Curon, la nuova serie Netflix: un’innovazione nel panorama delle serie italiane o un’occasione sprecata?

by Gabriele Rana

Chi ha letto le pagine o anche solo visto la copertina di Resto qui, il romanzo scritto da Marco Balzano, è rimasto sicuramente impressionato dal campanile che emerge dal Lago di Rèsia.

I viaggiatori più fortunati avranno avuto l’opportunità di visitare dal vivo quell’insolito elemento architettonico che fuoriesce dalle acque di quel lago artificiale. Il campanile in questione è ciò che rimane della Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria ed è la reliquia del piccolo paese di Curon che nel 1950 fu raso al suolo, nonostante le opposizioni degli abitanti, per costruire una diga artificiale. Non è perciò difficile immaginare perché questa torre campanaria anadiomene, come Venere o Venezia che emergono dalle distese marine, sia diventata una meta interessante e suggestiva per i visitatori che rimangono estasiati dalla visione di questo lago incastonato nel gioiello dei paesaggi del Trentino Alto Adige. Ma così come un paesaggio riflesso nel lago può avere due cieli, uno reale e chiaro alla vista e l’altro più scuro riprodotto dallo specchio dell’acqua, allo stesso modo c’è una leggenda che riguarda il campanile: anche se sono state rimosse, nelle fredde notti d’inverno è possibile sentire il suono delle sue campane e Curon, la nuova serie italiana targata Netflix uscita il 10 giugno, si basa proprio su questa storia e ne amplifica alcuni aspetti.

I gemelli Mauro e Daria Raina si trasferiscono insieme alla madre Anna a Curon, paese che la donna era stata costretta dal padre ad abbandonare diciassette anni prima, quando era ancora giovanissima, dopo il suicidio della madre. Si comprende però dai primi minuti della serie che la madre di Anna in realtà non si è suicidata, bensì è stata uccisa da un sosia della ragazza: lei ha rimosso tutto per lo shock. I tre Raina si sistemano nell’albergo di famiglia, ormai in disuso e abitato soltanto da Thomas, il nonno dei ragazzi, che inizialmente si rifiuterà di ospitarli per evitare che le sofferenze di cui è stata vittima la figlia possano ripetersi. Mentre Mauro e Daria cercano di abituarsi alla loro nuova vita, la madre viene misteriosamente rapita e i due, con altri coetanei, dovranno spingersi in una pericolosa avventura per ritrovare la madre perduta. Gran parte della storia ruota intorno a questi sosia o doppelgänger, che vogliono sostituirsi agli originali e sono il prodotto di una maledizione che tormenta Curon. Le copie sono la personificazione del nostro lato più oscuro che ci sussurra all’orecchio di compiere azioni moralmente ingiuste, quelle che l’uomo reprime costantemente ma di cui può cadere vittima, un concetto per niente dissimile rispetto a quello descritto da Stevenson nell’opera Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde.

Curon è una serie godibile, non risulta quasi mai pesante per lo spettatore ed è molto interessante, soprattutto se si pensa allo scenario delle serie televisive italiane, ma presenta alcune pecche, riscontrabili anche dai meno esperti, che ne abbassano drasticamente la qualità. Una premessa di trama tanto intrigante non è accompagnata da un’ottima messa in scena, così come il comparto visivo, che ti fa subito entrare nel mondo cupo e thriller della serie (spesso esagerando con eccessive zone di buio), non è accompagnato da un montaggio audio di qualità: infatti, questo risulta in molti casi inadeguato e spezza la tensione di diverse scene.

La sceneggiatura in diversi casi presenta diversi buchi a favore di cliché e di deus ex machina tipici di questo tipo di narrazione, alcune reazioni di causa e di effetto tra gli avvenimenti, tra i personaggi e alcuni dialoghi risultano poco credibili, pesando fin troppo sulla sospensione dell’incredulità e sulla caratterizzazione dei protagonisti. Un’altra pecca – attenzione, perché questo può essere considerato uno spoiler – è che la maledizione non viene mai spiegata chiaramente e non viene approfondito neanche quale intento abbiano i doppelgänger, oltre a quello di sostituirsi agli originali e questo unito al fatto che uno dei misteri principali della serie, che per i personaggi rimane un’incognita per diversi episodi (quello del già citato suicidio della mamma di Anna) venga svelato cosi presto allo spettatore, porta quest’ultimo a confondersi e a perdere il senso di una narrazione di cui non riesce a comprendere il senso completo, mancando sia un inizio chiaro che un finale, visto che viene lasciato volutamente aperto.

Nonostante ciò, non è una serie da cestinare completamente e si spera che con la seconda parte di Curon si riesca a sfruttare al meglio tutti quegli elementi che avrebbero potuto renderla innovativa nel panorama italiano. E, forse, addirittura un cult.

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