ch’ella per un cristiano non è botte d’olio ma botte d’odio! E Catty Vick, la balena bianca, non è come tutte le altre balene, non ubbidisce a Dio, ma al Demonio! Quand’ella s’avvicina sentiamo il suo alito, fetore insopportabile che genera disturbi al cervello…”

“Infatti è matto come un cavallo”. Bisbigliò il Grillo Parlante a Pinocchio mentre il Gatto gli menò una zampata che gli divise in due il turbante. Ma Mangiafoco proseguì:

“Perché Isaia disse che verrà il giorno in cui con la sua dura, grande e forte spada, il Signore farà punizione di Leviatan, serpente guizzante, serpente ritorto e ucciderà il dragone che è nel mare! Domani, domani, sarà il gran giorno ed io brandirò l’arpione come la spada di Dio, sulle onde del male…”

“Si è sbagliato, voleva dire Mare”.Questa volta il Gatto dette al Grillo un morso in faccia.

“Sì, sì, le onde del male in cui la bestia lordona sguazza…”

A questo punto tutti i marinai, battendo ritmicamente i pugni sul tavolo, recitarono in coro: “Oh, la rara Balena, tra vento e tempesta, sarà sempre a nuotare: un gigante di forza, di forza funesta, la Regina del mare!”

“Amen”. Disse il Grillo attaccandosi un cerotto sul morso del gatto.

Mangiafoco concluse: “Festeggiamo adesso, questa è la notte prima della battaglia finale! E voi un giorno direte: Io c’ero!”

Tutti i marinai applaudirono e, in quell’istante, si spalancò la porta ed entrò una donna di mezza età; portava abiti succinti tutti argentati ed una lunga parrucca turchese.

“Ah! Sospirò Grillo parlante, eccola, stasera è bellissima, è incartata come un Bacio Perugina!”

Il Gatto e la Volpe lanciarono gridolini striduli. L’omino di burro gridò: “Fata!”

Lucignolo entrò con una Darbuka turca, prese posto su un lato della stanza e attaccò a percuotere il tamburo con grande maestria. Subito la donna fece un saluto al comandante Mangiafoco simile a quello che aveva visto fare al Grillo Parlante. Unì indice e medio, si toccò il cuore, poi le labbra, la fronte e, con un ampio gesto del braccio, fece un inchino fino a terra. La donna era parecchio sovrappeso. Scalza, portava una gonna a vita bassissima di veli turchesi, dalla quale fuoriusciva una generosa pancia. I seni, grandi come meloni, erano stipati in un reggiseno di lustrini, anch’essi turchesi. Dello stesso colore i capelli lunghi a boccoli, che le scendevano fino alle ginocchia. Portava una quantità indicibile di anelli, bracciali e cavigliere che, ad ogni movimento, tintinnavano accompagnando il Darbuka.

Lucignolo ci dette dentro e la donna si lanciò in una scatenata danza del ventre.

Gli uomini la guardavano inebetiti, estasiati, con le bocche spalancate e gli occhi sbarrati. Pinocchio si accorse che Mangiafoco, spesso, lo spiava di sottecchi, o almeno così gli parve; era difficile capire cosa guardassero quegli occhi strabici.

Alla fine della danza ci fu un tumulto, uno scroscio di applausi, apprezzamenti, ululi ed urla.

“ Boooonaaa!”

“Bella pagnottona mia!”

“Auè, fata, vieni che ti faccio la magia!”

La donna ignorò tutti e si avvicinò a Mangiafoco che sfilò dalla tasca alcune banconote e gliele infilò nel reggiseno. Tutti applaudirono e quella uscì accompagnata da Lucignolo.

“Pescatore Verde, porta la grappa!” Ordinò Mangiafoco e poi disse: “Lei, senta…Dico a Lei…”

“Dice a me?” Chiese il Grillo Parlante.

“Sto guardando forse Lei? Dico a quel’altro, quello che Le sta accanto!”

“Te lo dicevo che avresti fatto una brutta fine!” Bisbigliò Grillo Parlante a Pinocchio che diventò rosso paonazzo.

“Dice a me?”

“Sì, proprio a Lei! Si metta di profilo, mi faccia vedere bene quel nasone che ha”.

“Io un nasone? Ma cosa dice? Se ho il nasino alla francese!” Il Grillo Parlante puntò il dito indice sulla tempia e fece un gesto eloquente, come a dire:

“Lasciatelo perdere, questo è matto”.

Mangiafoco chiese a bruciapelo a Pinocchio:

“Lei chi è?” Non mi ha detto il Suo nome.

“Call me Pinocchio”. Rispose Giona.

“Come???? Pinocchio???”

“Sì, Signore”.

“Ma non è possibile!” Gridò Mangiafoco che dette un pugno sul tavolo, versando il boccale di grappa che Pescatore Verde aveva appena appoggiato sulla mensa.

“Pinocchio lo conoscevo bene, quello che ha attaccato in faccia non è il naso di Pinocchio, lei è un impostore!”

“Forse un omonimo?!” Sussurrò Pinocchio mentre circospetto si guardava intorno.

“Prendete quest’uomo, è un impostore!”

In quattro e quattr’otto, il Gatto e la Volpe l’avevano acciuffato e l’Omino di burro già gli stava legando mani e piedi mentre Star Dreck parlò:

“Capitano, non voglio rovinarVi la serata, mi adoprerò io stesso d’interrogare il prigioniero”.

Poi, rivolgendosi ai sottoposti: “Secondo ufficiale Volpe, terzo ufficiale Gatto, portate quest’uomo sul ponte e legatelo all’albero maestro. Lei, Omino di Burro, prepari gli arnesi di tortura”.

“Sì, Signore!” Risposero quelli a turno.

“No, lasciatemi, sono innocente, non ho fatto nulla di male!”

“Zitto mascalzone!”

“Taci farabutto!”

“Zitto delinquente!”

Pinocchio fu legato all’albero della baleniera. La notte era stellata, la luna in tre giorni sarebbe stata piena, l’aria della notte era gelida.

Star Dreck illuminò il volto di Pinocchio con una torcia elettrica.

“Allora, figliolo, chi è Lei veramente? Se me lo dice non la farò torturare”.

“Sono Giona”.

“Perché ha mentito sulla Sua identità?”

“Io non ho mai detto di essere Pinocchio, ho detto di chiamarmi Pinocchio, c’è una bella differenza filosofica!”

“Qual è il tuo mestiere? Donde vieni?Qual è il tuo paese? Di che popolo sei?”

“Ma io sono un ebreo! “

“Embè? Pure io sono ebreo, e allora?” Rispose secco Startreck.

“Temo il mio capo, che ha potere sul mare e l’asciutto e…”

“Spaghetto Asciutto?” Chiese interessato l’Omino di burro pensando al suo dio pastafariano.

In quel momento, Lucignolo di vedetta dall’alto della coffa in cima all’albero maestro gridò: “Balena in emersione a tutta drittaaaaa!”

Nel frattempo il secondo ufficiale Volpe sopraggiunse correndo: “Ufficiale numero uno, è arrivato un messaggio in morse da un sottomarino! Il testo dice: Allontanare passeggero naso lungo Stop altrimenti bombardiamo Stop. Avete dieci minuti di tempo”.

“Oddio, mi hanno trovato!” Scappò detto a Giona.

“Cosa signifca? Chi vi ha trovato?” Chiese allarmato Star Dreck.

“Il mio capo, il capo del mio partito!” E così Giona raccontò tutto nei dettagli a Star Dreck ed a Volpe.

“Secondo ufficiale Volpe, Lei cosa consiglia?”

“Io, primo ufficiale Star Dreck, consiglio di fare come ci dicono dal sottomarino”.

“Condivido, secondo ufficiale Volpe ma, praticamente, come pensa di effettuare l’allontanamento del soggetto in questione?”

“Buttiamolo a mare!” Gridò Gatto che era sopraggiunto.

“No, no, no! Non vorrete veramente buttarmi in mare! Datemi almeno una scialuppa!”

“Non ne abbiamo, ci dispiace”. Rispose il terzo ufficiale Gatto sgranocchiando la zampa di un topo.

“Voglio parlare col capitano! Fatemi parlare col capitano!”

“È sicuro di voler parlare col capitano?” Chiese il secondo ufficiale Volpe con voce melensa.

“No, ci ho ripensato, buttatemi a mare!”

“E Sia, Omino di burro e terzo ufficiale Gatto, buttatelo a mare! Lei, secondo ufficiale Volpe, vada in cabina e risponda al sommergibile che è stato eseguito quanto richiesto”.

Detto questo, l’Omino di Burro e Gatto slegarono Giona dall’albero e, uno tenendolo per i piedi e l’altro per le braccia, lo gettarono in mare. L’ultima cosa che Giona sentì chiaramente fu la voce di Lucignolo dalla coffa: “Balena a tutta drittaaaaaaa!!!”

Un tonfo, un peso immenso sulla testa e sul petto, un dolore acuto alle orecchie e poi, per Giona, tutto si fece sfocato e, di colpo, più nulla. Buio e silenzio.

Giona riaprì gli occhi con un gran mal di testa e tremante dal freddo. Dove si trovava?

“Il capo duole…”Sussurrò.

“Sorry but this is not a Capodoglio!” Disse una voce perentoria. Giona si stropicciò gli occhi e vide davanti a sé un omino in giacca e cravatta con dei capelli gialli gialli che sembravano una polentina di mais.

“Dove sono? Quanto ho dormito?”

“Three days.”

“Ma Lei chi è?”

„My pleasure, my name ist Boris Geppetto“.

Giona si guardava intorno non capendo cosa fosse quella strana cavità umidiccia. Gli abiti erano stracciati ed inzuppati e gli facevano male le caviglie ed i polsi.

“Che disastro…”

There are no disasters, only opportunities. And indeed, opportunities for fresch disasters“.

“Ma non sa parlare come un cristiano?

“Yesssss, just a little”.

“Ma dove mi trovo?”

“Well…In this moment, su esofago di balena Catty Vick, balena bianca”.

“Oddio, aiuto! Catty Vick, la mostruosa e malvagia balena, l’incarnazione del male, la maligna, torva, reproba, sciagurata….”

“What??? Are you crazy? Balena buona come pane! Big pescia molto vecchia, lei ha asma e palpitazione di cuore, denn lei dorme con bocca aperta. Durante forte inspirazione, tu risucchiato dentro gola. Se noi rimaniamo qui, non andare giù, noi salvarci, no diventare cacca di balena, Do you know cacca? Vieni te mostro…Come te chiama? I don’t now your name…”

“Giona”.

“Mona?”

“Gionaaa! Ho detto Giona!”

“Oh, I’m sorry”.

Detto questo Geppetto fece cenno a Giona di alzarsi e seguirlo e lo portò al principio della gola della balena e, dalla bocca spalancata dell’animale, Giona poté contemplare un bel pezzo di cielo stellato e un bellissimo lume di luna. Intanto Geppetto, con uno spazzettone, dava una pulitina alle gengive della balena.

“Pulitina ogni giorno, così non viene carie e lei contenta e noi pure che sua bocca non puzza, Do you know?” Poi, guardando anch’egli il cielo aggiunse: “Perturbazione finish…very well: bonaccia…” 

“Ma questa balena, che denti aguzzi che ha…”

“Yess, it’s really, but questa qui perso tutti i denti ed io costruito per lei dentiera di veri canini of pescicane. Do you now that? Con dentiera, of course, ha staccato con morsi gamba di Mangiafoco, do you know Mangiafoco? Capitano baleniera, lui che buttato te in the see”.

“Ma come fa a sapere che sono stato buttato in mare dalla baleniera?”

„Of course I was hier. Ero qui e io visto tutto! Now, tu toglie vestiti e mette questi se no tu ammala!” E porse a Giona un impermeabile, un paio di stivali di gomma ed una bombetta nera.

“Ho anche obrella si tu vuole…”

“Grazie! Ma perché Mangiafoco odia tanto la balena?”

Geppetto si voltò, per non mettere Giona in imbarazzo mentre si toglieva i vestiti bagnati.

“Lui convinto che Catty Dick è personificazione di male, do you know? in realtà solo povera bestia, lei vecchia, vuole solo pace; only galleggiare su onde, lei aspetta plancton, plancton come minestrina per vecchi! Minestrina no male… it’s a big mistake! Umani vedono demoni because no testa, no ragione, do you understand?”

“Ma adesso, con la dentiera che le ha costruito, potrebbe mangiare qualcosa di più sostanzioso, che ne so: un tonno, per esempio”.

“No, lei vecchia, lei vuole solo minestrina of plancton! Dentiera serve per difendersi da Mangiafoco. La gamba segata via but no mangiata, buttata a pesci!”

“Mmmh….capisco….”

“And new, tell me come tu arrivato sopra baleniera!?”

Giona raccontò tutto a Geppetto e, quando fu vestito di tutto punto, si voltò e lo trovò seduto su un pouf di alghe che sorseggiava un Brandy :

“Tu fatto grande errore con tuo capo. Votare partito sarà così che tua moglie ha seno più grande e aumenta possibilità di avere BMW M3”.

“Guardi, io non ho una moglie e non ho la patente!”

Geppetto si accese uno spinello.

“Ma cosa fa? È pericoloso per la salute!”

“Sì, cannabis pericolosa ma non più di droghe legali, è tempo di ripensare, e tuo partito, partito molto divertente, più divertente della terra, sta facendo, sta ripensando. Do you know?”

“Eh! Anche lei, come il mio capo! Siete dei dissoluti, senza freni né morale!”

“Tuo capo ci mangia pappa in testa, a tutti quanti! “ Poi fece una pausa, guardò Giona con un che di complice e disse: “Gente pensa che diavolo dentro me… Una volta mi danno Coca, io però soffio no tiro su, forse era zucchero a velo!?” E rise di gola. „What do you think about my very english humor? Haahahahah!“

“La ringrazio per gli abiti, tuttavia, malgrado io Le sia riconoscente, Lei è uno svergognato; un vizioso! Dovrebbe farsi disintossicare e, a parte tutto, detesto l’umorismo inglese, non mi fa ridere!”

„Uh..Umm….Well, I mean…we‘re all just humans, and we all make mistakes“.

“Sì, ma il mio capo, su questo ci marcia per arraffare voti!”

Geppetto lo guardò serio e poi disse: “Do you know che tuo suo naso va a destra?”

“Oddio, come a destra? Non pendeva a sinistra?”

“I don’t belive…”

“Che, ce l’avrebbe uno specchio?”

“No, I’ m sorry”.

“Lei dice a destra?”

“Yeees”.

“Ma… ma… allora…io non sono per gli altri quel che finora avevo creduto d’essere per me! Non posso vedermi vivere….e, non potendo vedermi vivere, resto estraneo a me stesso, cioè uno che gli altri potevano vedere e conoscere e…allora io sono estraneo a me stesso ed è impossibile che io mi veda qual sono e mi conosca qual sono e…”

“Jesus, what a drag!”

“Mi scusi, ha ragione, la sto annoiando…”

“You’re delirious, man!”

“Allora mi permetta di farLe qualche domanda; parliamo di Lei; come è finito qui?”

“Mia nave giù, sotto mare…”

“Naufragata?”

“Yessss! Io andavo to home, patria”. Disse con gli occhi a mezz’asta Geppetto mentre faceva un altro profondo tiro dallo spinello e poi aggiunse:

“He’s a great guy, tuo capo…io voto lui!”

“E perché mai?”

“Celebriamo la forza del capitalismo, abbassiamo le tasse, difendiamo la legge e l’ordine. E non dobbiamo trattare il capitalismo come se fosse un termine offensivo. Non possiamo perdere la nostra fede nella competitività, nella libera scelta e nel mercato. Dobbiamo riaffermare la verità e cioè che semplicemente non esiste alcun altro sistema che abbia un successo così miracoloso nel soddisfare i desideri e i bisogni umani”.

Accidenti, l’ha imparato a memoria!”

“Oh, yesssss!”

“Francamente non ne sono più convinto!” Disse Giona sbuffando. “Dovremmo essere più rigidi, meno tolleranti, ci vogliono punizioni forti!”

“Io devo proprio dire; tu fondamentalista! Sempre giudicare, quello così, quello colà, questo sì, questo no…Popolo muss be free, libero! Rilassa tu, e non fare tanto perfettino tu, cosa vuoi fare da grande: santo? Profeta?”

“E la questione morale?”

“Bullshit!”

“Io piuttosto che avere degli elettori come lei, mi uccido!”

“Waooo! So exaggerated!!”

Intanto si alzò la luna ed un raggio violetto illuminò la gola della Balena.

“Aspetti un attimo, adesso che la guardo alla luce, io devo averla già vista, ma lei non è il premier del Paese dei Balocchi?”

“Really, you are really cute!”

Improvvisamente tutto il corpo della balena fu come scosso da un terremoto. La bocca spalancata si richiuse e poi si riaprì con un fremito.

“Oddio che succede, adesso ???” Gridò Giona.

„The end of the days! This is Mangiafoco!“

Giona guardò fuori dalla bocca aperta della balena e, in effetti, riconobbe Mangiafoco che arrivava a gran velocità, in equilibrio su un solo sci d’acqua trainato da un motoscafo. In una mano teneva un arpione e gridava come un ossesso: “Aaahhhh! Putrido ammasso di grasso, ti farò a polpette, maledettaaaa, la mia vendetta sarà terribileeee!!! Catty Vick, dì le tue ultime preghiere!”

“The man is crazy! Tu mai visto pesce pregare?”

“La balena non è un pesce, ignorante!”

“Well…”

La balena si svegliò, aprì gli occhi, prese fiato e sternutì con quanta forza aveva in corpo. Giona e Geppetto vennero sputati fuori e Mangiafoco, colpito in pieno, volò via compiendo piroette per il cielo. Giona fece appena in tempo a vederlo ricadere giù, nelle fauci aperte della Balena che l’aspettava. Poi, con un solo colpo di coda, spazzò via la Baleniera che si riversò su un lato. Non ancora soddisfatta, la balena scattò su verticalmente nell’aria per ricadere pesantemente sulla baleniera che sprofondò sotto il mare. Ancora non contenta, prese a dare ritmicamente di coda nel punto in cui era affondata la baleniera. A vederla da fuori sembrò che stesse scandendo il tempo di una musica immaginaria.

Catty Vick aveva scatenato una specie di maremoto. Mangiafoco, spezzato in due, era diventato pasto per i pescecani, la marea sembrava essere salita e non si capiva se a causa dei colpi di coda di Catty Vick o della luna. L’enorme balena bianca fendeva il mare, la dentiera risplendeva candida e mostruosa nella bocca spalancata. Marosi alti come campanili si stendevano nel cielo, si ritorcevano su se stessi come un cerino bruciato per finire a frantumarsi con grande frastuono sulla superficie fracassata del mare.

Giona galleggiava attaccato a qualcosa che, ai raggi della luna, sembrava essere giallo polenta; quella cosa andava gonfiandosi sotto di lui come un pallone, fino a che prese la forma di un canotto. Giona fu spinto via nella notte, poi le forze lo abbandonarono e perse i sensi.

Si svegliò su una spiaggia. Della polenta, parrucchino di Geppetto o canotto che fosse, non c’era traccia. Il sole era bollente e si sentì tutto il corpo ardere. L’acqua salina del mare gli aveva piagato le labbra; gli occhi gli bruciavano terribilmente e sulla fronte e sul naso sentiva gonfiarsi la pelle. Si guardò intorno ma non vide nemmeno un albero sotto il quale ripararsi dal solleone. Scorse, invece, una bottiglia tappata con qualcosa al suo interno; un messaggio? Prese la bottiglia e la aprì e, in effetti, all’interno c’era un biglietto ripiegato che diceva: –Testone! Sei contento adesso? Spero che la lezione ti sia bastata. Sul fondo di questa bottiglia troverai una pastiglia di olio di ricino. Non è una purga, anche se te la meriteresti! Devi sotterrare la pastiglia e buttarci sopra un pochino d’acqua di mare. Rimani all’ombra, ti mando a prendere con lo yacht domani mattina. Il tuo Capo.

“Non è possibile! Ancora lui! Sempre lui! Ma come accidenti fa?!”

Gridò Giona sbattendo la bottiglia sulla sabbia e saltandoci sopra dalla rabbia. Poi, la canicola ebbe la meglio sulla rabbia e sull’orgoglio ferito. Riprese la bottiglia e, realmente, trovò sul fondo una pastiglia di olio di ricino. La sotterrò e la bagnò con un po’ di acqua di mare che aveva raccolto nel cavo delle mani. In pochi secondi la sabbia iniziò a vibrare tutta ed un germoglio fece capolino. Quello, bello vispo, prese a crescere e a riempirsi di foglie sotto gli occhi di Giona.

“E questo cos`è, un fagiolo magico?”

“Fagiolo lo vai a dire a tuo fratello!” Rispose l’ex pastiglia, ormai pianta di ricino.

“Ma come fa?!” Disse Giona con il naso per aria, tanto la pianta era cresciuta.

“E caro mio, potenza della tecnica e della scienza! Ma lo sa che lei ha il naso a patata?”

“Come a patata? Ma se l’ho sempre avuto sottile come un becco?”

“Guardi, io di patate me ne intendo…Si sbagliaaaaa…”

Gli gridò dall’alto la pianta di ricino, o pastiglia che dir si voglia, mentre il fogliame continuava ad allargarsi e, in quattro e quattr’otto, Giona ebbe ombra e frescura a volontà.

Fatto sta che a Giona venne fame e pensò di assaggiare quelle belle florescenze rossastre, tuttavia intervenne immediatamente la pianta di ricino. “Ma sei mona?”

“No, sono Giona”.

“Sono velenosa! Idiota”. Disse arcigna la pianta. “Di commestibile ho soltanto dell’olio ma non mi sembra il caso…”

“No…in effetti…” A quel punto Giona scoppiò in singhiozzi. Il fusto più alto del ricino si abbassò verso Giona dandogli amorevoli pacchette sulla spalla: “Su, su, ragazzo, non dicevo seriamente quando dicevo idiota…Però è vero che il tuo naso è a patata”.

“Buuuu! Voglio solo morireee!”

“Ma come morire?? Ma allora è vero che sei…vabbé, su caro, perché adesso vorresti morire, dopo che ho fatto tutto sto’ lavoro per salvarti, sentiamo…”

Disse premuroso il Ricino.

“Perché, perché io a fare i comizi al Paese dei Balocchi non ci voglio andare, io con quei perversi non ci voglio niente a che fare, bisognerebbe annientarli!”

“Non sarai un tantino violento e parecchio vendicativo?”

“E..e poi..c’ho il naso che non si capisce com’è, buuu, me tapino….buuu…”

“Ecco, questo in effetti mi sembra grave”.

“E allora, se io ho creduto di avere un certo naso ed invece gli altri lo vedevano diverso, allora significa che nessuno in realtà mi conosce, nemmeno io, tant’è che pensavo di avere un naso che invece gli altri non hanno mai visto, e allora chi sono io? E…”

“Tranquillo ragazzo, adesso ti do un paio d’indirizzi di due bravi strizzacervelli, vedrai che in qualche anno ti rimettono a posto e torni come nuovo, su su, non piangere veni qui dal papà, su…”

Disse il Ricino abbracciando con le fronde Giona e cullandolo dolcemente mentre quello iniziò a succhiarsi il dito. E così, Giona, s’addormentò.

La mattina presto, fu di nuovo svegliato dall’arsura e dal caldo. Si guardò intorno e vide il suo Ricine spezzato e ridotto a brandelli sparsi dovunque. Giona grido’: “Babbo!! Babbino carooooo!! Babbino miooo!” Ed iniziò a piangere disperato.

“Ma cosa fa, ma è mona? Perché piange?” Disse qualcuno rosicchiando. Giona guardò meglio e vide un verme che mangiava la pianta.

“Ma cosa fa? Mangia il mio babbo?”

“Ragazzo, lei è disturbato forte, lo sa? Se il Ricino fosse suo padre, allora lei dovrebbe essere per lo meno un seme. Mi dica, Lei è un seme?”

“Ma se che lei mi ricorda qualcuno?”

“Chi?”

“Un grillo…”

“NO, veramente io non ho grilli né in famiglia né per la testa; sono semplicemente un verme, ma forse, chissà, in una vita precedente….ma lo sa che, una volta, conobbi un cardo che sosteneva di essere stato un poeta nella sua seconda reincarnazione.

Le ha mai detto nessuno che il suo naso pende verso il basso?”

“Come sarebbe a dire: pende verso il basso?!!”

“Sì, è esatto, pende verso il basso, il così detto naso pisciato in bocca”.

“Voglio morire”.

“Ancora? Che noia, invece di continuare ad annunciarlo lo faccia e basta! Guardi, sarebbe sufficiente mangiare un po’ di questo ricino…”

“Sì, che io muoia per mano del mio stesso padre!”

“Ancora con questa storia del padre? Ma è proprio fissato! L’hanno abbandonato da piccolo? Vabbè, addenti sta’ foglia e la faccia finita una buona volta!”

In quel momento apparve nel cielo un aereo, di quelli che trascinano gli striscioni pubblicitari. Giona alzò gli occhi per l’ultima volta verso il cielo, prima di addentare una foglia di ricino che il verme impaziente gli porgeva.

“Allora, si decide a mangiare sta foglia? Manco fosse di fuca!”

Giona lesse sul fascione che percorreva il cielo: –Se tu ti rattristi a morte per una pianta di ricino, a maggior ragione mi ero rattristato io per la sorte d’innocenti fra cui centoventimila persone e tanti animali. Aspettami sto arrivando.

Giona rimase sbigottito.

“Allora, mangia sta’ verzura o no?”

“Ci ho ripensato…”

“Non muore più?” Chiese il verme deluso.

“No, non voglio più morire perché ho capito che…”

“Peccato, avrei mangiato un po’ di carne oggi. Mi lascerebbe almeno una pellicina delle unghie dei piedi, un semplice antipastino giusto per farmi la bocca!? Non mangio carne da mesi!”

Nel frattempo apparve qualcosa in mare. Giona scrutò verso l’orizzonte e vide due naufraghi attaccati all’albero spezzato di una nave. I due tenevano le mani sul legno e battevano i piedi verso riva. Ben presto toccarono terra e Giona, con sua sorpresa, scoprì che si trattava del secondo e terzo ufficiale, Gatto e Volpe.

Giona gli andò incontro esultante: “Vi siete salvati! Vi siete salvati!”

“Sì, ma non per merito tuo, ed è solo colpa tua se la baleniera è affondata! Sono tutti colati a picco con la nave, maledetto!”

“Ma Signori, no, non è stata colpa mia!”

“Maledetto Pinocchio!”

“No, ascoltate, state facendo confusione, io non sono Pinocchio, io sono Giona!”

“Bugiardo! Adesso te la faccio vedere io!”

“Vedrai come va a finire questa storia!”

“E questa è la vera fine della storia, maledetto Pinocchio!”

Detto questo Gatto e Volpe immobilizzarono Giona, poi fecero una profonda buca e vi piantarono l’albero della nave, proprio dove era cresciuto il ricino. Arrotolarono e legarono insieme i loro stracci bagnati fino a farne una corda e, con quella, impiccarono Giona.

Le ultime parole che pronunciò furono:

“Oh, babbo mio, babbino mio, se tu fossi qui!”

E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito.

Quando arrivò lo Yacht, il suo capo lo trovò così. Qualcuno, con il sangue, aveva scritto su uno straccio appeso sull’albero della nave, proprio sopra la testa di Giona: Call me Pinocchio.

Del verme non si seppe più nulla, chissà se qualcuno non lo schiacciò involontariamente sotto i piedi.

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