Gino Cecchettin e Aristide il Giusto. Gli attacchi al padre di Giulia sintomo della desolante deriva della destra, ma anche e soprattutto della ripugnante palude in cui ci ha trascinato la mediocrità

by Enrico Ciccarelli

Dei vomitevoli attacchi a Gino Cecchettin (se qualcuna o qualcuno dei miei conoscenti li condivide lo prego di togliermi il saluto prima che me ne accorga: si risparmierà diversi pesanti insulti) non mi preoccupa la matrice politica becera: dopo la fine politica di Silvio Berlusconi, la destra italiana è sempre più un confuso rassemblement securitario, che spara su tutto ciò che si muove e vive un’esistenza di terrori (paura dell’Islam, paura degli stranieri, paura dei diversi, paura della modernità e del futuro) che merita forse più pena che indignazione (così come merita pena il tragico tunnel massimalista e settario in cui si è infilata la cosiddetta sinistra dopo la fine del sogno renziano). Assegno a questa riprovevole appartenenza gli articoli che giornali come La Verità, Libero e Il Giornale pubblicano per spiegarci che il patriarcato non esiste, e che anzi i femminicidi sono causati dalla sua crisi (una tesi che, senza destar sorpresa, è stata sostenuta anche dall’ineffabile Travaglio). Anche quando affidati a penne di pregio come quella di Marcello Veneziani, tali articoli grondano malafede; non per il legittimo punto di vista reazionario che esprimono, ma perché costruiti su una premessa mitologica e fattualmente inesistente.

Quando il patriarcato era vivo ed operante, diciamo quando i maschi potevano votare e le donne no, quando i maschi potevano fare i giudici e le donne no, quando le donne pagavano tasse universitarie più salate dei loro colleghi maschi, i femminicidi non erano affatto in numero inferiore all’attuale. Non per caso venne creata una figura normativa specifica (il «delitto d’onore») per attenuare la responsabilità degli uxoricidi che avessero ucciso per la scoperta (o per il sospetto) di un tradimento. Come ogni altra forma di tirannide, anche il patriarcato e il maschilismo reagiscono con maggiore ferocia quando vengono sfidati, lo stiamo vedendo in Iran; ma questo non ne cambia certo l’intima, ripugnante natura e personalità.

E che dire degli alti lai sui maschi «devirilizzati» e «insicuri» che diventerebbero assassini di donne? Qui abbiamo la torsione tendenziosa e malevola di un tema vero: non c’è dubbio che la transizione alla parità di genere ha creato solitudini e traumi in quanti continuano a crescere in un sistema valoriale malato. Adulti e adolescenti non hanno ancora trovato un modo diverso di essere maschi rispetto agli usi e costumi old fashion. Millenni di principi azzurri dal bacio magico, di amori presentati come lotta e conquista, di «sei mia!» creano qualche difficoltà se la bella addormentata nel bosco ti dice di occuparti dei pupi perché lei va a cena con colleghi o amici o indossa per uscire da sola un vestito dello stesso tipo di quello che aveva quando l’hai incontrata e sei rimasto folgorato (perché sai che gli altri la guarderanno con le stesse precise intenzioni con cui la guardavi tu).

Ma se avessero ragione i vari Giubilei e la penosa corte del Movimento contro la Devirilizzazione del Maschio, come mai gli omosessuali, che a questa stregua dovrebbero essere i più devirilizzati di tutti, fanno assai raramente la loro comparsa nelle tristi cronache di questi delitti? Non sono gelosi? Non si lasciano? Non soffrono? A me non sembra. Sono persone umane, come lo sono le donne. E se il numero di omosessuali uccisi dal loro partner che non sopportava l’abbandono è infinitesimo, se è rara avis il numero di maschi uccisi dalla donna che non accettava la fine del loro rapporto con loro, è ragionevole inferire che il problema stia proprio nell’incapacità di far prevalere l’uomo sul maschio, di abbracciare la civiltà con i suoi disagi anziché il retaggio animalesco con la sua ferocia. D’altronde, per convincersene, basta constatare la tragica serialità di questi delitti: come diceva una brillante studiosa, il controllo, lo stalking, l’assassinio sono gradini di una stessa scala abietta. E ci sarebbero molte vittime in meno se molte donne non avessero interiorizzato il patriarcato a tal punto da non vedere il pericolo. Per la sciocca convinzione che a loro non capiterà, per motivata sfiducia nella protezione dello Stato, per l’attrazione che sempre esercita l’abisso della psicosi.

Ma –come dicevo- la principale ragione per la quale lo shit storming su Gino Cecchettin mi disturba e mi preoccupa è il suo essere rivelatore di strutture antropologiche nauseabonde. Poco importa se siano originate da presunti tweet sessisti che avrebbe scritto molti anni fa (chi è senza peccato….) o dal fatto che non si sia chiuso nel suo dolore ma pretenda di parlare e di parlare pubbilicamente, o da qualsiasi altra baggianata arrogante. Il fatto è che la verminosa mediocrità alla quale ci siamo abituati ci rende insopportabili gli eroi. La scoperta della macchia, della menda, del difetto in una persona che ha il provvidenziale coraggio di provare a far nascere dal suo privato e personale dolore un miglioramento per tutti, che vuol fare pane dell’onda emotiva che ha accompagnato la morte di Giulia, è un carico insopportabile per la nostra vigliaccheria, la nostra cialtronaggine, la nostra resa al peggio. Poter dire «Vedi? Anche lui…» è il lurido grimaldello con cui pretendiamo di assolverci.

Un autore della classicità, credo Plutarco, racconta che Aristide di Atene, gran rivale di Temistocle, un giorno fu fermato da un tale che –essendo analfabeta- gli chiese di scrivere il nome di Aristide sul coccio di terracotta, detto ostrakòn, che serviva a chiedere l’esilio di un cittadino (da qui viene il termine ostracismo). Aristide lo fece e chiese «Ti ha fatto qualcosa, Aristide, perché tu ne voglia l’esilio?» «No» rispose quello «non lo conosco affatto. Ma non sopporto di sentirlo chiamare Il Giusto». Due millenni e mezzo dopo siamo ancora lì, anche se di Giusti in giro se ne vedono pochi. Cerchiamo almeno di tenerci quelli che, come Gino Cecchettin, sull’onda di un dolore atroce, fanno la cosa giusta.

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