Ghostwriter. Una favola

by Raffaella Passiatore

Non tanto tempo fa, viveva un uomo di nome Scemo.

Alla nascita gli era stato imposto il nome di Moshe ma non si sa da chi. Infatti, una mattina di circa quarant’anni prima, un pescatore aveva trovato sulla sponda del fiume un cestino con dentro un neonato ed un biglietto che riportava questa frase: Mi chiamo Moshe. Il pescatore lo portò a casa. Appena arrivato, gli andò incontro la sua capra di nome Batya. Lui le mostrò il bambino e le disse: «Guarda Batya, ho trovato un bambino e questo biglietto, erano dentro un cestino portato dalle acque del fiume. Ragioniamo un pochino…»

«Oddio! Adesso inizia a fare Sherlock Holmes! »

Pensò Batya la capra e poi disse:

«È evidente che a scrivere quel biglietto non può essere stato il neonato, ne deduco quindi che, chi l’ha messo nel cestino, doveva sapere il suo nome, quindi lo conosceva».

«Elementare Watson! » Rispose il pescatore accendendosi la pipa.

«Potrebbe trattarsi di uno dei due genitori. Oppure il biglietto è stato scritto da quel qualcuno che ha rapito il neonato e che, comunque, doveva conoscere bene suo padre e sua madre ».

« In ogni caso un bel pezzo di delinquente! » Pensò la capra Batya ma non lo disse per non interrompere il ragionamento del pescatore.

«Se il bambino è stato abbandonato, questo significa che quella povera creatura era scomoda oppure in pericolo. Chi ha messo sul fiume il bambino non ha avuto il coraggio di ucciderlo, quindi in un certo modo si è affidato alla sorte. Evidentemente quel qualcuno, lo stesso che ha scritto il biglietto, non voleva uccidere il piccolo ma salvarlo! Chi l’ha messo nel cestino doveva avere molta paura e sperava in questo modo di allontanare la creatura dal pericolo ».

«Comunque è un gran figlio di puttana!» Pensò la capra.

Tuttavia, dai pensieri di Batya, ci è impossibile stabilire se la capra si riferisse a quel qualcuno che aveva messo il neonato sul fiume o al neonato stesso.

«Batya, comunque ho avuto un’idea geniale. Terremo il bambino! » Disse il pescatore infilando il dito in bocca al neonato che iniziò a succhiarlo.

«Ma pensa…che acume! » Pensò la capra Batya.

Il bambino passò i primi tre anni presso il pescatore e la capra Batya che lo nutrì col suo latte e gli insegnò la lingua delle capre.

Il pescatore purtroppo morì proprio il giorno del terzo compleanno di Moshe .

La capra Batya fu venduta al mercato del paese il giorno stesso, per pagare i creditori del pescatore.

Il ragazzino si ritrovò solo e prese ad aggirarsi per il paese come una bestiolina randagia. Moshe parlava la lingua delle capre che nessuno capiva, e così tutti pensarono che il ragazzino fosse balbuziente e pure un mezzo idiota.

Moshe trovava riparo e cibo dove capitava e, ben presto, s’inselvatichì. A cinque anni il parroco lo acciuffò obbligandolo a frequentare il catechismo e la scuola ma fu un vero disastro. Come chierichetto non riusciva ad assistere il parroco durante una funzione senza combinare un qualche guaio; una volta inciampava nella cotta rovesciando il calice col vino, un’altra volta, preso da grande appetito, si mangiava di nascosto le ostie. Come turiferario poi, aveva quasi provocato un incendio durante un funerale! Non potendo affidargli incarichi da ministrante, il parroco aveva provato ad occuparlo come scaccino. Moshe riusciva a malapena a tener pulita la chiesa ma lo scandalo scoppiò quando il parroco lo colse in flagrante ad abbeverare i cani randagi con il contenuto dell’acquasantiera!

A scuola le cose non andarono meglio. A causa della balbuzie, dell’imbranataggine e, a sentire il maestro, della sua intelligenza minore non riuscì a terminare nemmeno la prima elementare. I compagni di scuola lo prendevano in giro e, anagrammando foneticamente il suo nome, lo battezzarono Scemo. Nomen Omen, come si suol dire, Moshe rimase Scemo per tutti e dimenticò, lui per primo, il suo vero nome.

Smise di andare sia in chiesa sia a scuola e si ritirò in una cascina abbandonata fuori dal paese dove, miracolosamente, riuscì a mettere su un bel pollaio ed un gregge di capre che gli davano da vivere.

Ma sentiamo dalla viva voce dei testimoni come andarono le cose:

«Salve mi chiamo Sefora, faccio la contadina. State attenti a quello Scemo, dev’essere un mago quello! Mi faceva molta pena quel ragazzino, girava sempre qui intorno, tutto lacero e sporco, affamato che sembrava avesse attraversato il deserto! Così, un giorno, presa dalla pietà, gli regalai due uova sode. Lui mi ringraziò con un cenno del capo e prese le uova, le strinse tra le mani e, lo vidi con i miei occhi, lo giuro sulla testa delle mie galline, di punto in bianco, sentii pigolare. Scemo allora aprì le mani e saltarono fuori due bei pulcini! Dal pulcino al pollo il passo poi è breve, si capisce… In poco tempo Scemo aveva il più bel pollaio del paese e grazie alle mie uova sode! Andai dal giudice per chiedere una percentuale sui polli di Scemo ma quello non volle credermi quando gli dissi che i pulcini erano nati dalle uova sode. Ad un certo punto rimasi incinta, mi nacquero due bambini maschi, due gemelli, uguali uguali a quello Scemo, avevano la stessa faccia. Andai ancora dal giudice e gli dissi che quello era il demonio, mi aveva messa incinta senza che me ne accorgessi, ma quello non mi credette, nessuno mi credette! Vai a far del bene, ecco la ricompensa! »

E questo sembra non esseretutto. Sentiamo cosa racconta un pastore, tale Reuel:«Buongiorno a tutti. Mi chiamo Reuel. Per quanto riguarda le capre di Scemo, vi giuro che le ho viste saltare fuori tutte già belle pronte da un secchio di latte di capra che, per pura compassione, avevo donato a Scemo! Vi racconto com’è andata. Ho un’unica capra, è un po’ vecchia ma da’ ancora latte. Quando Scemo mi si avvicinò facendo l’elemosina, mi fece una tale pena che versai del latte nel secchio del ragazzo. Appena l’ebbi versato, Scemo c’infilò il dito e vi fece non so cosa, mentre emetteva dei suoni simili ad un belato, a quel punto si mise il dito in bocca e se lo succhiò come un neonato! Beh, voi non ci crederete ma dal secchio di latte saltarono fuori dei capretti bianchi come la neve ed uno più bello e robusto dell’altro! Quando ho visto quel prodigio, me la sono data a gambe levate. Tenetevi alla larga da Scemo, quello nasconde qualcosa, secondo me è uno stregone! »

Le caprette di Scemo erano straordinarie; avevano un vello bianco come la neve e più morbido di quello di un coniglio, facevano un latte dolce come lo zucchero e i loro escrementi, usati come concime, facevano crescere gli alberi di quattro dita l’anno!  Ma si sa, ciò che non è conforme alla regola crea diffidenza e così iniziarono ad alimentarsi voci che dicevano Scemo essere uno stregone, un adepto di satana, un menagramo, un untore e le bizzoche giuravano che conoscesse tutte le più terribili pratiche del malocchio e delle fatture amorose.

Scemo faceva vita ritirata. Le rare volte che andava in paese era per ritirare i libri che aveva ordinato. Aveva scoperto la passione per la lettura e la sua cascina era in realtà un’ immensa biblioteca.

Quando attraversava il paese, i ragazzini gli tiravano le pietre, i giovani uomini si grattavano tredici volte e mezzo tra le gambe, i vecchi strofinavano gli amuleti appesi al collo e le donne si facevano tre volte il segno della croce. I più coraggiosi lo salutavano con tono canzonatorio dicendo: «Hasta la vista, Scemo! »  Ma senza mai guardarlo negli occhi per paura che Scemo gli menasse addosso il malocchio.

Una mattina, Scemo si svegliò con un gran mal di testa, andò per farsi il caffè in cucina e vide spuntare qualcosa da sotto la porta. Inutile dire che il postino non aveva mai attraversato il vialetto che portava alla cascina di Scemo; chi mai avrebbe potuto scrivergli? Incuriosito, Scemo andò alla porta e vi sfilò da sotto un bigliettino. Era piegato con cura, di una carta bianca impalpabile che pareva trama di nuvole. Scemo, aprì il biglietto ed era scritto così: יהוה ouT ‎!atsiv al atsah ,itralrap id ongosib etnemetnegru ierva ,ehsoM onroignouB.

Scemo rimase un attimo perplesso, poi capì e lesse il biglietto da destra verso sinistra.

-Finalmente! C’è solo Uno che può scrivere così… Era ora che si decidesse a farsi vivo!  Pensò Scemo.

Adesso dobbiamo spiegarvi a chi si riferisse Scemo. Scemo si riferiva a colui che chiamava Quello Lassù, non per essere irrispettoso ma, al contrario, per evitare di recare disgusto a Dio utilizzando a sproposito uno dei Suoi pseudonimi, poiché sono tanti e non si sa mai bene quale evocare e quando. Pseudonimi che minimizzano del resto la Sua entità giacché, di solito, si limitano a definirlo con un aggettivo. Molti avevano pensato che passare dal politeismo al monoteismo fosse estremamente più pratico; non bisognava infatti memorizzare i nomi di tutte le divinità e delle rispettive parentele (includendo anche i figli illegittimi). In questo senso il monoteismo risultava in effetti più agevole, tuttavia portava con sé un grosso problema. Dio aveva reso noto il suo nome solo per iscritto e si sapeva trattarsi di un tetragramma, ciò nonostante -considerando che in ebraico le vocali non si scrivono- nessuno sapeva (ahimè!) come accidenti si pronunciasse. Che problema enorme era avere un Dio del quale non si conosceva il nome! Scemo aveva pensato all’inizio di chiamarlo l’Innominato, ma evidentemente Alessandro Manzoni aveva avuto l’idea prima di lui e identificare il suo Dio con quel delinquente di Francesco Bernardino Visconti, per quanto pentito, non gli piaceva proprio.

Di monetizzare a casaccio il tetragramma scritto sul biglietto neanche parlarne!  La conversione fonetica “Javeh” era notoriamente l’arbitrio di un Papa e non corrispondeva al vero. Scemo non voleva in alcun modo offendere la Divinità pronunciando male il suo tetragramma, sarebbe stato come un tedesco che invece di pronunciare “Bruschetta”, dicesse “Bruscetta”! Oppure come un italiano che invece di pronunciare “Eichhörnchen” dicesse: “eiciorncen”! Terribile, terribile! No, a Dio che era poliglotta questo proprio non si poteva fare!

Scemo aveva allora studiato parecchio, seguendo le orme di Rabbin Loew.

Dopo anni di studio, si era convinto di possedere la chiave per risolvere il dilemma della fonetizzazione del tetragramma divino, ma cosa sarebbe successo nel caso in cui la sua teoria fosse stata giusta? Nel momento in cui avesse pronunciato correttamente il tetragramma divino, ecco che avrebbe avuto potere sulla materia e, magari involontariamente, avrebbe creato a sua insaputa un altro Golem! Già due volte, con le uova sode ed il latte di capra, era bastato solo pensare la pronuncia corretta del tetragramma che i prodigi non si erano fatti aspettare! No, no, doveva tenersi lontano da un potere così immenso. E allora? Come chiamarlo questo Dio? Gli era insopportabile nominarlo, come i più, con un’espressione figurata. Eppure, il parroco, giurava che Dio fosse apparso solo una volta in forma di “Rovo ardente”. Doveva allora chiamarlo così? “Rovo ardente”? Ci pensò parecchio tuttavia, alla fine, non gli parve confacente chiamare un Dio “Rovo Ardente”, gli sembrò un nome degno di un capo apache, alla stregua di Aquila bianca o Colui che sbadiglia,  ma non certo di un Dio!

Scemo decise quindi di limitarsi ad individuarLo in un certo qual luogo, evidentemente al disopra dell’umano, senza però definirlo. Come dire: Colui che sta in cucina, oppure Colui che siede alla scrivania. Ecco, Dio era Colui che sta lassù. E se Dio l’avesse trovato irrispettoso? In fondo anche un trapezista sta lassù, oppure un lavavetri…Però quelli non stanno sempre lassù! Nessuno sta sempre lassù…

Ma certo! Avrebbe aggiunto l’avverbio: sempre: Quello Sempre Lassù gli parve perfetto e finalmente fu soddisfatto.

Scemo andò in cucina, accese il fornello a gas ci mise su la caffettiera, si sedette di fronte ed aspettò. Quando questa iniziò a fischiare come la locomotiva del treno, Quello Sempre Lassù capì l’antifona e si manifestò, proprio appena Scemo ebbe tolto la caffettiera dal fuoco e poco prima che spegnesse il fornello.

«Hasta la vista, Moshé detto Scemo! Bella idea, questa del fornello! »

«Benvenuto, Quello Sempre Lassù».

«Lassù, laggiù, quaggiù: io sono in ogni dove!»

«Allora diciamo che ti sto chiamando con un diminutivo spaziale…»

«Come sei perspicace, Moshe, come ti è venuta in mente questa del fornello?»

«Beh, prima di tutto ho dato credito al parroco quando mi ha detto che ti manifesti solo in forma di fuoco, poi -siccome non sarebbe stato molto pratico in casa fare una pira e dargli fuoco- ho pensato al fornello. Mi fa piacere verificare che parli da sinistra a destra come i cristiani. »

«Chiamalo Scemo! Bisogna sapersi rinnovare, altrimenti si decade. Ammetterai però che scrivere da destra a sinistra fa più artista!»

«Mozart si divertiva molto a scrivere e leggere al contrario.»

«Spero non vorrai paragonarmi ad un Mozart qualsiasi?»

Disse Quello sempre lassù alzando un po’ la voce.

«Ma no, certo che no! » Disse Moshe, detto Scemo, bevendo una sorsata amara e bollente di caffè. « Allora, che cosa posso fare per te?»

«Moshe, qui le cose non vanno proprio. Qualche millennio fa dovevo occuparmi solo del popolo eletto, adesso con la globalizzazione devo occuparmi dell’intera umanità e non andiamo mica bene, neh? Siete parecchio cattivelli, dovrei punirvi tutti!»

«Cosa vorresti fare, mandarci altre dieci piaghe?»

«Veramente, quella volta in Egitto, io non ne ho mandata nemmeno una».

«Come?! Acqua in sangue, rane, zanzare, mosche, morte del bestiame, ulcere, pioggia di fuoco e ghiaccio, cavallette, tenebre e morte dei primogeniti! »

«Lo giuro che non sono stato io! Hai abbastanza gas nella bombola? Non vorrei essere interrotto…»

«Sta tranquillo, l’ho cambiata la settimana scorsa. E come mai morirono per esempio solo i primogeniti degli egiziani e non degli ebrei»?

«Perché gli egiziani fornicavano tra fratelli, praticavano l’incesto e a causa di questo avevano una capacità riproduttiva inferiore. Tuttavia ingravidavano anche ancelle e concubine oltre alle mogli legittime, quindi i primogeniti erano tantissimi considerando la linea materna. Ad ogni modo gli egiziani erano tutti bambini parecchio cagionevoli di salute.

Gli ebrei comuni avevano una caterva di figli e anche molto robusti ma solo dalla moglie legittima, quindi i primogeniti erano inferiori come numero rispetto agli egiziani. Ad ogni modo, dopo le prime nove piaghe, quei poveri fanciulli egiziani erano allo stremo delle forze e morirono, quelli ebrei -più forti di costituzione- sopravvissero.»

«Non capisco…e le altre nove piaghe, quelle precedenti?!»

«Semplice sfiga. Una catena d’eventi dovuti al surriscaldamento globale.»

«Al tempo degli egizi?! »

«Uffa! Va bene, diciamo che era stata un’estate particolarmente calda. Gli egiziani morirono perché, al contrario degli ebrei, non rispettavano le regole igieniche del Talmud, quindi un tanticchia di colpa ce l’hanno. L’acqua del Nilo era rossa ma non di sangue, di un batterio che –congiunto alle temperature torride- aveva mandato in putrefazione le alghe ed infettato il limo. Gli ebrei, seguendo il Talmud non bevevano acqua stagnante, gli egiziani sì, ecco che questi s’infettarono e morirono. Tutte le altre piaghe furono conseguenza di quella prima. C’è una spiegazione logica per ogni cosa ma non ho tempo adesso di stare qui a spiegarti tutto, è acqua passata, adesso ho altre urgenze.

Ma ti pare che io vi creo e poi vi mando le piaghe per distruggervi? Ma che senso avrebbe? »

«Ma se le piaghe non le mandasti tu, chi fu allora? »

«La mia più grande nemica: Ananké! »

«Mai sentita nominare, chi è?»

«Gli antichi greci la chiamavano così, tu puoi chiamarla Necessità, gli uomini la chiamano talvolta Forza della Natura, Satana la chiamò Caos, gli agnostici Caso. È un essere anfibio, nacque da Gea e Hydros, ha forma di serpente e s’avvolge a Kronos in un costante amplesso. »

«Mi stai dicendo che questa Ananké sta al disopra di te? »

La fiamma del fornello ebbe un guizzo violento e schizzò verso l’alto.

«Non ho detto questo! » Tuonò Quello sempre lassù.

«Allora sei d’accordo con questa Ananké, visto che quando fu delle piaghe non intervenisti per fermarla. »

«Non ho detto nemmeno questo! » Rispose Quello sempre lassù avvampando in un’altra fiammata.

«Allora cosa? Spiegati perché non ti capisco ».

«Diciamo che abbiamo sfere d’azione separate. Io non posso intromettermi nell’operato di Ananké e lei nel mio ».

«E quale sarebbe la Tua sfera d’azione, allora? »

«L’assenza ».

«Mi stai prendendo in giro??? Mi stai dicendo che di malattie, flagelli, terremoti, nubifragi, cataclismi e quant’altro tu non ne sai niente? »

«Esatto. Ma secondo te, scusa, mi divertirei a vedervi soffrire? Ma per chi mi prendete, per un serial killer? »

«Ma scusa, allora che ci stai a fare? »

«A scrivere i miei libri! Io di mestiere faccio lo scrittore. M’invento delle storie e poi trovo qualcuno come te che me le trascrive. Ciò che io vi dono sono delle bellissime storie che poi voi tramutate in pensieri morali e buoni sentimenti. Purtroppo la maggior parte delle traduzioni lasciano parecchio a desiderare e così prendete fischi per fiaschi, giusto per fare una similitudine. Comunque, la questione adesso è seria e tu mi devi aiutare. Con la globalizzazione, vorrei scrivere un romanzo di grande portata, qualcosa di tosto, mi capisci? Tra il triller ed il romanzo psicologico, il più grande romanzo del nuovo millennio, qualcosa di genialità inaudita che soppianti 5767 anni di Bibbia, Vangelo e Cabala insieme…mi spiego?Insomma, tu hai letto così tanto che forse potresti darmi una dritta, magari potresti iniziare tu a buttare giù qualcosa, io ti dico cosa ho pensato e tu cerchi di scriverlo e…»

«Cioè, fammi capire, io dovrei farti da Ghostwriter???»

«Beh, insomma, in un certo senso…ma sai, oggi come oggi ogni grande personaggio ha un Ghostwriter, perfino i calciatori…suvvia che sarà mai, adesso c’è il computer, mica ti sto chiedendo di incidere col martello sulla pietra! »

Moshé, detto Scemo, si alzò di scatto e chiuse la manopola della bombola a gas, la strinse con quanta forza aveva.

«Hey hey, non ho mica finito! Cosa stai facendo? Non ti ho ancora comandato cosa devi scrivere!Ti ordino… subito di riaprire quel gas, hey brutto… scemo… che non sei altroooo….»

La fiammella del fornello si spense e così andò estinguendosi anche la voce di Quello sempre lassù.

Secondo voi cosa pensò a questo punto Moshé, detto Scemo?

Potete scriverci al nostro indirizzo di posta elettronica e farci sapere cosa, secondo voi, pensò a quel punto Moshe, detto Scemo. Partecipate al nostro concorso “I pensieri di uno Scemo”-

Vi aspettiamo alla prossima puntata, a presto!

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