Dopo la “guerra” del Covid, nel 2021 cerchiamo la sostenibilità di risposte condivisibili

by redazione

Nessuno sfugge all’esperienza di voltarsi indietro per rivedere e ripassare i giorni e le immagini legate al 2020 che a tutti resterà impresso come un anno da non poter facilmente dimenticare come invece è accaduto per tanti altri anni che ci siamo lasciati alle spalle. Soprattutto per quelli della mia generazione che non hanno vissuto l’esperienza della guerra.

Certo, sono due esperienze diverse, entrambe dure, ma nella guerra almeno i contendenti si lottano e muoiono per uno scopo. In questa pandemia invece si combatte quasi al buio e si rischia di morire senza scopi, inoltre per la sua vastità e crudeltà, credo sia un’esperienza mai vissuta dall’umanità nella sua storia. Mi auguro che non ce ne siano mai più.

Per quel che mi riguarda, se dovessi parlare di me e della mia famiglia non posso negare che tirando le somme mi è andata bene e, malgrado qualche ferita che resterà con la sua cicatrice indelebile al tempo, questo è stato anche l’anno in cui mio figlio ha conseguito la sua sognata laurea in ingegneria. Basta questo per essere felice. E però sarei egoista. Le immagini di sofferenza sulle quali invano si poserà la polvere del tempo sono tante e sarebbe lungo elencarle qui tutte. Ma più di tutte perché appartengono definitivamente alla nostra memoria collettiva sono quelle di quei camion carichi di bare con dentro i corpi di persone alle quali la sorte ha negato di esalare l’ultimo respiro accarezzate dalle premure e dalle lagrime delle persone care. Quella di raccogliere l’ultimo respiro e di incrociare l’ultimo sguardo perso di una persona che ci ha amato è un’esperienza esclusiva degli umani e che io auguro a tutti perché è un’esperienza profondamente dolce e amara a un tempo.

Ti resta dentro nell’anima perché ha misteriosamente il potere di ricaricarti di insospettata energia ogni qualvolta ti senti solo e sconfitto dalla vita e a quel momento ritorni con la memoria.  Ma il male purtroppo e con mistero sta nel mondo e noi non possiamo fare altro che trovarne il senso e curvarlo a nostro vantaggio per rinascere ripensando la nostra vita per ricostruirla   con gli stessi mattoni, ma con malta diversa. Ricostruirla con il convincimento che tutto ciò che appartiene al mondo, a questo mondo, è fragile, transitorio, precario e nulla di esso ci aiuta in momenti come quelli in cui, fatalmente e per destino si resta soli con sé stessi perché a nulla ci servono i trofei e le medaglie della mondanità. Alle quali siamo attaccati e sulle quali, come su una lastra sottile e fragile di ghiaccio, “pattiniamo” inconsapevoli che in un attimo quella lastra si incrina e andiamo a fondo.

La tempesta che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo ha smascherato la nostra vulnerabilità e ha scoperto le nostre false sicurezze con cui abbiamo costruito tutti i nostri progetti, tutta la nostra vita e tutte le nostre priorità. Questo deve farci riflettere e deve spingerci a cercare altrove un punto fermo, una roccia, su cui rifondare la nostra vita. Io credo che si possa creare un mondo migliore se prendiamo atto che qui, su questo pianeta, in questo angolo sperduto dell’universo, in fondo siamo tutti pellegrini per strada e in viaggio verso una meta comune che ci lega ad un unico destino.

La secolarizzazione e la mondanità, di cui siamo intrisi, hanno fatto di noi uomini ad una sola dimensione; hanno reso deserto il cielo e costruito altri Olimpi abitato da divinità che lasciano senza risposte le domande ultimative che ci portiamo dentro e che invano eludiamo; hanno reso tiepida non solo la Fede, ma ogni fede tra gli uomini; hanno contaminato e guastato la bella “aiuola” che  ci innammorava con i suoi paesaggi e ci rendeva orgogliosi; ci hanno resi indifferenti gli uni verso gli altri. 

Io credo che si possa ricominciare a partire, ad esempio, dalla sostenibilità e credibilità delle risposte condivisibili da tutti e che ciascuno di noi, nel silenzio del suo animo, saprà dare a domande come queste: per me qual è la cosa più bella? Qual è la cosa più grande? Qual è la cosa più forte? Qual è la cosa più triste? Qual è la cosa più saggia? Qual è la cosa più difficile? Qual è la cosa più facile?

Sembrano domande banali, ma nella risposta sta la cifra della nostra umanità.

Pensiamoci e mettiamoci alla prova.

Pasquale Bonnì

(ex dirigente scolastico in pensione)

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