Favole di favole. L’ape e la Ferrari

by Raffaella Passiatore

C’era una volta, e una volta non c’era, un vecchio tartarugone.

Era tanto tanto vecchio, alcuni dicevano che fosse vivo da millenni. Con precisione non lo sapeva nemmeno lui quanti anni avesse, poiché aveva smesso di festeggiare i compleanni ed era andato perdendo il conto. A causa dell’età aveva qualche acciacco, il peggiore era un’acuta infiammazione al nervo sciatico che gli aveva reso il camminare abbastanza doloroso.

Così decise di comprarsi un treruote, un Ape 50, e con quello andava per campi a raccogliere verdura fresca e frutta da far seccare, che poi immagazzinava nella dispensa come provviste per l’inverno.

Quella mattina, di una bellissima giornata d’autunno, il tartarugone se ne andava col suo Ape verniciato di verde per una stradina di campagna quando vide qualcosa di rosso messo di traverso che gli bloccava la strada. La cataratta gli annebbiava la vista così dovette avvicinarsi. La prima scoperta fu che si trattava di una grossa cilindrata; la seconda scoperta, a distanza ancora più ravvicinata, fu che l’automobile era una Ferrari F8 Spider. Il tartarugone non riusciva a vedere se dentro ci fosse qualcuno, quindi dovette scendere dal treruote ed avvicinarsi al finestrino. All’interno intravide qualcuno che dormiva placidamente sdraiato sul sedile. Così bussò al vetro:

«Senta, scusi…Senta lei! Hey, dico a Lei, si svegli!»

Il finestrino della Ferrari si abbassò elettricamente e si affacciò un bellissimo giovanotto biondo dal viso assonnato: «Eh, che vuoi cariatide? Come ti permetti di svegliarmi?»

«Ma le sembra normale dormire ancora alle otto della mattina?»

«Io dormo quanto mi pare e piace, rimbambito! Normalmente mi alzo a mezzogiorno io!»

«E normalmente dorme in mezzo alla strada?»

«Io dormo dove mi pare e piace, hai capito, rettile?»

«Allora Lei dev’essere uno sfaticato se alla sua età alle otto della mattina sta ancora a poltrire invece di andare a lavorare, e per di più in macchina! Evidentemente ieri sera ha fatto bagordi! Quanto Spritz ha bevuto?»

«Niente Spritz, solo vodka e pasticche!»

«Ah, allora è della peggior specie: un ubriacone impasticcato».

«Nonno, ma che accidenti vuoi? Cerchi grane?»

«No, da queste parti cerco solamente insalate ma se Lei non si sposta io non riesco a passare con il mio veicolo e, ne consegue, che non posso andare a raccogliere i sopracitati vegetali!»

«Allora la tua stramaledettissima insalata dovrà aspettare! Decido io qui quando ci si muove, hai capito? Qui sono io che decido tutto!»

«Oh, e allora al cospetto di chi mi trovo? Del re, forse?»

«Non ci sei andato molto lontano, brutto becco, questo è il mio territorio, qui decido io».

Il giovinastro uscì dalla macchina, si diresse verso il treruote della tartaruga e, ritto in piedi, si aprì le braghe e pisciò giusto sulla portiera.

«Ah, ecco, è così che marca il territorio?»

Sbottò la tartaruga.

Il giovanotto ignorandola completamente, si chiuse la patta dei pantaloni e tornò alla sua Ferrari, si sedette sul cofano, tirò fuori un sacchettino dalla tasca e ne annusò il contenuto. Pareva zucchero a velo. Inspirò profondamente, tirò su col naso un paio di volte, quindi scosse il capo e sorrise alla vecchia tartaruga.

«Giovanotto cos’è che trova tanto divertente? O quella robaccia le ha già dato alla testa?»

Il giovanotto rise facendo il verso al tartarugone.

Il giovinastro aveva un fisico poderoso; era alto almeno un metro e novanta e parecchio palestrato. I bicipiti ed i pettorali sembravano esplodere, pressati nella giacca di pelle nera che il ragazzo portava sopra una T-shirt con un teschio stampato sopra. I jeans erano strappati in più punti, secondo la moda, in vita portava una cintura con le borchie e altrettante, a chiodo sagomato, erano piantate sugli stivali a punta di cuoio nero. Al collo portava una pesante catena d’oro e tre spessi bracciali al polso sinistro. All’indice destro portava un vistoso anello, con un turchese incastonato in una montatura d’argento.

Il giovanotto si stagliò sul capo della vecchia tartaruga come una quercia e, come all’ombra d’essa, l’animale apparve intimidito agli occhi del ragazzo, la qual cosa fece aumentare la sua boria. Tuttavia, lo sappiamo bene, spesso l’apparenza inganna. Il tartarugone alzò la testa e, dimostrandosi tutt’altro che in soggezione, esclamò: «Complimenti, proprio un bel tamarro!»

«Come hai detto scusa? Ho capito bene?»

«Ho detto: proprio un bel ramarro. Capirete che per i miei gusti di rettile i ramarri sono particolarmente affascinanti, voleva essere un complimento, giovanotto. Comunque vorrei presentarmi, mi chiamo Zenone e Voi, mio Signore? O come preferite che Vi chiami in futuro?»

Chiese la tartaruga facendo un inchino.

«Dì un po’, rettile, mi stai paraculando?»

«Non mi permetterei mai, Voscenza e poi, con la Vostra sagacia, Ve ne accorgereste  immediatamente!»

Il giovanotto rimase un attimo perplesso, quindi si stiracchiò e si risedette in macchina lasciando lo sportello aperto, come se volesse –abbassandosi- far sentire la tartaruga più a suo agio. Finalmente si presentò: «Sono Achille! »

«Ah, Voi siete Achille, ho tanto sentito parlare di Voi…Grazie di esservi abbassato alla mia umile statura».

«Beh, sì, in effetti, ho una bella stazza io!»

«Conobbi un certo poeta portoghese, molto tempo fa, che scrisse: Non ho la statura della mia altezza ma di ciò che vedo».

«Che significa sta’ cosa?»

«Oh, nulla d’importante, non Ve ne crucciate, mi riferivo alla mia cataratta, ci vedo poco e male ma in quanto a sentire, beh, ci sento benissimo e ho ascoltato molto sul Vostro conto, su di Voi e su Patroclo, per esempio, si rumoreggia parecchio negli ambienti più conservatori… »

«La mia fama è giunta anche ai rettili striscianti come te?»

«Anche a quelli sì, considerate bene però, Egregio Achille, che io non striscio, in condizioni normali, che in questo momento la sciatica m’impediscono, cammino non solo con ben quattro zampe ma anche abbastanza spedito».

«Intanto ti consento di darmi del Lei, il Voi è antiquato» .

«Come Lei desidera».

«E cosa avresti ascoltato sul mio conto, sentiamo un po’…»

Disse Achille accendendosi uno spinello.

«Le dispiace se mi metto contro vento? Quella roba lì, anche solo ad annusarla mi fa un effetto abbastanza spiacevole».

Achille rise e la tartaruga si sistemò contro vento e si mise comoda su un folto ciuffo di Taràssaco ed iniziò a spiluccare un fiore giallo.

«Le dispiace? Non ho ancora fatto colazione. Non sono più quelli belli sugosi dell’estate tuttavia bisogna accontentarsi degli ultimi della stagione…Gradisce?»

«No, io odio le verdure! Veramente mi farei una bistecca!»

«Beh, non c’è alcun problema» Disse il tartarugone e, un po’ dolorante, si fece al suo Ape e ne estrasse un tavolino pieghevole, due sdraio e un grill.

«Le dispiacerebbe aiutarmi? Sistemi tutto laggù, al sole».

Achille perplesso ubbidì. «Ma non aveva fretta?»

«Sì, esatto, Lei ha usato il tempo verbale giusto, un imperfetto, che descrive -tra le altre opzioni- una situazione passata in lento divenire, ed infatti nel presente fretta non ne ho più. Bisogna sapersi adattare alle circostanze, saper modificare i propri piani è il segreto di una vita lunga e felice, mi creda; cosa fa la foglia al vento se non si piega?»

«Cosa fa?!» Ripeté Achille.

«Cosa fa?! Ma si spezza, naturalmente! Venga qua, mi aiuti a prendere il grill, ecco, lo metta lì, e qui c’è la carbonella ed i fiammiferi».

E mentre Achille sistemava il grill, Zenone allungò una zampetta per aria. «Mmmhhh, poco vento! Avremo bisogno di un accessorio fondamentale se vogliamo avere un fuoco, perché: senza fuoco, niente brace!»

Tirò fuori dal treruote, un fon e lo porse ad Achille. «È una mia invenzione, va a pile, lo direzioni sulla carbonella, è molto più pratico che starci a sventolarci sopra, tanto più che non abbiamo ventagli!»

Achille ubbidì sempre più stupito ed incuriosito. «E la carne?»

«Non sia impaziente, Achille, pensi intanto a fare una buona brace. La vita, chilometro per chilometro è difficile, metro per metro è facile, millimetro per millimetro è facilissima!»

Detto questo, Zenone si stravaccò sulla sdraio mentre Achille si occupava della brace.

Achille si sentì di ottimo umore, quella tartaruga gli era simpatica, lo divertiva proprio, quindi diventò loquace.

«Sì, ieri sera ho fatto tardi, ho dovuto fare un lavoretto, senza di me i ragazzi non si azzardano a menare le mani. C’è una banda avversaria, quelli della famiglia Priamo, che ci stanno dando filo da torcere, sono dieci giorni che tentiamo invano di stanarli! Ieri notte, ne abbiamo incontrati un paio per strada, dopo avergliele date di santa ragione a quei bastardi, abbiamo fatto un po’ di baldoria; ero talmente strafatto che non ce la facevo a guidare per tornare a casa, così mi sono fermato su questa stradina di campagna e mi sono messo a dormire».

«Mi dica di più di questa banda».

«Ahhhh! Porca Troia!»  Gridò Achille che si era bruciato con un lapillo.

«Faccia attenzione! Comunque adesso può spegnerlo il fon, credo che basti. Allora, diceva?»

«Sì, uno di loro ci ha fatto uno sgarbo, si è fottuto la femmina di Menelao, uno della nostra famiglia».

«La famiglia Achei?»

«Esatto. Abbiamo dichiarato guerra a tutta la famiglia dei Priamo. Ogni volta che ci scontriamo, gliele suoniamo di santa ragione tuttavia non riusciamo a stanarli da quella specie di fortezza in cui vivono; abbiamo provato di tutto: gli abbiamo fatto fuori i migliori, gli abbiamo rapito e violentato le donne, niente. È nella fortezza in cui vivono che tengono la roba…roba buona, una partita di eroina purissima che deve essere nostra! Dobbiamo riuscire ad entrare nel loro covo, riprenderci la femmina e lasciarli puliti puliti» .

In quel momento si sentì il ronzio di una bicicletta. Veniva, pedalando dalla città, una signora di mezza età. Nel cestino montato sul manubrio portava verdure fresche di stagione e, sul portapacchi posteriore, legato con una cinghia, un involucro di carta.

«Buongiorno Signora». Disse il tartarugone sventolando una zampetta.

«Buongiorno! » Rispose quella.

«Signora, faccia attenzione, perde il pacchetto!»

Gridò Zenone. La signora si fermò, scese dalla bicicletta e controllò il pacchetto.

«Non mi sembra proprio, non ho perso niente, è ancora qui, ben fissato al portapacchi! »

«Infatti io ho detto perde non “ha perso” il pacchetto».

«Ma cosa significa, scusi? »

«Ha perso è il Passato Prossimo del verbo Perdere e si riferisce al passato, mentre perde è presente indicativo dello stesso verbo».

«E quindi? Sempre lì sta il pacchetto».

«Sì, ma perde…»

«In che senso, scusi?»

«Perde…l’equivoco nasce dalla sbagliata individuazione del soggetto che non è Lei signora ma il pacchetto. Quindi non è Lei a perdere il pacchetto. È il pacchetto che perde, mi spiego? Dal pacchetto fuoriesce della sostanza liquida probabilmente organica».

«Ma cosa dice?Dov’è che perde?»

Disse la signora liberando il pacchetto dalle cinghie e controllando l’involucro.

«Permette? Le faccio vedere…» Disse la tartaruga afferrando il pacchetto fino a quel momento intonso e, di nascosto, forandolo con un’unghia appuntita. Dal pacchetto fuoriuscì un liquido rossastro.

«Oddio! Veramente, mi sporcherà tutta la bicicletta!»

«Eh, glielo dicevo…. Com’è questa macelleria Cassandra?»

«È la mia macelleria di fiducia, mi servo lì da anni».

«Mmmhh… Che cosa ha comprato oggi di buono?»

«Due fiorentine e fegatini di pollo».

«Guardi non si preoccupi, ho proprio qui la mia Ape, come vede siamo attrezzati per un

Picnic, mi dia il pacchetto e le travaso la carne in un contenitore di plastica, dia pure

a me!»

«Oh, grazie, che gentile, come sono stata fortunata ad incontrare Lei!»

«Lo può dir forte! » Disse Zenone alzandosi e sparendo poi brevemente dentro la tenda verde dell’Ape.

«Che creatura tanto gentile, ce ne fossero di più ai tempi d’oggi! » Disse la signora ad Achille.

«Eh, sì, lo può dir forte!»

«Ecco qui, signora, le ho sistemato tutto in due contenitori separati e poi li ho messi in due sacchetti, adesso l’aiuto a fissarli con le cinghie alla bicicletta. Ecco fatto….così…»

«Guardi non so come ringraziarLa! Però le lascio qualcosa per i contenitori di plastica, sono diventati così cari!»

«Ma no, non stia a preoccuparsi!»

«Insisto, mi dica quant’è…»

«Beh, se proprio insiste, allora mi paghi con una carota ed una zucchina!»

«Veramente così poco?»

«Va benissimo!»

Detto questo la signora sfilò dal cestino la carota più bella e la zucchina più grossa e le porse a Zenone.

«Mille grazie, a presto!»

«Arrivederci! » Gridò la signora mentre, inforcata la bicicletta, si avviava svelta su per la stradina di campagna.

Achille guardò basito Zenone che scomparve brevemente di nuovo dentro la tenda del suo Ape e riapparve con un piatto da portata pieno di carne ed un altro con la carota e la zucchina tagliata a listarelle.

«Beh, la macelleria Cassandra non è propriamente tra le più affidabili!»

«Ma dove sono le fiorentine?»

«Appunto, non ci sono! Al loro posto però ci sono due bellissimi filetti di vitellone e invece dei fegatini costolette di maiale! Le dispiace occuparsene Lei? La mia schiena non mi dà pace. La brace adesso è perfetta, per favore ci metta prima le verdure, cottura media per la zucchina e ben cotta la carota».

Achille fece quanto Zenone gli chiedeva.

«Certo che sei un bel furbetto…»

«Lei trova? » Disse il tartarugone mettendosi comodo.

«Comunque la fai troppo difficile; tutto troppo complicato, le cose sono molto più semplici». Disse Achille mentre le zucchine sfrigolavano sulla griglia.

«Mi delucidi, Achille…»

«Sarebbe a dire che io le bistecche alla signora gliele avrei prese con la forza, non con l’astuzia! L’astuzia è faticosa ed è roba da sfigati. Ti comporti come un codardo, uno senza i coglioni. I trucchetti li adottano i rammolliti. Io prendo ciò che mi va senza chiedere e senza sotterfugi, è la legge del più forte».

«Sì, è la legge della natura, quindi Lei, che è un essere umano, applica pur tuttavia la legge delle bestie e non quella degli uomini».

«La legge della natura è l’unica legge giusta! Il lupo mangia l’agnello, bisogna prendere esempio dagli animali».

« Chi dice che nel mondo bisogna essere o pecora o lupo, non pensa che l’uomo, appunto perché uomo, non devo essere né lupo né pecora. Lo scrisse Arturo Graf nel 1908 in un testo dal titolo emblematico: “Ecce Homo”. Pensi che il Graf nacque ad Atene…»

«Che stupidata! Il mondo si divide tra lupi ed agnelli! »
«Del resto, i motivi che vi hanno spinti a questa guerra tra famiglie sono, diciamo così, abbastanza animaleschi…»

«Certo! Nel mondo animale i maschi combattono per le femmine e per la preda, così facciamo noi. Va bene così la cottura?»

Chiese Achille mostrando la zucchina e la carota a Zenone.

«Perfette! Adesso può arrostire la Sua carne…mi scusi sa, ma non sopporto il sapore della carne, per questo Le ho chiesto di grigliare prima la mia colazione vegetariana».

Achille, con l’acquolina in bocca sistemò i filetti e le costolette sulla graticola.

«Mmmhhh….deliziosa! » Sentenziò il tartarugone assaggiando la zucchina mentre Achille si scolava una birra bevendo a canna direttamente dalla bottiglia.

«È sicuro di voler bere una Peroni e tanto più calda? Non vorrebbe tenermi compagnia? Vorrei assaggiare questo Bordeaux Côtes de Francs AOC Barthélemy Rouge del 2011, Château Le Puy».

Disse Zenone tirando fuori dall’Ape una bottiglia di vino rosso.

«Roba pregiata?»

«Mmmhhh…diciamo di livello accettabile».

«Prezzo?»

«È una domanda piuttosto volgare la Sua, tuttavia vi risponderò. La perdono per la sua inesperienza da bieco bevitore di birra. Ho avuto un prezzo di favore da un amico per 150 € la bottiglia».

«Sa quanta birra io mi compro con quei soldi? Una bottiglia di vino a me fa il solletico invece, con 150 euro di birra, mi prendo una bella sbronza con gli amici!»

«Ragazzo mio, io non bevo per ubriacarmi…comunque sarà meglio lasciar da parte le nostre differenze enogastronomiche».

Nel frattempo Achille aveva tagliato un grosso pezzo di bistecca, l’aveva infilzato col coltello e se lo stava portando alla bocca.

«Mon dieu! Cet homme est una bête! Sbottò Zenone».

«Ma che dici? Parla come mangi! »

«Eh, infatti! Dicevo, che non dovrebbe portare il coltello alla bocca, non si fa, è da maleducati. Scusi ma Sua madre non gliel’ha insegnato?»

«Vecchio, ti consiglio di lasciar stare mia madre!»

«Va bene, va bene…almeno chiuda la bocca quando mastica, ma lo sa che non è propriamente né un bel guardare, né un bel sentire assistere alla sua colazione?! »

Achille rise ed infilzò col coltello una costoletta che poi si mise a rosicchiare tenendola con tutte e due le mani.

«Va meglio adesso? Vede? Non sto più usando il coltello! » Rise quello leccandosi le dita unte di grasso e poi pulendosele sui jeans.

Zenone lo ignorò ma allontanò il piatto da sé, come se fosse disgustato e senza più appetito.

«Non c’è che dire, Giovanotto, lei sembra veramente un animale. Mi dispiace che disprezzi la Sua razza che io, al contrario, stimo talmente da averla presa a modello».

«Mi fai ridere! Una tartaruga che si comporta come un umano! »

«Invece a me fa piangere un umano che si comporta da bestia!»

«Anche gli umani sono animali, tuttavia la “bestia umana” è naturalmente superiore alle altre!»

«Mi faccia un esempio di tale superiorità».

«Beh, per esempio, anche se tu mi consideri stupido, comunque sono più intelligente di qualsiasi altro animale! Non ho bisogno di studiare, capirne di vini pregiati, conoscere il francese, piuttosto che l’inglese, piuttosto che il russo per stare, in ogni caso, al disopra della flora e della fauna di questo pianeta!»

Gesù, Giuseppe, Maria, pensate voi all’anima mia!! Questo qua non sa nemmeno parlare! Pensò Zenone. «Non le hanno detto che è un erroraccio usare “piuttosto che” in forma

disgiuntiva?»

«Boh, e che ne so io? Lo dicono anche alla televisione, quindi sarà giusto! Comunque io starò sempre al disopra di te e di sta’ pianta». Rispose Achille dando un calcio al tronco di un albero.

«Lei crede?»

«Non credo, lo so».

«Beato Lei, io invece so soltanto una cosa: so di non sapere».

«Puah, inizi ad annoiarmi con queste sentenze da oracolo di Delfi…tu parli troppo e quagli poco. Sei pesante, oh Zenone! Io ho bisogno di action, appena digerisco vado a fare una ammazzatina dai Priamo».

Questo qui si è visto tutte le stagioni di Gomorra. «Mi dica, perché fa tutto questo? Le da gusto rubare, ammazzare, stuprare, torturare?»

«Talvolta…ma non è questo il punto. Certe cose si fanno per il proprio onore e, quando lo si è difeso con atti estremi, si diventa degli eroi. Tu verrai dimenticato, i tuoi figli forse i tuoi nipoti si ricorderanno di te ma quando anche loro non ci saranno più non rimarrà né traccia né memoria della tua persona. Io invece sarò ricordato in eterno, io sarò ammantato di gloria e di fama e di me si parlerà per tutti i secoli a venire! »

«Bum!»

«Come hai detto?»

«Nulla…non ci faccia caso, mi è esploso un brufolo. Quindi tutto quello che Lei fa, lo fa per la gloria prima e per la fama poi. E Lei crede che questo abbia importanza?»

«Certo!»

Detto questo il tartarugone si avvicinò ad Achille seduto, salì sul tavolo e gli menò una poderosa sberla. Achille si alzò di scatto alzando il pugno.

«Hei, dico! Sei impazzito?! Guarda che con un pugno ti riduco ad uno sformato di tartaruga!»

«Carina questa…comunque il mio carapace non è pane per i tuoi denti! al contrario, la mia carne è tenera e saporita, almeno così dicono, io non mi sono mai assaggiato».

«Perché mi hai mollato una sberla?»

«Quale sberla?»

«Come quale sberla?! Quella che mi hai appena dato!»

«Lei ha avuto solo l’illusione che io Le abbia dato una sberla. Mi spiego: diciamo che la mia zampa sia partita in direzione della sua guancia, così… ora mettiamo che la mia mano abbia percorso per aria un centimetro; ecco in questo punto la mia mano è rimasta immobile, e così nel centimetro successivo, e così nel successivo e via di seguito. Ne deduciamo che la mia mano è sempre stata immobile in ogni porzione di spazio che la separa dalla sua guancia, quindi il movimento della mia mano verso la Sua guancia è solo illusorio».

«Ma che cazzo dici?»

«Dico che io solo apparentemente Le ho dato uno schiaffo! Va bene, allora siccome non mi sembra tanto sveglio, come si suol dire “grande grosso e pirla”, cercherò di spiegarglielo come lo spiegherei ad un mezzo idiota: Le faccio un altro esempio, ecco, guardi, prendo questi foglietti e ci disegno una tartaruga in posizioni differenti. La tartaruga disegnata su ogni foglietto si muove?»

«Certo che no! »

«Benissimo, adesso metto i foglietti uno sopra l’altro, li tengo fermi da un capo e li faccio scorrere uno dopo l’altro, come un flit book, mi dica: cosa vede?»

«La tartaruga che si muove».

«Esatto, ma significa forse che la tartaruga si muove veramente?»

«No».

«Ecco, adesso mi sembra che Lei abbia capito».

«Cool! Vecchio, ma dimmi: il segno delle cinque dita sulla mia guancia allora da dove viene?»

«Illusione ottica».

«Ed il bruciore sulla guancia?»

«Effetto nocebo».

«Ecco, questo punto non mi convince…»

«Va bene, allora le lancio una sfida».

«Tu lanci a me una sfida?? » E così detto Achille si pulì la bocca sulla manica della camicia e scoppiò in una sonora risata.

Il tartarugone tirò fuori una cetra ed iniziò a cantare:

«Tal guadagno inatteso, 

 senza disdegno ho preso.

Ave, beltà e fragranza

che ritmi ognuna danza,

compagna ad ogni ludo

Tartaruga, hai lo scudo

di luce variopinta e

sul colle ti sei spinta,

io ti prendo e ti porto

a casa a passo corto:

dal disprezzarti lungi,

prenderò ciò che fungi

ed il primo sarò io

il tuo servigio sarà mio.

Proteggimi da viva,

la malmagia tu schiva!

Se ti coglie la morte

risuonerai ben forte!» 1)

 

Achille divertito batté le mani.

«Roba da antiquariato ma hai una bella voce».

«Preferisce forse i post Impressionisti?»

«I post che???»

«Lasci perdere. Chiedevo che musica ascoltasse».

«Tecno! Solo tecno!»

«Jesus… tum tum…capisco…»

«Allora, in cosa consiste questa sfida?»

«Ah, sì, me ne ero quasi dimenticato. Sa, la musica dopo mangiato è un rito irrinunciabile, una specie di meditazione e…»

«La sfida!»

«Sì. Allora, Lei Achille è convinto che la sua fama sopravviverà nei secoli dei secoli ed è anche convinto che ciò sia importante. Io, invece, credo che la Sua fama, come del resto la Sua gloria, non servano ad un bel niente e che il Suo valore, Achille, non sia superiore a quello di nessuna delle più piccole creature viventi».

«Vai al sodo!»

«La retorica è prerogativa umana, mio bell’Achille, dovrebbe apprezzarne le virtù. Allora dicevo, per l’universo la morte di questo vermetto non è meno importante della fine di Achille, anzi! Sono convinto che nella logica dell’universo questo lombrichello sia più utile di Lei».

Detto questo Zenone s’inghiottì il verme.

«Ma non aveva detto che era vegetariano?»

«La coerenza è la virtù dei mediocri…mi faccia, prego, continuare la mia esposizione della questione».

«Mi hai praticamente detto che valgo meno di un verme!» Disse Achille avvampando d’ira.

«Credo che Lei stia facendo un errore cognitivo. Io ho detto che la morte di Achille, per l’universo, non è più importante della morte del “fu verme”. Che le Sue scorribande, -Sue, non del defunto invertebrato- agli occhi dell’universo, non sono più importanti delle uova che questo verme aveva appena deposto».

«E lei come fa a sapere che aveva deposto le uova?»

«Dal sapore, naturalmente! Il sapore di caviale si riconosce immediatamente e l’invertebrato poch’anzi inghiottito ne era privo!»

«Non capisco dove vuole arrivare».

«Eh!, mi rendo conto che non capisce. Quando si è ignoranti ed anche un po’ stupidelli succede. Ciò che intendo, mio caro ragazzo, è che la Sua fama è relativa. Non vi è nulla di assoluto e, ciò che Le appare importante, da un punto di vista altro, più universale, non vale nulla. Detto in parole semplici; tutto è vanità. Lei diventerà cenere, come ogni essere vivente e di Lei non rimarrà memoria. È possibile che su di Lei si costruiscano leggende ma queste appartengono agli uomini che le racconteranno e le scriveranno, sono un’illusione di eternità, in realtà in quelle leggende non ci sarà nemmeno più nulla dell’Achille realmente vissuto, le attribuiranno sogni e proiezioni non sue, ci sarà meno di Achille nell’Achille che resisterà ai secoli, di quanto ci possa essere qualcosa di Achille in questa lumachina…»

E detto questo, il tartarugone risucchiò dal guscio la lumachina e se la inghiottì.

«Non ci sto capendo nulla! »

«Non avevo dubbi. In parole semplici: del mito di Achille all’universo non frega un fico secco!»

«Mi hai stufato. Vieni alla sfida!»

«La mia sfida è dimostrarLe che in questo mondo nulla accade e nulla si muove. Il reale è immobilità assoluta e quindi tutte le Sue gesta, il Suo sbattersi tanto tra “sex drogs and rock and roll”, è tutto assolutamente inutile e, mi permetta, anche un po’ stupido. Un inutile dispendio di energia.

Lo spazio è infinitamente divisibile, quindi ogni movimento è pura illusione. Lei è in errore pensando che ci sia un molteplice, solo in apparenza ci sono cose simili e dissimili, una sola e molte, immobili ed in movimento; in verità, in verità Le dico: tutto è una illusione! La realtà non è come Lei crede di vederla.

Ci sono cose tanto piccole da non avere grandezza e tanto grandi da essere infinite. Più si procede nella divisione di una cosa, più le sue parti si fanno piccole, fino quasi ad annullarsi. Tuttavia, se ogni cosa è costituita da infinite parti, ognuna dotata di una grandezza, allora ogni cosa sarà infinitamente grande».

Achille dette un pugno sulla Ferrari lasciando un avvallamento nella carrozzeria.

«Basta rettile! Mi hai seccato. Se ti schiacciassi sotto le ruote della mia macchina sarebbe un’illusione?»

«Giovanotto, non voleva sentire della sfida?»

«Ecco, bravo, vieni al dunque, perché mi stai stufando e quando io mi stufo spacco tutto!»

«Allora, facciamo una gara di velocità, Lei con la Sua Ferrari ed io col mio treruote».

Achille scoppiò a ridere, ma così forte, così forte che tutti gli uccellini dei dintorni si spaventarono e zittirono. La risata di Achille si trasformò quasi in un urlo tremendo e le fronde degli alberi tremarono come scosse dal vento. Il tartarugone, per nulla impressionato, con uno spazzolino, nel frattanto si puliva i denti.

«Mi scusi, sa, se faccio abluzioni in pubblico, ma siamo in campagna e non dispongo di un luogo ritirato atto alla cura del corpo. Allora, se ha finito di ridere, procederei nel descrivere le regole della sfida».

«Procedi, rettile, sono tutto orecchi!»

«Lo start sarà qui, esattamente in questo punto…» E così dicendo il tartarugone tracciò con un ramoscello una linea nella terra.

«Il traguardo sarà il bivio alla fine della strada principale, quello in cui la strada si biforca. Ha presente?»

«Perfettamente».

«Ora, affinché la sfida sia giusta, Lei dovrà darmi un vantaggio. È evidente che la Sua cilindrata è di ben alta portata rispetto alla mia!»

«3.902»

«Ecco, appunto».

«Potenza CV/ KW 721/530, velocità massima 340 chilometro orari».

«Benissimo, mi conferma quindi che darmi un vantaggio di dieci metri sia cosa accettabile».

«Dieci metri? Pensavo dieci chilometri!» Ed Achille scoppiò nuovamente a ridere.

«Mi basteranno dieci metri. Le regole sono ferree, se non Le manterrà sarà automaticamente squalificato dal gioco. Non dovrà scendere dalla macchina se non al traguardo. Appena io sarò partito, Lei potrà venirmi dietro, non un attimo prima! Accetta queste regole?»

«Sì, le accetto. Bene, quando vuoi partiamo, sono pronto».

Achille e la tartaruga allinearono le loro automobili con le ruote anteriori a sfiorare la linea tracciata sulla terra, dopo di che il tartarugone prese le misure e contò dieci metri, quindi vi spinse lì il suo treruote, vi salì, chiuse la portiera e mise in moto.

Anche Achille mise in moto ed aspettò.

Achille aspettò qualche minuto ma non succedeva nulla. Aspettò ancora ma il treruote della tartaruga non si muoveva, allora abbassò il finestrino e gridò: «Ti vuoi decidere a partire, vecchio bacucco!?»

Dal treruote non giunse alcuna risposta. Achille iniziava a spazientirsi e non sapeva cosa fare: Se scendo dalla macchina, vìolo le regole e sono squalificato. Se parto, vengo meno al vantaggio datogli, quindi vìolo ancora le regole…allora che faccio? Pensava Achille.

Achille innervosito aspettò venti minuti poi, infuriato, scese dalla Ferrari e andò al treruote. Al posto di guida trovò un biglietto che diceva:

Gentile Achille, come voleva dimostrarsi Lei non mi ha raggiunto e non mi raggiungerà mai. Come cercavo di spiegarLe il movimento è solo un’illusione! Siccome mi annoiavo ad aspettarLa, sono andato a fare un sonnellino. Tanti auguri per tutte le Sue cose, mi saluti quel cornutone di Menelao, quella checca di Patroclo e quella grandissima zoccola di Elena. Cordialmente, Vostro Zenone.

P.S: occhio a dove mette i piedi!

Achille si guardò intorno ma del tartarugone non c’era nemmeno l’ombra. Come aveva fatto ad allontanarsi senza essere visto? Si era come dileguato nel nulla!

«Maledetto! Ma come ha fatto? Dove si è cacciato? Se lo prendo lo faccio a polpette!»

In quel momento Achille si ritrovò il piede infilato in una tagliola che gli serrava il calcagno.

«Ahhhhh! Ahhhh! Aiuto! Aiuto! Soccorso!»

Furibondo e mezzo morto dal dolore, Achille montò sulla Ferrari e corse al pronto soccorso. Alcuni raccontano che quella tagliola gli costò la vita.

Quando fu lontano all’orizzonte da sotto il treruote sbucò, sbadigliando, il tartarugone Zenone. Sorrise compiaciuto e si mise a raccogliere delle belle foglie di taràssaco canticchiando:

«Larga la foglia e stretta la via, dite la vostra che ho detto la mia!»

 

 

1)Documents of ancient Greek Music: HYMN, 118, v. 30-38

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