Federico e Stefano, la legge non è sempre uguale per tutti

by Antonella Soccio

La legge dovrebbe essere uguale per tutti e troppo spesso non lo è. Non lo è stata per Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, la cui storia è stata protagonista con Ilaria Cucchi e l’avvocato Fabio Antelmo di un incontro dei giovani avvocati dell’Aiga Puglia a Foggia, dal titolo “Sulla nostra pelle”, che rinvia al pluripremiato film “Sulla mia pelle” su Stefano Cucchi.

Fabio Anselmo per Fandango Libri ha scritto un bellissimo testo, “Federico”, sul diciottenne Aldrovandi, ucciso a Ferrara dalle forze dell’ordine e sta scrivendo ora “Stefano” sulla esperienza difensiva del caso Cucchi, che vedrà una nuova udienza il prossimo 14 giugno.

“Ero una persona completamente diversa 10 anni fa, mi fidavo a tal punto delle istituzioni da mettere la vita di mio fratello nelle mani delle istituzioni. Ero convinta che la giustizia avrebbe fatto il suo corso. Con la giustizia fino a quel momento non ci avevo mai avuto a che fare. Quando ho visto Stefano mi è venuto in mente Federico, e mi son messa su internet alla ricerca del nome dell’avvocato che aveva aiutato la famiglia di Federico. Faccio la telefonata e lui mi dice subito: occorre far scattare le foto. Mi sono detta: ammazza, è strano quest’avvocato, io l’ho visto il cadavere di mio fratello, è orribile, che bisogno c’è di far scattare le foto? E lui aggiunse che occorreva poter dimostrare tutto. Quella fu la svolta. Se non avessimo scattato le foto, nessuno si sarebbe reso conto di che cosa stavamo parlando. Quelle immagini terribili parlavano chiaro. Nonostante questo ci son voluti anni e anni di battaglie durissime. Di Stafano Cucchi ce ne sono tanti altri in Italia”, ha esordito nell’incontro la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, divenuta il simbolo della giustizia e dei deboli.

10 anni e 100 udienze, la famiglia Cucchi ha passato la vita nelle aule di Tribunale per difendere la memoria di Stefano, definito un “drogato di merda” nelle carte del primo processo. “Sono cambiata e devastata, sono una persona diversa, prima la mia vita era perfetta o pensavo fosse tale. Ora sono sparita dalla vita dei miei figli, ho perso il lavoro ma rifarei tutto quello che ho fatto 10mila volte. La seconda violenza a cui siamo sottoposti è quella di non poter più vivere il nostro quotidiano, ma c’è un senso in quello che è accaduto a Stefano. La sua violenza subita m’ha portato a crescere con la consapevolezza, mi ha portato a riscoprirmi una donna forte e coraggiosa”.

La magistratura, come ha detto l’avvocato, riprendendo le parole della recente assemblea di MicroMega, è troppo spesso vicina ai forti rispetto ai deboli. Se la legge fosse uguale per tutti per davvero, non esisterebbero un Caso Cucchi e un Caso Aldrovandi.

Depistaggi, false testimonianze, calunnie, omertà. Tutto questo sono stati i processi.

“Stefano è morto in quella maniera perché era un ultimo. È morto di pregiudizio, perché non si è visto in quel detenuto, non solo un tossico rompiballe, ma un essere umano”, ha osservato Anselmo.

“La storia di Stefano ha distrutto e devastato la nostra famiglia, ci siamo devastati non solo sul piano economico, ma anche su quello emotivo e fisico. A tutti coloro che mi accusano di voler fare soldi e di cercare notorietà sulla pelle di mio fratello, vorrei fargli vedere cosa questa famiglia ha dovuto subire”.

Molti in sala sono scoppiati in lacrime quando l’avvocato ha svelato un momento del padre di Stefano, che ogni sera riguardava su Netflix Alessandro Borghi interpretare suo figlio Stefano. Ilaria ha dovuto staccare l’abbonamento per interrompere quel supplizio. Lo straordinario film ha restituito a Stefano il lato umano. La sua pelle è tornata ad essere viva e non solo un caso giudiziario.

Stefano e Federico. “Senza i media il caso di Federico sarebbe stato derubricato come il solito caso di giustizia negata”. Senza il film “Sulla mia pelle” non ci sarebbe stata una svolta nel processo. Ha smosso le coscienze, rotto il muro dell’omertà.

“Penso alla vita negata a questo ragazzo. Alle parole di don Bedin durante l’omelia per il suo funerale. Sua madre non parla a vuoto. Ha ragione. La sua determinazione, la so essere frutto di una sovrumana opera di autocontrollo della rabbia che prova. Quella rabbia che vorrebbe urlare fino a perdere, sfinita, la voce. La mia rabbia. Quella rabbia del pianto e della disperazione che appartiene alle persone non violente. Alle persone incapaci di volere per coloro che lo infliggono lo stesso male che si è sopportato. La rabbia dei perdenti in partenza. In questo ritrovo molto, in Patrizia, del figlio”.

Fabio Anselmo “Federico” Fandango Libri

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