Guerra e Pace, letteratura e neuroscienze in Biblioteca Magna Capitana

by Antonella Soccio

Dai poemi omerici a Fenoglio. È coltissima la selezione che la Biblioteca Magna Capitanata con Mara Mundi, le altre funzionarie e il neonato Presidio del Libro di Foggia hanno confezionato sul tema Guerra e Pace.

Il romanzo di Tolstoj è anche l’occasione per conoscere meglio i meccanismi bellici mentali che attraversano la psiche. Nasce la lezione dei due professionisti, Ciro Mundi, direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Policlinico di Foggia e dello psicoterapeuta Angelo Graziano.

La guerra per loro è un affaire di soggettività e di mancanza di sincronia empatica, che si basa sulla comprensione emotiva delleazioni e degli stati emotivi degli altri.

«La guerra, come in tutte le situazioni di conflitto, le azioni, in linea generale, sono controllate da tre aree fondamentali del nostro cervello, collegate tra loro: ipotalamo ed amigdala che esprimono le emozioni sic et simpliciter e la corteccia frontale che opera in modo cosciente e razionale.», ha spiegato il neurologo e neuroscienziato.

«In questa situazione possiamo indicare una condizione emotiva di base, comune- ha aggiunto- che si articola con diverse emozioni, anche contrastanti, relative alle mutate condizioni di stato delle persone/gruppi. Si esplicitano emozioni e sentimenti. Le emozioni sono risposte complesse dell’organismo (cervello-mente-corpo) a stimoli adeguati, interni e/o esterni, che si manifestano con specifici repertori di azioni (ad esempio: la fuga o l’evitamento) e con modificazioni dello stato interno (ad esempio: la frequenza cardiaca), che è possibile osservare e misurare. L’emozione è la risultante di due componenti distinte: componente fisiologica di attivazione e componente cognitiva di valutazione dello stimolo emotigeno e di etichettamento della propria esperienza emotiva».

Cosa manca dunque a chi come Putin dichiara guerra ad un altro Stato o agli altri?

James Papez descrisse il ruolo rilevante della corteccia cingolata e del giro paraippocampale nella

percezione delle emozioni. Non è stata confermata l’ipotesi di Papez secondo cui l’ippocampo sarebbe il coordinatore dell’attività dell’ipotalamo, ruolo oggi attribuito all’amigdala.

L’ipotalamo integra le risposte motorie ed endocrine generando il comportamento emotivo appropriato, mentre il telencefalo filtra il significato degli stimoli ambientali sopprimendo le risposte emotive a quelli privi di senso.

La corteccia interviene per l’esperienza conscia delle emozioni, l’amigdala ha un ruolo chiave nel controllo della comunicazione tra le aree per l’espressione somatica delle emozioni (ipotalamo e nuclei e le aree che realizzano l’esperienza emotiva conscia.

Se il Sé rappresenta l’unitarietà, diversa di ognuno, che va mantenuta, i neuroni, le sinapsi con le loro modalità di funzionamento, compresa la plasticità, sono solo il substrato organico di questa funzione.

Insomma è per la funzione di mantenimento dell’unitarietà del sé a difesa delle ripercussioni disgreganti che un soggetto senza emotività scatena la guerra.

«Secondo ricerche recenti la possibilità di rivisitare ed adeguare continuamente il il proprio sé è possibile grazie alla nostalgia ( del proprio Paese, della propria condizione precedente, degli affetti amputati etc. etc.) come funzione di mantenimento dell’unitarietà del sé a difesa delle ripercussioni disgreganti. Pertanto, il sé viene paragonato ad una collana di perle tenute insieme da un filo; le perle possono cambiare, il filo che le tiene insieme rappresenta l’elemento di unitarietà ed integrazione ed è il filo che necessita di integrità/ricostruzione», ha rimarcato il neuroscienziato.

Come ha evidenziato nelle sue slides, l’intelligenza emotiva è la capacità che si ha di percepire, identificare e riconoscere i sentimenti propri ed altrui in maniera precisa nel momento stesso in cui sorgono. È anche la capacità di auto-motivarsi e gestire le proprie emozioni in modo costruttivo.

Divenire consapevoli delle nostre emozioni ci permette di controllare i nostri comportamenti

e di conseguenza capire meglio gli altri. Per poter conoscere a fondo i sentimenti degli altri è necessario innanzitutto conoscere i propri. Ciò implica la capacità di identificare i nostri bisogni e i desideri, riconoscere quali cose, persone o situazioni generano in noi le diverse emozioni, come queste si manifestano, come si esprimono e le conseguenze che generano. Empatia non è sinonimo di distanza/vicinanza emotiva. Non significa essere più buoni. Si può essere empatici e allo stesso tempo mantenere la distanza. L’empatia è inoltre diversa dal contagio emotivo; è un processo che implica l’esercizio della propria volontà. L’empatia è intelligenza percettiva, modalità relazionale cognitiva di ordine sia verbale che non verbale.

L’empatia è un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell’altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Capacità di comprendere a fondo i loro pensieri e sentimenti. Una persona empatica è in grado di riconoscere le ragioni emotive degli altri e di vedere il mondo e la realtà dal loro punto di vista. Non e’ l’intelligenza astratta misurabile con i soliti test.

L’elaborazione cognitiva è il principale aspetto costitutivo dell’esperienza emozionale per cui le emozioni dipendono dal modo con cui gli individui valutano e interpretano gli stimoli del proprio ambiente psichico, fisico e sociale. Le teorie dell’appraisal hanno invece mostrato come i processi cognitivi e i processi emotivi siano strettamente interconnessi tra loro.

Qualunque stimolo può generare sorpresa; riguardando tutti i sensi, può nascere in relazione a qualcosa

che si è visto, udito, odorato, assaporato, toccato o percepito… Di breve durata è l’emozione più breve ed è sempre seguita dall’insorgere di un’altra emozione. Appena realizziamo ciò che sta accadendo, non siamo più sorpresi. Interviene un’altra emozione. L’elaborazione e valutazione dello stimolo o evento che ha scatenato la sorpresa può generare, ad esempio, gioia, rabbia, paura etc….

La paura ha una funzione positiva, così come il dolore fisico, di segnalare uno stato di emergenza ed allarme, preparando la mente e il corpo alla reazione che si manifesta come comportamento di attacco o di fuga o di rapida scelta di strategie per contrastare la fonte della paura. Alibi di inconsapevolezza e/o irresponsabilità. Un esempio: un forte rumore in lontananza può suscitare immediatamente uno stato di allarme, ma le reazioni difensive vere e proprie vengono innescate solo nel momento in cui il rumore viene identificato (un grido, uno sparo, un tuono…). Non tutto fa paura.

Le due principali reazioni dinnanzi a uno stimolo pauroso sono attacco o fuga. Reazioni immediate (La via bassa). Più complesse sono le reazioni freezing e faint.

La paura può generare rabbia, che repressa diventa tristezza.

Alex Korb nel suo “The upward spiral” (2015; letteralmente “Spirale verso l’alto”) illustra in modo semplice gli intricati processi neurali che sono alla base della tristezza versus depressione. Korb sostiene che quando si è depressi è come se si stesse all’interno di una spirale che ci spinge verso il basso e può rendere questa condizione permanente.

Lo studioso sottolinea come i circuiti coinvolti maggiormente nella depressione siano due: la corteccia prefrontale (Samara et al, 2018), che è la sede delle nostre funzioni superiori, dei nostri pensieri e del controllo degli impulsi, e il sistema limbico (Redlich et al., 2018) che, invece, è collegato all’affettività e alle emozioni. Nella depressione, ciò che risulta disfunzionale è la comunicazione e l’interazione tra queste due parti per alterazioni neurotrasmettitoriali.

Aaron Beck sostiene che nella depressione vi sia una distorsione della triade cognitiva.

Immagine del sé negativa (“le cose vanno male perché io sono incapace”).

Interpretazione negativa dell’esperienza (“tutto è sempre andato male”).

Visione del futuro negativa (anticipazione dell’insuccesso).

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