Codice Rosso, l’emotività legislativa sul corpo delle donne

by Maria Pia Vigilante

Tanto tuonò che piovve.

In Italia si continua a legiferare per contrastare la violenza maschile ai danni delle donne senza assolutamente ascoltare le donne e, soprattutto, le donne vittime di violenza, il cui sentire viene rappresentato perlopiù dai molteplici centri antiviolenza presenti sul territorio regionale e nazionale.

E’ passata ieri al Senato il disegno di legge in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, con 197 voti favorevoli, e 47 astenuti. A ridosso delle vacanze, quindi, come successe nel 2009, ancora una volta, subiamo l’approvazione di una legge che non piace alle donne per le ragioni rappresentate durante le audizioni. La legge emanata sull’onda dell’emergenza mediatica e confortata dai dati sulla percezione d’insicurezza da parte dei cittadini e cittadine, in realtà, si presenta come un provvedimento manifesto.

Come molte leggi prodotte sui corpi delle donne!

Da una lettura attenta delle norme, si evince che il Legislatore abbia colto l’occasione per inserirvi ulteriori norme repressive aumentando gli anni per i reati sessuali, per i maltrattamenti in famiglia (da tre fino a sette anni di carcere); in questo caso la pena è aumentata se il reato è commesso davanti ad un minore o ai danni di una donna in gravidanza o contro una persona con disabilità. Per il reato di stalking la pena passa da cinque a sei anni, ecc. Altra ingiustificata diade introdotta dalla legge è rinvenibile dall’associazione violenza uguale violenza sessuale. Con l’evidente svalorizzazione delle varie violenze (psicologiche, economiche, fisiche, ecc) prodotte fra le mura domestiche ai danni delle donne da parte dei mariti, conviventi, ex compagni ed affini. Nessuna norma di collegamento è prevista con il processo civile ove, in presenza di violenza domestica, viene ancora, per esempio, previsto l’affido condiviso dei minori che sono stati peraltro silenziosi spettatori della violenza assistita. Certo sono state introdotte nuove fattispecie di reato come prevedeva la Convenzione di Instanbul, quale il reato per il matrimonio forzato, il revenge porn (diffusione illecita di video), deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, oltre a prevedere l’ascolto della persona offesa del reato, da parte del PM, entro tre giorni dal deposito della denuncia. Quest’ultima previsione è stata introdotta senza tenere a mente né i problemi organizzativi  delle Procure né dell’animus  che una donna vittima di violenza ha dopo aver presentato la denuncia ai danni del proprio marito, ex convivente o ex compagno.  La conseguenza di siffatte norme, quindi, è proprio l’induzione a non denunciare.

Dalla pericolosa alchimia tra media e politica si è prodotto in maniera frettolosa questa legge che, pur venendo presentata come una legge con la quale le donne vittime di violenza maschile avranno una giustizia rapida, per le ragioni dette non sembra all’altezza delle sfide del particolare momento che stiamo vivendo.

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