Io sto col popolo palestinese, quindi sto con Israele

by Raffaella Passiatore

Il massacro del 7 ottobre non dovrebbe in alcun modo essere minimizzato o relativizzato, invece un famigerato “ma avversativo” lo traduce in un connesso di causalità.

Eppure non esiste una causa accettabile per ciò che è accaduto il 7 ottobre.

Non lo è nemmeno l’appoggio in precedenza dato da Netanyau ad Hamas per indebolire il Fatah di Abbas, come non lo è l’incapacità decennale dell’Europa a farsi mediatrice. Sono tutti errori e responsabilità che ci aiutano solo a capire come sia stato possibile il rafforzarsi di Hamas.

Sarebbe, altrimenti, come incolpare la Democrazia Cristiana per i movimenti stragisti di Destra e di Sinistra o per gli omicidi messi in atto dalle Brigate Rosse! Non ricordo, facendo un altro esempio, italiani che plaudessero ai bombaroli tirolesi ai quali -de facto- nel 1920 abbiamo sottratto i territori!

Se vogliamo parlare di storia, allora dobbiamo ricordare che il movimento sionista nasce alla fine dell’800, in un secolo che si caratterizza per il patriottismo e la nascita delle unità nazionali. Il nazionalismo, nell’accezione odierna, è altra cosa.

Israele è uno Stato giovane, ha soltanto settantacinque anni.

Pensiamo per un attimo ai primi settantacinque anni degli Stati Uniti d’America, della Francia, della Gran Bretagna, della Spagna e naturalmente dell’Italia. Definire i confini implica, purtroppo, sempre delle esclusioni. Non lo penso con cinismo, ma come una realtà ineluttabile. Sì, Israele nei suoi primi settantacinque anni ha fatto degli errori, né più né meno di tutti gli altri Stati del mondo.

Se lo Stato di Israele fosse stato creato, seguendo le prime proposte dei sionisti, in Argentina o nel Borneo comunque qualcuno si sarebbe sentito minacciato dai nuovi confini. La dislocazione geografica di Israele fu decisa -non per motivi religiosi giacché il Sionismo nasce come movimento laico- quanto per i numerosi insediamenti ebraici in loco che si moltiplicarono con le migrazioni avvenute tra il 1830 ed il 1850 soprattutto dall’Europa dell’est. Furono molti questi insediamenti ebraici distrutti dagli arabi prima del ’47. Nel 1920: Metula, Telhai, Bnei Yehuda. Nel 1921: Kfar Saba, Kfa Malal. Nel 1929: Kfar Uria, Ruhama, Hartuv, Hulda, Motza, Poria, Hebron. Beit Shé an, nel 1936.

Abbiamo tutti approfondito le mancanze di Israele leggendo le aspre critiche di intellettuali e scrittori israeliani ed ebrei. Chomsky, Grossmann, Yehushua, solo per citarne alcuni.

Il 2 ottobre, sedevo al Caffè Pedrocchi di Padova con due amici israeliani ai quali ho posto questa domanda: «Gli intellettuali israeliani non dovrebbero spiegare al mondo anche le vostre di ragioni?» Il mio amico Dadi ha scosso la testa e mi ha risposto: «Uno scrittore che non critica il suo Paese? No, il compito di uno scrittore è criticare il suo Paese, altrimenti come possiamo migliorare?»

Sono convinta che le critiche più efficaci, quelle in grado di ribaltare o migliorare un sistema politico, possano venire solo dall’interno. Ma dov’è allora l’autocritica arabo-palestinese?

Possibile che nessuno nel mondo palestinese ricordi il proprio “peccato originale” quando, nel 1948, la Palestina dopo aver rifiutato l’accordo di due popoli e due Stati, imbracciò le armi e dichiarò guerra? Un “peccato originale” perpetuato con continue lotte armate e attacchi terroristici ai civili.

Vivere in Israele, da sempre, significa uscire per andare a scuola o al lavoro e non sapere se si farà ritorno a casa. Si è circondati sui confini esterni da continui attacchi di razzi. Nell’ambito interno sugli autobus, per le strade, negli uffici pubblici c’è sempre il rischio di un qualche attentatore o kamikaze che fa strage di civili. Proviamo ad immaginarci cosa sia vivere così da sempre…

Nemmeno una voce araba ho sentito raccontare dei miliardi trafugati al popolo palestinese, e nascosti su un conto segreto, dal mitico capo laico dell’OLP Arafat. Erano fondi che avrebbero dovuto servire all’emancipazione della Palestina. Nemmeno una parola araba sulla raccolta di fondi che regolarmente partono dall’Europa, milioni e milioni, che finiscono nelle tasche e nei beni di lusso dei boss di Hamas e nell’acquisto di armamenti.

Nemmeno una parola sul dato di fatto che la Palestina, dal 2006 ad oggi, dovrebbe essere in grado di autogestirsi grazie all’abbondanza di denaro europeo al quale si sono aggiunti milioni del Qatar e dell’Arabia Saudita. Non sono state costruite infrastrutture, canalizzazioni per l’acqua potabile e per le irrigazioni, le colture agricole sono andate in malora, le forniture medicinali non arrivano; ed è tutta colpa di Israele?

Come mai dal 2006 ad oggi non ci sono mai più state elezioni democratiche in Palestina? Qual è il vero consenso dei palestinesi ad Hamas?

Circa il senso della memoria, troviamo nella narrativa dello spagnolo Javier Marias un concetto che ha suggerito in questi giorni lo storico e filosofo israeliano Yuval Noah Harari: il passato è passato e non possiamo cambiarlo; continuare a rinvangarlo significa perpetuare la vendetta della vendetta della vendetta della vendetta… Ad un certo punto bisogna mettere la parola fine ed iniziare dal punto zero.

Dovrebbe essere una “epifania della pace” che conosciamo forse a livello individuale, in quel difficile percorso che è la riconciliazione con i nostri ed altrui errori, nell’accettazione dei nostri ed altrui limiti nell’arco della nostra esistenza umana. Ognuna delle nostre vite è una goccia, microcosmi che vanno a costituire il macrocosmo dell’umanità tutta.

Un microcosmo è Yocheved Lifshitz, presa in ostaggio da Hamas il 7 ottobre e rilasciata il 24 dello stesso mese. Arriva mano nella mano del suo sequestratore, mascherato ed armato, e viene consegnata ad un sanitario. Le chiedono il suo nome, è un bel nome Yocheved; un nome biblico, appartenuto alla madre di Mosè, significa: Gloria di Dio.

 Poi le chiedono quanti anni abbia, lei risponde: 85, quindi si appoggia al braccio del sanitario per essere portata in salvo. Ma ci ripensa Yocheved, si volta, porge la mano al suo sequestratore, quello molla la destra che teneva sul fucile e le stringe anche lui la mano scuotendo il capo e, a quel punto, Yocheved esclama: «Shalom»: Pace, in ebraico.

Yocheved, data la sua veneranda età, probabilmente è sopravvissuta ai pogrom e all’olocausto. Quello che sappiamo di sicuro è invece che Yocheved è attiva nel partito di Sinistra del suo Paese, che si è prodigata contro la politica di Netanyau e, come la maggior parte degli abitanti dei Kibbutz, ha intessuto rapporti personali con i palestinesi della striscia di Gaza. Quelli come Yocheved procuravano i visti d’uscita,  davano lavoro ai palestinesi come giardinieri o muratori nei loro kibbutz, li aiutavano a curarsi negli ospedali di Tel Aviv; spesso mangiavano insieme, giocavano con i bambini; condividevano una parte importante delle loro vite. L’ideale, insomma, per integrarsi e costruire una pace.

Un altro “microcosmo” è quello di un giovane affiliato di Hamas che chiama suo padre al telefono il 7 ottobre: «Papà, ti sto chiamando da Mefalsim, apri Whatsapp e guarda tutti quelli che ho ucciso, guarda quanti ne ho uccisi con le mie mani!Tuo figlio ha ucciso degli ebrei… »

E il padre risponde: «Che dio ti protegga!»

«Papà, ti sto chiamando dal telefono di una donna ebrea, ho ucciso lei e suo marito, ne ho uccisi dieci con le mie mani papà, dieci con le mie mani; apri Whatsapp e guarda quanti ne ho uccisi…le loro mani sono insanguinate, passami mamma…»

E la madre: «Figlio mio, dio ti benedica!»

E ancora il padre: «Mamma, tuo figlio è un eroe; uccidili! Uccidili! Uccidili! Uccidili!»

La disconoscenza o la conoscenza della storia del conflitto israelo-palestinese, ad absurdum, si equivalgono se facciamo l’errore di non partire da una valutazione del presente attraverso una netta posizione etica che dovrebbe definirci; come singoli individui prima e come appartenenti ad una certa cultura -che noi chiamiamo occidentale- poi. Detta così, dopo decenni di liberismo sfrenato, Etica sembra una brutta parola.

Eppure, da qualche parte nella nostra cultura occidentale, dovrebbe ancora essere radicata quell’Etica illuminista laica, quella kantiana per intenderci; non quella sovra-storica delle religioni ma questa interna all’uomo e che risiede nella sua Ragione. Una Morale basata unicamente sulla Ragione -in quanto entità oggettiva- e non sul sentimento, sempre troppo labile e soggettivo. Poiché è la morale dei singoli che costruisce l’etica di una civiltà, non dimentichiamolo; sono i microcosmi che vanno a comporsi nel macro.

Allora, perché Hamas ha ucciso proprio questi israeliani? Israeliani che li aiutano, che si conoscono che, a livello politico, sarebbero in grado di spostare l’asse del governo a favore dei palestinesi.

L’unico motivo per uccidere era che fossero -non israeliani, attenzione!- ma ebrei. L’importante era farne fuori il maggior numero possibile, tanto meglio gli inermi del rave party o dei kibbutz, era più facile perché non c’erano soldati a difenderli.

Ma non sarebbe stato più semplice lanciare una bomba? Perché ucciderli uno per volta, guardandoli in faccia? La risposta è che buttare una bomba prevede una distanza tra l’assassino e la vittima. Chi invece odia con questa potenza la vittima la vuole vedere in faccia, deve violarla fisicamente; la tortura e la sofferenza altrui provocano piacere non orrore. Buttare una bomba non permette di quantificare i trofei; quel ragazzo li ha contati i morti che ha fatto con le sue mani, ne va orgoglioso, gli appartengono quei morti! Così i suoi genitori possono andare fieri di avere un figlio come lui.

Uccidere casa per casa, sparare sui bambini al caldo nei loro lettini, stuprare e sodomizzare le donne e le bambine, strappare un feto dal grembo materno, non è eliminare il nemico bensì macellarlo; implica l’infliggere il dolore con piacere; è il godere nel martirizzare. È qualcosa che nel mondo animale non esiste, quindi facciamo un errore a chiamarli bestie, sono invece banalmente umani. Non credo siano nemmeno mostri, credo piuttosto -rifacendomi a Die Banalität des Böses di Hanna Arendt- in un’ordinarietà dei soggetti omicidi. È una questione pragmatica; per ogni ebreo ucciso ti regalano una casa ed un sacco di soldi e fai pure contento il tuo dio! E mentre famiglie di innocenti venivano macellate, c’era chi saccheggiava e portava via le TV ed i suppellettili, altri facevano al tiro a segno con i cani ed i gatti domestici.

Per gli assassini del 7 ottobre, non c’è alcuna distinzione tra una Yocheved e gli altri, sono tutti ebrei, quindi sono da abbattere, non solo in Israele -che dovrebbe sparire dalla faccia della terra- ma in qualsiasi parte del mondo. Non lo dico io, lo dice lo statuto di Hamas e ognuno che scende in piazza a manifestare sotto il nome di Hamas sottoscrive quel manifesto.

Leggendo lo statuto di Hamas, viene subito in mente la “Endlösung” nazista; certo un po’ meno organizzati questi, potrebbero sporcare meno. Tuttavia, per evitare lo sporco ci sono sempre le pulizie, soprattutto etniche!

E di pulizie etniche i Paesi arabi hanno una discreta tradizione, basti ricordare nel 1948 quando, come risposta alla fondazione dello Stato d’Israele, fu messa in atto l’espulsione di migliaia di ebrei -con la confisca di tutti i loro averi- : 542.000 ebrei furono espulsi dal Marocco, 274.000 dall’Algeria, 204.000 dalla Tunisia, 43.000 dalla Libia, 117.000 dall’Egitto, 43.700 dalla Siria, 144.000 dall’Iraq, 60.000 dallo Yemen, 560.000 dall’Iran.

Quelli di Sinistra come me, hanno permesso che la Destra si appropriasse di una parola bellissima che è Identità e la rendesse un mostro identitario; abbiamo lasciato che il buonismo spazzasse via la capacità di indignarsi e rifiutare la barbarie

-che non è una diversità culturale ma solo barbarie. Terrorizzati da un presunto complesso di superiorità, abbiamo sviluppato un’autocensura che ci impedisce di affermare liberamente che sì, io non uccido e mi sento migliore per questo che, sì, voglio che i diritti umani rimangano laici e che siano sempre al di sopra di ogni religione e tradizione; che io disprezzo chi uccide in nome di un presunto dio e non ho alcuna forma di comprensione per chi lapida le donne ed impicca gli omosessuali. C’è una differenza fondamentale che dovrebbero conoscere quei giovani che si definiscono di Sinistra e che si schierano con Hamas. Dicesi lotta armata, quindi di resistenza, quella esclusivamente contro le milizie. Hamas non aveva alcun obiettivo militare il 7 ottobre, nel mirino c’erano solo civili. Nessuna lotta armata ha come obiettivo dei civili innocenti. Al rave party e nei kibbutz, non c’erano arsenali, non c’erano militari, non c’erano politici. Se si fosse trattato di mera vendetta, Hamas avrebbe colpito i coloni in Cisgiordania, colpevoli -con l’appoggio più o meno diretto di Netanyahu di occupare territori palestinesi.  Sarebbe rimasta comunque una barbarie, ma avremmo potuto ordinarla nell’ambito delle faide. Invece Hamas ha colpito i suoi stessi simpatizzanti se non amici; i giovani del rave party erano la speranza per la pace. Erano i potenziali elettori della sinistra israeliana in grado di sconfiggere la Destra di Netanyahu, appoggiata dalle ortodossie religiose ebraiche. Hamas ha ucciso la gioventù israeliana che, a migliaia, è scesa in piazza a manifestare contro il governo Netanyahu. La funzione di questi giovani è fondamentale in questo momento per la tenuta democratica del Paese. L’eredità della generazione ashkenazita socialista, quella dei fondatori di Israele per intenderci, va scomparendo. La parte essenzialmente laica del Paese, a causa di una natalità molto inferiore rispetto alle comunità religiose ebraiche, rischia la minoranza. I figli dell’ortodossia religiosa ebraica non svolgono il servizio militare, non andranno mai a combattere come riservisti. Un’altra questione, questa, contro la quale la Sinistra israeliana si sta battendo.

Lo sanno quei ragazzi, che marciano inneggiando ad Hamas, che questo gruppo si ispira alle alleanze arabe con il nazismo? Lo sanno che trattasi di un gruppo islamico fondamentalista per il quale andrebbe applicata la legge coranica? Lo sanno quei ragazzi che Hamas ha torturato e minacciato chiunque tra i palestinesi -dal 2006 ad oggi- abbia avanzato critiche? Lo sanno che Hamas, al momento, fucila i palestinesi che cercano di mettersi in salvo dai bombardamenti scappando al sud?

Questi ragazzi non hanno capito che l’unica possibile pace può avvenire soltanto nell’ambito democratico. Hamas vuole scardinare la Sinistra israeliana -proprio quella che da decenni lotta per una risoluzione della questione palestinese- e istigare il governo israeliano alla vendetta, semplicemente perché l’obiettivo non è e non è mai stata la pace.

Sempre attraverso il famigerato “ma avversativo” s’interpretano adesso le operazioni militari di Israele come una vendetta. Uno stato che occupa circa lo 0,2 % del territorio arabo, circondato da stati nemici che attaccano ininterrottamente, può smettere di difendersi? Non è legittimo che lo stato Israeliano cerchi la sicurezza dei propri cittadini? Si può fermare il continuo invio dei razzi su Israele senza bombardare Gaza da dove gli ordigni vengono lanciati? L’eliminazione di Hamas, dei suoi cunicoli sotterranei, dei suoi arsenali, è possibile senza bombardare Gaza ed evitare il soccombere dei civili palestinesi? E gli ostaggi israeliani trattenuti nei sotterranei di Gaza? Bombardare la striscia di Gaza significa uccidere anche loro. Che vendetta sarebbe questa da parte di Israele? Una vendetta che implicherebbe la morte degli ostaggi come un mero “effetto collaterale”?

Non sono una statista né un’esperta militare, quindi non so dare nemmeno una risposta, sono però convinta che le azioni di Israele non siano una vendetta ma una lotta disperata per la sopravvivenza. Oppure dobbiamo qui decretare, una volta per tutte, ciò che Hamas e buona parte del mondo arabo auspica: la distruzione dello stato di Israele. Quindi, che Israele smetta una buona volta di difendersi e si faccia annientare! chissà che finalmente avrà -se non il plauso- almeno la solidarietà che si dà alle vittime, come nella migliore tradizione del martirio; il “battesimo di sangue” come lo definisce la chiesa cattolica.

Si fanno i conti a tavolino in questo momento: chi ha perduto più bambini? I Palestinesi, non c’è dubbio, e responsabile è chi non li ha protetti.

L’Italia si divide in fazioni, come tifoserie di calcio -hanno scritto alcuni- e la propria squadra la si porta nel cuore, non certo in quella “Ragione kantiana” di cui poco sopra.

Ciò che impera tra i più giovani è il luogo comune e il sentito dire; lo si ripete e lo si diffonde, diventa Verità pur senza Realtà, ché questa è più -forse troppo- complessa; “Gli israeliani hanno rubato la terra ai palestinesi”, “Lo stato d’Israele è uno stato colonialista e nazista”, “Gaza è una prigione a cielo aperto”…e poi ci sono le teorie del complotto “Colpevoli sono i banchieri e i miliardari ebrei e le multinazionali americane sotto il controllo dei capitalisti ebrei…” sono come slogan che potrebbero, sì, essere contraddetti da dati di fatto, tuttavia confutarne la veridicità non servirebbe a nulla poiché allo stadio l’onestà intellettuale è fuori posto.

È destabilizzante mettere in discussione le proprie radicate “verità”. La realtà è tale solo se conferma le nostre convinzioni, tutto ciò che evade da esse diventa una fake news. I mezzi tecnologici ci avevano dato la speranza di poter provare i fatti; una fotografia o un video dimostravano. Oggi le manipolazioni virtuali si offrono come nuovo strumento di negazionismo.

C’è poi, nell’ambito della politica, chi sfrutta la situazione per rinsaldare i propri elettori su posizioni ideologiche, oppure per accaparrarsi i simpatizzanti. In questa categoria si riaffermano la tradizione antisemita della Sinistra italiana e quella islamofoba della Destra.

In una lettera aperta, gli intellettuali israeliani -proprio quelli che da sempre criticano la politica israeliana- costatano l’insensibilità morale della sinistra globale. Ancora questa imbarazzante parola: morale.

Ci sono poi quelli né di Destra né di Sinistra, poiché le ritengono categorie del passato, e che “si lavano le mani” al centro. In questo girone ci sono gli individui che il Sommo Poeta avrebbe chiamato “ignavi”, quelli che non riescono mai ad avere un’opinione perché -dicono- la situazione è troppo complessa.

Io sto col popolo palestinese, e quindi gli auguro di riuscire a ribellarsi ad Hamas con una vera Resistenza, poiché la liberazione deve avvenire prima di tutto dall’interno.

Gli auguro un governo democratico in cui sia possibile, come in Israele, avere un passaporto palestinese anche se si è ebrei, drusi, sunniti, sciiti, beduini o cristiani. Gli auguro di avere un parlamento in cui siedano anche rappresentanti delle minoranze, come in Israele siedono partiti arabi.

Gli auguro di creare un Paese in cui poter manifestare liberamente contro il governo, senza essere buttati -bendati- in una fossa e poi fucilati. Gli auguro di poter professare tutte le religioni e magari nessuna, con uguali diritti per le donne e gli omosessuali. Gli auguro di investire nel loro paese e di coltivare la loro terra e di dare ospitalità agli stranieri.

Gli auguro di vivere in una democrazia che, per quanto fallace, rimane la forma più giusta di governo.

Israele è un tesoro, il baluardo della democrazia nel Medio Oriente. Sembrerà un paradosso ma, con uno sguardo soprastante, salvaguardare Israele significa anche proteggere il popolo palestinese… e tutti noi.

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