Diventa adolescente il Festival delle Idee Colloquia. Un grande successo contro i «Complotti» dell’indifferenza

by Enrico Ciccarelli

Lunga vita a Colloquia. Giunto alla sua XIV Edizione, il Festival delle Idee della città di Foggia, nato nel 2009 da un’intuizione di Francesco Andretta, presidente emerito della Fondazione Monti Uniti (ai tempi ancora Fondazione Banca del Monte), e proseguito con i suoi successori Saverio Russo e Aldo Ligustro, è da sempre un appuntamento con l’intelligenza che nobilita e contraddice la morta gora del discorso pubblico nella città.

Più volte mutato di location (l’edizione 2023 si è tenuta nell’Aula Magna del Dipartimento di Lettere, intitolata a Giovanni Cipriani), dirottato in altre date e uscito malconcio dalla pandemia, è un appuntamento di incipiente primavera che ha portato in città nomi di altissimo livello della cultura italiana nei suoi diversi campi, con un oculato mix di orientamenti politico-culturali e una sapiente miscela di personalità dalla minore o maggiore visibilità mediatica. Indovinata anche la scelta dei conduttori, passata da giornalisti locali grati dell’onore (quorum ego) a stelle di prima grandezza dell’informazione, da Gad Lerner a Ilaria Capitani  a Marianna Aprile.

La formula di Colloquia prevede che ogni edizione sia caratterizzata da un tema, che è in realtà una suggestione. Non serve a dettare un ordine del giorno, ma a dar conto della ricchezza dei possibili approcci e delle diverse prospettive con cui si può sogguardare un argomento.

Si ricordano fra gli altri «Eretici», «Relativi assoluti» e il bellissimo «La siepe e l’infinito». L’edizione 2023 era dedicata ai «Complotti» (per «dibattere su come, in questa fase grigia della storia del mondo, si possa ragionare liberamente senza lasciarsi condizionare dai richiami, spesso assurdi se non addirittura involontariamente comici, a “poteri forti”, grandi evasori, caste, cricche, toghe rosse, burocrazie sindacali, lobbies, circoli massonici, finanza internazionale, big pharma ecc.» scrive Ligustro nella sua presentazione) e sarà ricordata innanzitutto per lo splendido manifesto ideato da Laura Ciano: un iceberg che sotto la parte emersa innevata presenta un sulfureo sottofondo demoniaco.

Anche quest’anno si è replicata la consolidata formula delle ultime edizioni: un anticipo teatrale il venerdì sera e due panel di discussione collocati il sabato pomeriggio e la domenica mattina. Ci è sembrata più interessante che divertente la «lezione di tirannide» del bravo autore bitontino Antonio Losito, autore di un magnifico podcast e un bel libro sulla vasta, feroce e sconcertante fauna di tiranni delle autocrazie. Particolarmente suggestiva l’esperienza della cafonaggine crescente e senza speranza dell’ultima generazione di questi loschi figuri (ma anche le democrazie danno segnali preoccupanti in tal senso).

Eccellenti i due confronti: nel primo Roberta Villa ha parlato di quella autentica enciclopedia del complotto che è stata o è la pandemia, che non per caso è stata qualificata anche come infodemia. Un banco di prova che ha fatto registrare un esempio perfetto di quella che Julien Benda chiamò «Il tradimento dei chierici»: giornalisti e trasmissioni pronti a soffiare sul fuoco della rabbia e della paura, medici, immunologi, virologi e varia scienzerìa in gara di commenti acchiappalike, blastaggi da machos, eresie indimostrate.

Gherardo Colombo, il più colto e riflessivo fra i magistrati di Mani Pulite (nonché uno dei pochi fra loro che non avesse idee politiche un po’ più destrorse di Giorgio Almirante), ha fornito una ricostruzione molto ragionevole di quella stagione, con la cleptocrazia sistemica cui la caduta del Muro aveva tolto l’immunità, sia della patologia giustizialista che l’ha seguita, con la punizione esemplare del colpevole come lavacro autoassolutorio e la rimozione di quella che Colombo ritiene la questione essenziale, ossia il controverso e spesso complicato rapporto che i cittadini italiani (non da soli, ma in proporzione superiore ad altri popoli) hanno con le regole. Un’idea che sembra obiettivamente più persuasiva del feticcio della legalità sbandierato in ogni dove.

Esemplare per rigore l’intervento di Nona Mikhelidze, che l’opinione pubblica si è abituata a conoscere per i frequenti e qualificati interventi sul conflitto in Ucraina. Molto puntuale la sua descrizione sul ruolo giocato dal regime di Putin nell’inquinamento e nell’avvelenamento dell’opinione pubblica occidentale, soffiando sul fuoco delle rabbie e delle paure per disarticolare l’edificio della convivenza sociale (sia nella Brexit che nell’elezione di Donald Trump la comunicazione digitale e i social network hanno avuto un’importanza decisiva. L’analista georgiana, che ha una vastissima competenza sulla realtà della Russia e dei territori ex-sovietici, ha manifestato il suo ironico ed educato stupore per la disinvoltura con la quale si esprimono sul tema intellettuali formatisi su tutt’altro argomento e in tutt’altre discipline. E ha ricordato l’ovvietà più odiata da tutti i complottisti: chi ritiene difficile un negoziato fra Russia e Ucraina non lo fa perché sia un guerrafondaio; le valutazioni dipendono dai dati e non dai desideri. Con tanti saluti per chi vuol sostenere che la libertà di espressione consenta di affermare che la terra è piatta.

Nella mattinata domenicale una fascinosissima comunicazione della scrittrice Loredana Lipperini, che ha fatto risalire la fortissima capacità attrattiva dei complotti a un testo capostipite del feuilleton, «I misteri di Parigi» di Eugène Sue. Marx ed Engels, intenti a scrivere il Manifesto del Partito Comunista, non ne seppero capire la pregnanza (proprio come Antonio Gramsci non capiva Carolina Invernizio) e si condannarono a una lunga miopia nei confronti dell’immaginario collettivo di quelle masse che volevano riscattare. Anche perché il complottismo d’appendice è un ottimo metodo per oscurare i complotti veri: Lipperini lo ha plasticamente dimostrato parlando della sua amica d’infanzia Graziella De Palo, giornalista di «Paese Sera», scomparsa (nel senso che non se ne hanno più notizie) quarantadue anni fa a Beirut insieme al collega Italo Toni mentre indagava sul traffico d’armi fra Italia e guerriglia palestinese. Uno dei misteri più fitti degli anni della Notte della Repubblica, un mese dopo la strage di Bologna e poco più di due dall’abbattimento del volo Itavia IH870 a Ustica. Trame coperte da segreti di Stato, rispetto ai quali le stravaganze sulle scie chimiche hanno un effetto diluente e svaporante.

Molto articolato e a tratti impietoso l’intervento di Valentina Petrini, la giornalista pugliese che dopo la sua memorabile inchiesta «Ambiente svenduto», dedicata all’Ilva di Taranto ha cominciato a occuparsi in maniera analitica di disinformazione e fake news, anche se da un angolo visuale diverso da quello del fact-cecking o del debunking. Molto accurata la sua distinzione fra i complotti veri, quelli in cui esiste una verità nascosta che prima o poi si riuscirà a far venire fuori, come profetizzò Pasolini («non potranno mentire per sempre»); e le teorie cospirazioniste, nelle quali l’inconoscibilità perenne della verità è un assunto fondamentale («noncielodicono»). Un concetto che Lipperini perfeziona precisando che i complottismi, a differenza dei complotti veri, sono perfetti. Fondamentale il richiamo fatto da Petrini alla non delegabile responsabilità dei cittadini, che concorre con quella degli intellettuali, dei giornalisti, dei politici.

Sugli scudi Raffaello Lupi, ordinario di Diritto Tributario a Tor Vergata. Uno studioso serissimo e facondo, dal marcatissimo accento capitolino, che ha spiegato in modo soave quali vizi logici e concettuali ci sono nel nostro modo di pensare e vivere l’economia e la finanza. Un altro dei paradisi del complottismo, dagli Gnomi di Zurigo al gruppo Bilderbeg, dai signori del bingo ai giganti del Web. Lupi spiega in modo semplice che è sbagliato il processo di antropomorfizzazione dell’impresa: non ci sono il signor Coca e il signor Cola che tramano i destini del mondo; che esiste un rapporto necessario fra produzione di serie e consumo a debito (cioè finanza), che non c’è una grande saccoccia in cui i misteriosi padroni delle multinazionali infilano i soldi sottratti al fisco. Costrutti mitici demoliti con esempi di soave leggerezza e immediatamente comprensibili.

L’incontro ravvicinato, senza la tirannide dei tempi televisivi, con persone come Lupi è la ragione per la quale, appena finisce un’edizione di Colloquia, si vorrebbe che il giorno dopo cominciasse la successiva. Invece, portate pazienza, si deve aspettare un annetto.

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