Che ne sarebbe di Francesco col Covid-19 se la fiducia è solo individuale?

by Anna Maria Giannone

Non so se anche voi avete dei pensieri in libertà in questi tempi di Coronavirus. Ho le braccia attaccate al corpo da una vita, non ho mai amato molto il contatto fisico imposto dall’estroversione. Figuriamoci stare troppo vicino agli interlocutori. In discoteca il mio modo di ballare faceva naturalmente due metri di raggio di spazio, grazie ai miei arti in movimento in maniera scomposta. Per me è quindi facilissimo rispettare le distanze e noto con una certa soddisfazione il mondo che sempre più mi rassomiglia, ora.  

Stefano Massini a Piazza Pulita ha disegnato il metro di raggio che dovrebbe salvarci e delimitare la nostra sopravvivenza. Confinare la nostra angoscia. Tutti i discorsi bollati come buonisti sono finiti di colpo.

L’Altro è ora chiunque, non più solo lo straniero povero e usurpatore, nei barconi. Ci siamo chiusi a tutto, al di là di ogni diritto di navigazione perché si naviga a vista. Si riducono spazi di libertà per la salvaguardia della specie, si dice. Per la prima volta nel nostro Paese dal Dopoguerra, il Governo entra nella organizzazione dei corpi e nella loro estensione privata. Non sarà drastico come in Cina, ma ci impone un certo isolamento “fiduciario”. Moriremo di individualismo dunque? Qualsiasi maestra di Ascoli, Bisceglie, San Marco in Lamis, Codogno o di qualsiasi altro paese che per primo ha sviluppato il virus è una possibile untrice.

“Fiduciario”: l’aggettivo usato per la quarantena è il più bizzarro se la fiducia si applica solo a se stessi. E se si finisce per aver fiducia solo dei propri movimenti, solo della propria attitudine a non sporcarsi le mani, a non aver incrociato uno sternuto, a circoscrivere la propria capacità di azione.  

L’altra sera per strada, in una città isolata e frequentata solo da adolescenti in gruppi senza distanze e felicissimi per la “festa” ordinata dal Governo, come in corsie preferenziali ognuno aveva passi da gendarme. L’orizzonte inedito era solo quello del distacco, della lontananza. Sei lontano da me, la morte è meno evidente, è meno prossima.

Mi è bastato però incontrare un’amica per dimenticarmi del virus. È il Due, che crea fiducia. È nel Due che siamo donne e uomini. Erano due le coppie dell’Arca. Erano Due Deucalione e Pirra.

Mi è venuta in mente la scena di San Francesco d’Assisi col lebbroso. Oggi uno come lui sarebbe considerato ancora più pazzo che nel Medioevo in tempi di messe in streaming e scambi di pace annullati.

Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo“. 
(dal Testamento di san Francesco – n. 110) 

C’è in lui un rifiuto della distanza e dell’autosufficienza, un accoglimento alla fiducia e all’amore, alla misericordia, che mai come oggi commuove.

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