Cosmogonia eresiarca

by Raffaella Passiatore

Essere Obscurus non rappresentava grandi problemi ed era abbastanza piacevole. Obscurus aveva sentito parlare di colori, calore e movimento, ma non riusciva ad immaginarsi cosa potessero essere. Sapeva che da qualche parte c’erano tutte quelle cose, la cui causa prima era chiamata Lux e la cui bellezza era decantata da tutte le voci che gli giungevano di lontano. Quelle voci parlavano talvolta anche di lui e lo descrivevano come triste, monotono e solitario. Ma che significava monotono? E solitario? E triste, poi? Più che altro Obscurus comprendeva di essere ignorante, quando le voci raccontavano di tutte quelle cose che lui non aveva mai visto. Ma in fondo era un tipo tranquillo e gli piaceva starsene immobile nella sua eternità ad immaginarsi Lux. Obscurus e Lux erano coesistiti da sempre, ma erano rimasti ben separati l’uno dall’altra ignorandosi a vicenda.

Un giorno Lux se ne andava a spasso alla sua proverbiale velocità quando, per scansare un pericoloso buco nero, prese un aquaplaning e, non riuscendo a frenare in tempo, oltrepassò i confini stabiliti. Bisogna dire che Lux era abbastanza curiosa per cui, accortasi di essere oltre il confine esistente tra lei e Obscurus, ne approfittò per dargli una sbirciatina.

Obscurus non aspettava altro ed accadde l’impossibile.

I due si guardarono. Lux diede appena un’occhiata e poi si voltò bruscamente, ma lo sguardo di lei fu per Obscurus fatale.

Come poter descrivere l’essere appena visto? Quell’essere, quella Lux, era quanto di più  meraviglioso, straordinario e favoloso ci si potesse immaginare e nessuno dei racconti sentiti dalle voci eguagliava la sua immagine reale. Egli vide tutto quello che nessuna fantasia o sogno avrebbe potuto mai generare!

Con un solo sguardo, Lux gli aveva mostrato l’immagine del creato e, se si fosse fermata anche solo un istante in più, Obscurus era sicuro che sarebbe riuscito a possederla.

Stordito da tanta bellezza e pazzamente innamorato, Obscurus riuscì in un attimo ad impadronirsi del riflesso d’ella e lo trasformò in ricordo.

Nel ricordo di Lux, Obscurus si sentiva strano, un tremore continuo lo investiva; un desiderio insopportabile di lei lo obbligava a sforzi mnemonici inauditi per poter rivivere, almeno nella mente, quello sguardo.

Le sue fantasie del passato riguardavano qualcosa di mai visto, qualcosa che lui stesso faceva e disfaceva a suo piacimento. Poteva pertanto intercambiarle come voleva quelle fantasie, una valeva l’altra, nessuna aveva vita propria, erano tutte parti dell’oscurità.

Adesso era un’altra cosa. Adesso c’era il desiderio di un essere che egli non poteva contenere. L’aveva ridotto nel ricordo di un’immagine ma si trattava di qualcosa di reale e ben preciso, impossibile da modificare o sostituire.

Quell’essere non era una parte di sé, e la sua bellezza lo assillava; lo tormentava il terrore di dimenticarne le fattezze, fosse anche solo un particolare.

Obscurus pensò che senza quel ricordo non sarebbe potuto più sopravvivere ed allora capì che, secondo quanto sentito dalle voci, doveva trattarsi di qualcosa simile al concetto di solitudine.

Neanche il compiacimento di quell’atto di comprensione gli restituì la pace interiore di una volta ed allora, sempre pensando alle voci, capì dovesse trattarsi del concetto di tristezza.

Quando ancora si trovava all’oscuro di tutto, gli era piaciuto così tanto ascoltare le voci! Ora non più, ora voleva vedere da dove venivano. Allora, anche il concetto di monotonia gli fu improvvisamente chiaro.

Le notti passarono lente per Obscurus.

Per non impazzire di nostalgia cominciò con dedizione a plasmare il ricordo di Lux.

Furono notti scure d’intenso lavoro. Notte dopo notte, dopo un tempo che calcolò essere di circa nove anni luce, finalmente dalle mani di Obscurus prese forma qualcosa….

Egli osservò con attenzione la sua creazione e poi gli impose il nome di Uomo.

Quel prodotto del suo amore però non eguagliava la bellezza di Lux e, più Obscurus lo guardava, più si sentiva insoddisfatto e triste. La nuova creatura, come Lux, non stava ferma un attimo ed il povero Obscurus aveva grandi difficoltà a mettere in atto le modifiche al suo miglioramento.

L’Uomo, dal canto suo, trovava quel padre tremendamente pedante, tetro e noioso.

L’Uomo prese così la decisione di fuggire e, approfittando delle tenebre, prese la rincorsa e saltò dall’altra parte del confine.

Lux, che aveva sentito parlare dell’Uomo dalle voci, lo riconobbe subito.

Vedendo ciò che Obscurus aveva fatto d’amore per lei, fu veramente commossa e dovette ammettere che quell’essere, l’Uomo, qualcosa che le assomigliava l’aveva veramente.

A Obscurus però, un po’ per orgoglio, un po’ perché non si facesse venire grilli per la testa, non disse nulla.

Lux non perse di vista l’Uomo e dopo qualche tempo, vedendo i progressi che questi faceva nel suo mondo, prese un’importante decisione.

Una notte Obscurus ricevette un grande pacco postale.

Lo rigirò più volte tra le mani, lo annusò e sentì l’odore della sua amata. Le dita tremanti corsero sul mittente postale, sullo spago, lungo la superficie liscia della carta da pacco.

Trattenendo il fiato, lentamente, Obscurus slegò lo spago e scartò l’oggetto.

Le mani afferrarono uno specchio.

Cosa fare al buio con uno specchio? Obscurus con tutte le sue forze cercò di riportare in vita il ricordo più preciso di Lux, gridò per lo sforzo, pianse, batté i pugni, curvato su quella superficie liscia e nera.

Non seppe mai dire perché successe esattamente in quel momento, non seppe mai quanto tempo fosse passato, per quanta eternità gli fosse riuscito d’intensificare il ricordo di lei, non seppe mai dire come ma, lentamente, vide apparire qualcosa sulla superficie nera.

Quel qualcosa andava definendosi ed Obscurus capì che quell’immagine non poteva essere altra che la sua.

Com’era possibile che senza luce lo specchio potesse riflettere qualcosa?

Si guardò intorno per vedere se per caso Lux fosse passata di lì, ma di lei non c’era traccia. Lui era solo, come sempre.

Guardò ancora nello specchio e capì allora che la luce proveniva dall’interno dei suoi occhi.

I suoi occhi avrebbero per sempre contenuto il ricordo di Lux e, grazie ad esso, Obscurus poteva adesso vedere il riflesso della sua stessa immagine. Lei, Lux, gli aveva donato la coscienza di sé. 

In quell’attimo Obscurus fu certo di comprendere il sentimento della felicità e giurò che avrebbe amato Lux per l’eternità.

E così fu, per i secoli dei secoli…

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