Il doppio passo evoluto dell’umorismo. Parte II

by Roberto Pertosa

Tutti sappiamo che le bolle di sapone persistono in formazione sferica solo per pochi istanti. Poi scoppiano miseramente da sé, oppure a causa del contatto con altri oggetti in grado di assorbire il liquido che le circonda, per poi sputarlo in fretta. In genere si usano le bolle come passatempo per i bambini, solo se si tratta di sapone antisettico, ma il loro sfruttamento in esibizioni “artistiche” dimostra la loro capacità di affascinare anche gli adulti dalla natura semplice.

La distinzione tra sensazione e percezione è, ai più, sfumata e controversa, tanto che alcuni studiosi sono giunti a considerarle come parte di un’unica – per quanto complessa – funzione psichica (la senso-percezione).

In genere si parla di sensazione in relazione a eventi mentali di tipo atomistico – non ulteriormente scomponibili – suscitati da stimoli estremamente semplici (lampi luminosi, boccacce in gesto di scherno, o manifestazioni estemporanee senza senso che vorrebbero indurre al riso …).

La percezione, al contrario, viene intesa come più “complessa”, in quanto consiste nella funzione psicologica che interpreta i dati sensoriali al fine di conferire a questi una configurazione dotata di significato.

Ad esempio, se dovessimo predisporre un menù a base di “riso”, in occasione di determinati e attuali “varietà” televisivi di successo, inseriremmo un piatto determinante denominato “Riso spastico con contorno di manifestazioni di riso patologico”, durata tre ore, livello molto basso, dosi 2 persone.

Preparazione: predisporre infantili e stucchevoli episodi incontrollati di “riso”, scatenati da stimoli non rilevanti, cioè da stimoli o eventi che normalmente non causerebbero alcuna risposta emozionale, ossia, manifestazioni di “riso” incontrollato che compaiono in risposta a stimoli non emotigeni, ad esempio se si compie con la mano un movimento oscillatorio nel campo visivo di chi guarda, accompagnato da sfrenate e imbarazzanti oscillazioni del corpo.

Questo tipo di “riso”, non ha valenza emozionale, non è certo associato a sentimenti di consapevolezza, è soltanto conseguenza di un atteggiamento mimico, e gli spettatori che ne sono attratti ne sono inconsapevoli, né rimangono perplessi, non giudicandolo come “inappropriato”.

Ma è anche vero che la vergogna è l’emozione dell’autoconsapevolezza. Essa è legata alla competenza sociale, in altre parole è connessa alla valutazione e alla comprensione degli standard culturali (che non sono affatto vincoli ma valutazioni emozionali), a cui la persona cerca di aderire.

Chi non considera la “norma sociale”, non è in grado di percepire il senso del giusto o dello sbagliato, del bello o del brutto. È ottusamente privo di senso estetico e di capacità critica, e non ama affatto la “consuetudine” dell’inflessibilità con sé stessi, apponendo un proprio definitivo sigillo alla perturbazione perduta.

La vergogna, infatti, nasce solo dalla capacità di valutazione della propria inadeguatezza, e l’assenza di coscienza genera lo smarrimento del principio dell’inopportunità, la perdita dell’intimità, la presunzione che la popolarità derivi dalla competenza, tanto da far assumere quella patetica spocchia da un soldo bucato a coloro che sdoganano becere manifestazioni come ridicole intenzioni di controcultura che dovrebbero mettere in beffa la società.

<… ma le scimmie non ridono. Il riso è proprio dell’uomo>.

È vero, Aristotele dedicò il secondo libro della sua poetica alla commedia come strumento di verità.

Ma è Pirandello che definisce il concetto del riso in maniera straordinaria nel saggio “L’umorismo”, sul quale si fonda tutto il suo meccanismo narrativo basato sull’analisi e sulla scomposizione della realtà.

Ossia, una distinzione tra il “comico” e “l’umoristico”. Nel primo caso, che Pirandello definisce come “avvertimento del contrario”, si manifesta il meccanismo che induce alla risata, cioè l’avvertimento di qualcosa che muta l’andamento tipico della realtà. Ci capita di ridere di qualcosa che mette in mostra una forte contraddizione rispetto alla norma a cui siamo abituati.

Subentra però in un secondo momento il “sentimento del contrario”, su cui si basa l’umorismo; si tratta di un momento di riflessione e di analisi, talvolta triste, sulla risata. Il riso si trasforma così in una considerazione dolceamara sulla vita e sull’esistenza umana.

Sviluppando questo ragionamento, Pirandello dice che l’umorismo è quel meccanismo per cui ogni realtà di fronte ai nostri occhi (e pure la nostra stessa identità) si sdoppia nel suo contrario, così che tutto il reale non è più conoscibile e interpretabile secondo un unico punto di vista. Una frammentazione del mondo, delle identità e della coscienza individuale.

Quindi la funzione dell’umorista è quella di non mediare tra i contrasti, ma di far venire alla luce le contraddizioni della realtà, con le sue ipocrisie, che nelle sue opere vengono smascherate e scomposte attraverso il paradosso.

E questo doppio passo evoluto, che identifica il valore assoluto di una rappresentazione artistica, non solo comica, non è certo mancato nel passato, anche recente (nel prossimo editoriale tratterò l’argomento), nelle rappresentazioni teatrali e anche televisive di grandi maestri che sono già riusciti a decodificare la lezione di Pirandello, e da cui potrebbe trarsi spunto qualora i meccanismi letterari del grande drammaturgo non fossero alla portata di semplici giullari di strada.

Per cui, gli “umoristi” che sbandierano, fieri, banalità investite, a loro dire, di processi intenzionali di decodificazione della società (imboccati ovviamente dai loro mentori), si espongono inconsapevolmente, con il loro inguardabile singolo passo portatore inevitabile di trash, alle stesse menti inconsapevoli a cui si rivolgono, e a quelle perennemente offuscate, indossando maldestramente la patetica onnipotenza tipica dei mediocri che raggiungono inspiegabilmente il successo, e che citano impropriamente mostri sacri a cui vorrebbero ispirarsi e paragonarsi …., e criticandoli per giunta (che oltraggio!) .

Un recente studio dell’Università del Kansas (ironico modo di dire per definire farlocco uno studio) ha confermato che l’unico strumento in grado di contrastare il progressivo degrado sociale risulti essere il telecomando. Ogni altra forma di contrasto è ritenuta inadeguata e inefficace, e lo dimostrano inequivocabilmente gli innumerevoli dati sperimentali a sostegno di tale tesi, tratti dalle molto attendibili opinioni “scientifiche” dei protagonisti della comunicazione contemporanea: i navigatori (sic).

Ma tanto, è solo puro e banale intrattenimento …

Pio e Amedeo, campioni della prima serata di Canale 5 con Felicissima Sera

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