Di persona personalmente. Nel buio è molto facile essere rapiti da una luce

by Enrico Ciccarelli

Incredibilmente, benché mi sia appena laureato su facebook in Negoziazione Internazionale di Sequestri e in Percorsi di Apostasia, devo confessare che non ho la più pallida idea su quanto la conversione all’Islam di Silvia Romano sia stata influenzata dalla sua condizione di sequestrata. Ho sentito parlare di questa “sindrome di Stoccolma”, ma non mi è chiaro se si riferisca alla città o a uno dei personaggi della Casa di Carta. Oltretutto, le mie povere e semplici nozioni di antiquato esponente del secolo scorso mi indurrebbero a pensare che non sia affar mio.

Lo Stato si è impegnato –e ha fatto benissimo- per restituire la libertà a una nostra giovane compatriota. Che questa italiana sia buddista, cristiana o mussulmana (e persino atea), non muta in alcun modo la valutazione di quanto è accaduto. Sarebbe lo stesso se fosse tornata con la tunica arancione degli Hare Krishna e il terzo occhio accuratamente dipinto, con i capelli tinti di blu elettrico, con una sfegatata passione per l’Inter. Basta che sia tornata.

Detto questo, e fuor di celia, credo che il sequestro di persona sia, subito dopo l’omicidio, il reato più abietto: perché sottrae alla vittima, per motivi ideologici o ancor più vili, la sua libertà, cioè il bene più prezioso. La costringe in una visuale ristretta e alterata, mette una spietata barriera di ferro tra lei e il resto del mondo, una barriera che la separa soprattutto dai suoi carcerieri. Nessun rapporto è più spietato e inumano di quello che viene a stabilirsi fra chi pone un arbitrio e una vessazione così severi e chi le sopporta.

Eppure, per marcio, spietato, insopportabile e atroce che sia, un sequestro di persona riguarda, per l’appunto, persone. E quando ci sono di mezzo le persone, quando c’è una vicenda che riguarda di persona personalmente, come direbbe il nostro Profeta Catarella, tutto può accadere. E nei fatti accade soprattutto che la grata ferrea che separa i due elementi della scena divenga permeabile, non riesca a trattenere pensieri, sentimenti, empatie.

In un film che ricordo di avere visto tempo fa, ma che la mia memoria lasca non riesce a ricordare e a ritrovare, si parlava del rapimento, in Sicilia, di un possidente la cui famiglia non aveva alcuna intenzione di riscattarlo; sì che i rapitori, non volendolo uccidere, si organizzano per accudire. Fra i sequestratori e il sequestrato, fra i primitivi e l’evoluto, fra gli ignoranti e l’acculturato si stabilisce così un singolare rapporto, che porta il possidente, sempre prigioniero, a diventare una specie di punto di riferimento, un precettore per adulti e bambini, una “persona di famiglia”. Un rapporto che dura fino alla morte naturale del sequestrato, unanimemente compianto.

Poi, certo, ci sono i casi di Patricia Hearst, l’ereditiera che abbracciò fisicamente e moralmente le idee dei suoi sequestratori (e anche il corpo di uno o più di essi, sembra). Ma c’è anche Fabrizio De André, che con sua moglie Dori Ghezzi visse un rapporto decisamente complesso con i suoi sequestratori, che rifiutò di accusare in tribunale. Ma la rapita più famosa è probabilmente Roxelana-Hürrem, che da rapita in Polonia (o da quelle parti) e venduta come schiava a Costantinopoli riuscì a divenire la sposa (non solo la favorita, si badi) di Solimano il Magnifico e una delle donne di maggiore e più tenebroso potere nella storia dell’Impero Ottomano.

Ecco, al di là delle polemiche più o meno insulse e triviali, il sequestro di Silvia Romano ha il pregio, per chi voglia coglierlo, di restituirci l’enigma insondabile dell’umano, di ricordarci che ogni uomo e ogni donna è un mistero, che da ogni accrocchio o incontro d’anime può scaturire l’imprevisto, l’inatteso, il sorprendente. D’altronde bastava –come sempre- consultare un vocabolario per apprendere che “rapimento” vuol dire molte cose, non tutte ascrivibili alla sua accezione giuridica.

Rapiti possiamo essere dalla brutalità, ma anche dall’incanto. E nel buio è molto facile essere rapiti da una luce, per piccola o fioca o fatua che sia. Altro non è dato dire o sapere. 

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