Il predominio maschile sul corpo delle donne: una riflessione

by Michela Conoscitore

A ridosso della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2020, negli ultimi giorni si sta discutendo di due vicende balzate tristemente agli onori delle cronache, casi di stupro che mettono in evidenza quanto il problema sia ancora radicato in Italia, come nel resto del mondo. Una pesante tara che la componente maschile della popolazione si porta dietro da secoli, frutto di una mentalità patriarcale che, nonostante le conquiste femminili, non accenna a modificarsi o a far intravedere spiragli di cambiamento. Ad esser preso di mira è il corpo delle donne: mercificato, usato, denudato, picchiato, violentato in un loop straziante e offensivo che è connotato da un’estensione temporale abnorme.

Il caso Alberto Genovese prosegue a far discutere per i nuovi elementi che emergono sulle ‘pazze’ feste della Milano da bere, ancora viva e prolifica, di cui Genovese era uno degli organizzatori più efficienti e re indiscusso. Droga, belle ragazze e violenza, erano questi gli ingredienti per le serate da sballo durante le quali l’ex imprenditore si sentiva in dovere di fare qualunque cosa, contraddistinto da una volontà senza ritegno, e almeno finora in un solo caso documentato ha oltrepassato gli umani limiti di sopportazione del dolore. “Non è colpa mia, è la droga. Sono vittima. Io sono una brava persona, uno a posto che non farebbe mai nulla di male”, queste le parole dell’ex imprenditore che ha legato mani e piedi una diciottenne, drogandola e per una notte intera ha abusato di lei, con un bodyguard a vigilare l’accesso alla stanza del padrone.

Venticinque giorni di prognosi per una notte in cui il corpo della giovane si è contorto in posizioni innaturali solo perché la droga ha preso possesso della mente di Genovese. Assumere stupefacenti è una scelta non un effetto collaterale, e a Terrazza Sentimento quella era la normalità. Una ragazza ha visto la morte in faccia e si è salvata per miracolo, ma il quotidiano di Confindustria, Il Sole 24 Ore, ha pensato bene di definire Genovese come “un vulcano di idee che per adesso è stato spento”, quasi a volerlo proteggere, a giustificare e minimizzare mettendo in evidenza che l’economia del Paese ha perso una mente geniale, purtroppo suo malgrado costretta a scontare una pena. Il credo maschilista sugli organi di stampa non ha davvero scusanti.

L’altro episodio di violenza ha visto coinvolto Ciro Grillo, figlio di Beppe fondatore del Movimento 5 Stelle. I fatti risalgono all’estate del 2019 e le ragazze coinvolte nello stupro di gruppo, molto giovani anch’esse, ne escono ovviamente malconce per gli avvocati della difesa: hanno affermato che la vittima della violenza di cui si sono resi artefici i rampolli della Genova bene era assolutamente cosciente e consenziente al rapporto sessuale. Video e prove fotografiche, invece, acquisite dalla magistratura inquirente dimostrano il contrario. Inoltre, l’altra vittima lasciata addormentata sembrava non avesse dovuto subire lo stesso trattamento dell’amica ma, purtroppo in queste ultime ore è emersa una foto in cui Ciro Grillo appoggia i propri genitali sul capo della ragazza addormentata. Un gesto di predominio su una donna incosciente beceramente documentato, figlio di un’educazione, civile e sessuale, praticamente assente.

Quel che emerge da queste storie è l’idea della donna come oggetto, da usare quando e soprattutto si trova in situazioni di subalternità, di pericolo e vulnerabilità. Ciò trova riscontro anche nella letteratura: in Tentazione, novella dello scrittore siciliano Giovanni Verga si racconta proprio uno stupro di gruppo, ai danni di una giovane contadina che incontra tre ragazzi in una zona di Milano deserta e di campagna; un proverbio famoso siculo dice: “In quell’ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina buona”, quindi la colpa della protagonista del racconto verghiano è stato il suo trovarsi in giro, per lavoro, in un’ora a lei non consona. Come quando oggi dicono alle donne che se hanno subito violenza, era perché indossavano vestiti provocanti.

Era un bel tocco di ragazza, di quelle che fan venire la tentazione a incontrarle sole”, narra Verga, che prova ad allontanare i tre uomini, cerca di liberarsene, e poi ecco cosa accade:

Andiamo, via! E il Pigna si mise in galanteria, coi pollici nel giro del panciotto. – Perdio! se era bella! Con quegli occhi, e quella bocca, e con questo, e con quest’altro! – Lasciatemi passare – diceva ella ridendo sottonaso, con gli occhi bassi. – Un bacio almeno, cos’è un bacio? Un bacio almeno poteva lasciarselo dare, per suggellare l’amicizia. Tanto, cominciava a farsi buio, e nessuno li vedeva. – Ella si schermiva, col gomito alto. – Corpo! che prospettiva – Il Pigna se la mangiava con gli occhi, di sotto il braccio alzato. Allora ella gli si piantò in faccia, minacciandolo di sbattergli il paniere sul muso.

In un raptus, potenziato dalla ritrosia della vittima ma anche dall’alcol, ubriacchi di donna i tre uomini abusano di lei ma non basta, preoccupati dalle conseguenze della vicenda la uccidono, provano ad occultarne il corpo che subisce anche la decapitazione e viene così abbandonato lì, dai tre individui che al termine dello stupro, in cui sono stati complici, si ritrovano colpevoli e nemici. L’unico atteggiamento che è balzato loro in mente per rapportarsi alla donna è stato quello della violenza, il solo linguaggio conosciuto che anche nella contemporaneità è adottato da molti uomini, sommandolo ad una scarna o totalmente assente empatia verso la donna. Quindi, Verga deresponsabilizza i fautori dello stupro addossando tutte le colpe alla contadina, portatrice insana di piacere peccaminoso. Come in un’altra sua celebre novella, La lupa, dove descrive la protagonista con caratteristiche demoniache:

Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell’andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d’occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da satanasso.

La lupa è sola, senza padroni, e quindi fa paura. L’unica sua colpa è vivere la propria sessualità come un maschio: è questo l’errore che non le si perdona, la libertà che non le è concessa. Quello che succede oggi, il problema che le donne si trovano a fronteggiare: scusarsi della propria essenza e subire violenza se fuoriescono dalle sovrastrutture della società o, semplicemente, quando si viene ancora etichettate come esseri senza volontà che vivono solo per ricevere le attenzioni dei vari maschi alpha, il più delle volte invece omega come nel caso di Genovese e Grillo. Se l’ex imprenditore ha scaricato la colpa dello stupro sulla droga, per il branco capeggiato da Grillo il colpevole, materiale o immateriale, chi è? Una bravata, figlia della giovane età, l’inesperienza e la voglia di vivere al limite la propria giovinezza, tutti ‘moventi’ che non possono acquietare lo sdegno per una psiche, si spera momentaneamente, spezzata e l’azione consapevolmente perpetrata ai danni di due esseri umani, oltre che donne, totalmente inermi.

Le tre vittime di queste storie avevano scelto di proseguire la serata in compagnia, non di essere violentate. Quel che la mente maschile non comprende è che il corpo delle donne appartiene solo a loro stesse, e chi lo viola non ha alibi che reggano.

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