Jonny la cicala e Stakanova la formica

by Raffaella Passiatore

La formica Stakanova, tornava a casa all’imbrunire.

Le compagne, ordinate in fila indiana, rincasavano nel formicaio dopo una dura giornata di lavoro, trasportando le ultime provviste. L’autunno era appena iniziato, ciò nonostante bisognava raccogliere in fretta quante più provviste per l’inverno.

Stakanova trasportava sulla schiena un enorme chicco di caffè. Stanca dal duro lavoro della giornata e non essendo più giovanissima, decise di fare una pausa sotto un pino. Appena ebbe appoggiato il chicco a terra udì un rumore molto fastidioso, come il succhiare un liquido dal fondo di una bottiglia con una cannuccia.

«Chi è questa maleducata?» Esclamò Stakanova e, alzando lo sguardo, vide una grossa cicala che dava una succhiatina con la sua proboscide alla linfa del pino.

«Mmmmmhhhh, deliziosa, veramente da sballo ! Vuoi anche tu un po’ di Pino Colado?»

«Sono astemia io!»

«Vivan le femmine,
 Viva il buon vino!
 Sostegno e gloria
 d’umanità!
»

Cantò la cicala spiccando un salto giù dal pino e piazzandosi davanti alla formica.

«Salve bella, posso presentarmi? Puoi chiamarmi col mio nome d’arte: Jonny, anche se all’anagrafe faccio Giovanni, ahahahhaha!»

La risata della cicala era uno stridere talmente sonoro che la formica fece un salto e si coprì le orecchie con le antenne.

«Senta Jonny, o Giovanni che dir si voglia, lei puzza di Pino Colado da lontano un metro! Ma quanto ha bevuto?Non lo sa che fa male alla salute?!»

«Ma che ce frega ma che ce ‘mporta, se l’oste ar vino ci ha messo l’acquaaaa!»

Cantò la cicala scoppiando poi in un’altra delle sue fragorose risate.

«E dai, bella! Fatti una bevuta anche tu che poi sei più felice!»

«Senta Lei, Giovanni, o come si chiama…»

«Jonny, Jonny, è il mio nome d’arte, come dicevo…»

«Jonny, ecco, io sono astemia, come Le dicevo, e non ho bisogno di essere più felice perché sto benissimo così».

«Felicità
È un bicchiere di vino con un panino, la felicità
È lasciarti un biglietto dentro al cassetto, la felicità
È cantare a due voci quanto mi piaci, la felicità
Felicità

Senti nell’aria c’è già
La nostra canzone d’amore che va
Come un pensiero che sa di felicità
Senti nell’aria c’è già
Un raggio di sole più caldo che va
Come un sorriso che sa di felicitàaaa!
»

E la cicala, mentre cantava accompagnandosi con i cimbali sistemati sul ventre, si avvicinò alla formica puntandola con i suoi grandi occhi neri. Allargò poi le possenti ali, così magnifiche che nemmeno la regina delle formiche ne possedeva di simili.

Gli ultimi raggi del pallido sole autunnale sembrarono spaccarsi in mille pietre preziose che andarono ad incastonarsi in quel lavoro di filigrana d’oro e d’argento che erano le ali della cicala. Alla formica era scesa la mandibola, le antenne le ciondolavano ai lati della testa, tuttavia tornò presto in sé quando la cicala con un saltello andò a mettersi proprio sopra il chicco che la formica aveva appoggiato a terra.

«Altolà! Scenda subito di lì, quello è il mio chicco e la smetta di cantare! Ma lo sa che Lei canta di continuo? È veramente insopportabile! E magari pensa anche di avere una bella voce?! È stonato come una cornacchia!»

Per tutta risposta Jonny si stese sopra il seme in una posa abbastanza provocante, per non dire oscena, e fece l’occhiolino a Stakanova. Se non fosse stata nera come la pece avremmo potuto dire che la formica arrossì. Stakanova fece per allontanarsi ma la cicala non si dette per vinta e, con un altro balzo, si parò davanti alla formica e cantò:

«Là ci darem la mano,
là mi dirai di sì.
Vedi, non è lontano;
partiam, ben mio, da qui…
»

Inaspettatamente Stakanova pensò :

«Vorrei e non vorrei, mi trema un poco il core…»

E non sapeva quei pensieri da dove gli venissero, era come se li avesse sentiti o letti da qualche parte.

«Vieni mio bel diletto!

Io cangerò tua sorte…»

Continuò cantando Jonny

«Presto non son più forte!»

Non fece a meno di pensare ancora la formica.

«Andiam andiam mio bene

a ristorar le pene d’un innocente amor!»

Concluse la cicala, porgendo la mano a Stakanova con un passo di danza. La formica, con un moto di stizza, fece un passo indietro e strinse le zampe anteriori al petto come per difendersi. La formica sperò che Jonny non si fosse accorto di quel momento di debolezza. Lo fissò dritto negli occhi ed esclamò con durezza:

«Dica Lei, insomma, cosa vuole da me?»

Jonny la guardò con intensità, poi si appoggiò al tronco dell’albero e, con un ago di pino a mo’ di stuzzicadenti, iniziò a maneggiarsi in bocca.

«Ma possibile che tu non abbia mai sentito parlare di me? Sono una celebrità qui nel bosco, tutti vengono ai miei concerti».

«Io non ho tempo per andare ai concerti, signor Jonny, o Giovanni che dir si voglia. Io devo lavorare!»

«Ma i concerti sono di sera, mia gioia bella!»

«Io di sera devo dormire! Ma cosa crede Lei? Se io me ne andassi di notte in giro per concerti come farei la mattina ad alzarmi presto per andare a lavorare? Ma, mi scusi, Lei non lavora?»

«Come non lavoro? Lavoro di notte, faccio musica, io canto!

Vivo per lei perché oramai
Io non ho altra via d’uscita
Perché la musica, lo sai
Davvero non l’ho mai tradita

Vivo per lei perché mi dà
Pause e note in libertà
Ci fosse un’altra vita la vivo
La vivo per lei

Vivo per lei la musica
Io vivo per lei
(Vivo per lei è unica)
Io vivo per lei
Io vivo per lei
Io vivo
Per lei!
»

«E Lei lo chiama lavoro questo?»

La cicala guardò Stakanova con sufficienza, si dette quindi una grattatina alla schiena sfregandosela contro il tronco e continuò:

«Come hai detto che ti chiami?»

«Non l’ho detto, infatti. Io non concedo certe informazioni personali agli sconosciuti. Non conosce la legge sulla privacy?»

«Beh, sei una gran maleducata, allora, se nemmeno ti presenti a chi ti chiede educatamente il tuo nome! Va bene, se non vuoi dirmi il tuo nome, ti chiamerò Nullità».

Poi, dando un’occhiata alla fila di formiche che si allontanava e spariva all’orizzonte, Jonny aggiunse:

«In fondo sei un numero. Una delle tante, una del gregge.»

«Evidentemente Lei è un sociopatico! Non c’è cosa più utile che essere parte di un gruppo sociale, parte di una comunità, contribuire al bene comune. È solo l’unione che fa la forza! È con la solidarietà che si costruisce una società più giusta. Lei invece è il prototipo del narcisista egoista, non mi stupirei se nascondesse dei capitali all’estero. Continui così, continui pure così e morirà questo inverno e solo come un cane!»

«Compagni, avanti! Il gran Partito noi siamo dei lavoratori. Rosso un fiore in noi è fiorito e una fede ci è nata in cuor. Noi non siamo più nell’officina, entro terra, nei campi, al mar, la plebe sempre all’opra china senza ideale in cui sperar. Su lottiam! L’Ideale nostro alfine sarà, l’Internazionale, futura umanità! Su lottiam! L’Ideale nostro alfine sarà, l’Internazionale, futura umanità!»

Cantò la cicala e, con fare canzonatorio, marciando sul posto, cercò di mettersi sulle spalle il chicco. Quello gli sfuggì dalla presa delle zampe e rotolò disastrosamente tra l’erba andando a sbattere contro una pietra e rompendosi in due parti.

«Disgraziato ma cosa fa??! Ha visto cosa succede a fare lo stupido?»

Urlò la formica furibonda.

«Guarda qui come mi sono stropicciato le ali!»

Disse quello per nulla preoccupato per il chicco che ignorò mentre, leccandosi le zampette, si lisciava le ali un tantino ammaccate.

«Mica posso andare sul palcoscenico in queste condizioni…»

Nel frattempo Stakanova aveva raggiunto il chicco di caffè, aveva cercato di rimettere le due metà insieme ma quelle non ci stavano più; scivolavano una sull’altra, con grande disperazione della formica.

«E adesso, come le trasporto al formicaio? Come?! Mi toccherà andare e tornare, un tragitto inutile, con un solo trasporto avrei potuto portare un chicco intero, ed invece adesso devo fare il doppio tragitto! Uno spreco di tempo ed energia! Bassa produzione per doppia energia lavoro! Un disastro…un disastro…»

«Su, gioia mia, non te la prendere, che sarà mai? Dai a me una metà e così ti tiri fuori dall’impiccio. Tu te ne vai al formicaio bella leggera ed io ho qualche provvista per l’inverno».

«Lo sapevo! Lo sapevo!» Iniziò a gridare la formica furiosa agitando le zampette e stringendo i pugni per aria.

«Facevo bene a non fidarmi di un musicante da strapazzo! Ha passato l’estate a cantare? E adesso l’inverno che balli dal freddo e dalla fame!»

«Musicante a me? Guardi che sono un professionista! »

«Parassiti della società! Ladri, ladri! Aveva ragione Re Salomone ad ammonire i pigri e a dire di prendere esempio da noi formiche che non conosciamo l’ozio! »

«Un momento, adesso è troppo! Se vuoi fare la saputella e citare la bibbia, sappi che le cicale per gli antichi greci erano simbolo di purezza, i romani ci consideravano talmente pure che pensavano non facessimo nemmeno la cacca! Altro che Salomone! Allora, iniziamo a mettere i puntini sulle i! Prima di tutto io sono tra gli insetti forse il più laborioso, non faccio altro che cantare, quando non sono in concerto sto in casa a studiare il solfeggio –che non è propriamente un gran divertimento- quindi ozioso a me, proprio non lo si può dire!»

«E cosa ce ne facciamo delle sue canzoni? Ce le possiamo mangiare in inverno, forse? Non lo sa che con la cultura non si mangia?»

«Cara la mia signora, senza le mie canzoni la sua vita di lavoro sarebbe ben triste.

Chieda alla sua regina cosa sente la sera dopo cena. Le auguro una bella pandemia, un lock down totale, e poi vediamo come sopravvivete senza la musica. Chiunque possieda uno spirito sa che non ci si pasce solo di cibo mortale!

Io sto allo spirito come il pane sta al corpo. Lei non ha bisogno delle mie canzoni perché non ha un’anima!»

E poi iniziò a cantare:

«E adesso so chi sei
E non ci soffro più
E se verrai di là
Te lo dimostrerò
E questa volta tu
Te lo ricorderai

E adesso spogliati
Come sai fare tu
Ma non illuderti
Io non ci casco più
Tu mi rimpiangerai
Bella senz’anima

Na, na, na, na
Na, na, na, na, na
Na, na, na, na, na
Na, na, na, na, na
Na, na, na, na, na…
»

Se non fosse stata nera come la pece avremmo potuto dire che la formica divenne bianca come un lenzuolo.

«Ma come si permette di farmi certe proposte oscene!? Mascalzone e puttaniere, oltre che fannullone! Andate a lavorare invece di sfruttare il prossimo!»

«Ah, io sfrutterei il prossimo? Da quale pulpito viene la predica! Sappiamo bene delle vostre razzie, delle vostre azioni predatorie, tutti nel bosco lo sanno! Guerrafondaie di merda! Credete che non si sappia che avete gli schiavi? Lo sappiamo che tenete prigionieri gli afidi e che li mungete come vacche per rimpizzarvi di melata!»

«Tutto il nostro benessere ce lo guadagniamo col nostro lavoro!»

«Ah, sì? Vogliamo allora parlare delle vostre simili, formiche come voi, della vostra stessa razza, che fate lavorare come schiave?! Lo sappiamo che rapite le operaie da altri formicai per costringerle con la violenza a lavorare per voi!»

«A quelle formiche noi diamo vitto ed alloggio gratis!»

«Capitaliste di merda! Negriere! Se fossi un umano vi brucerei il formicaio! Vi metterei l’insetticida Baygon!»

«Quello è contro gli scarafaggi».

«No, c’è anche contro le formiche! Fascista!»

«Mantenuto, mangiaufo!»

«Negriera!»

«Scroccone!»

Si faceva buio e la formica capì di dover affrettarsi al formicaio. Si mise sulle spalle il mezzo chicco e prima di avviarsi disse:

«Domani sarò qui alle prime luci dell’alba e se non ritroverò l’altra metà del chicco, esattamente qui dove lo lascio adesso, ti giuro che passerai i guai».

«Continui a darmi del Lei, prego. Cos’è tutta questa confidenza? Adesso che mi minaccia si mette a darmi del tu?! Comunque il chicco potrebbe anche mangiarselo un uccello…»

«No, perché tu resterai qui a fargli la guardia!»

«E se l’uccello dovesse mangiare me?»

«Tanto meglio! Sarà sazio e lascerà stare il chicco. Bada, Jonny, la tua faccia non la dimenticherò! »

«Ti credo, dove la trovi una faccia così bella?»

 «Ti troverò dovessi andare in capo al mondo e ti farò sputare tutta quella boria…si crede artista lui! Puah! Saltimbanco da quattro soldi!»

Stakanova si avviò verso il formicaio ma la fila delle sue compagne ormai non si vedeva più. Era calata la notte e l’odore delle formiche era stato cancellato dalla brezza notturna. In un baleno Stakanova capì che non sarebbe riuscita a ritrovare il formicaio e che si trovava sola, nel bosco, e di notte! Si girò e la cicala, quel Jonny, non c’era più. Sentì un frinire dall’albero, alzò lo sguardo ma non riuscì a distinguere nulla, solo le fronde scure degli alberi che sembravano lo svolazzare minaccioso di un corvo. Stakanova ebbe paura. «Cosa faccio adesso? Salire sull’albero? No, significa andare giusto giusto nel becco di qualche pennuto ancora sveglio o peggio un rapace. Scavare una buca sotto terra? Per essere alla mercé delle talpe? No, nemmeno parlarne.

Nascondersi sotto qualche foglia allora, sperando che i rospi non mi scovino. Oddio, che tragedia! Tutta colpa di quella sconsiderata di una cicala! Quel Jonny, puáh! Facile per lui, lui vola e può andare dove vuole! Oddio, che tragedia, che orrore, di sicuro mi divoreranno prima che possa fare ritorno al formicaio con la quantità prescritta di provviste. Che vergogna! Non solo morirò ma anche con disonore, ed è tutta colpa di quel Jonny!»

La formica trovò un fiore di Gazania; che fortuna trovarne ancora uno a fine settembre! La formica abbandonò il chicco di caffè suo malgrado, i petali della Gazania erano già quasi completamente chiusi, Stakanova prese la rincorsa e ci si buttò dentro, proprio un attimo prima che quella serrasse tutta la corolla.

Stakanova iniziò a tranquillizzarsi, lì si sentiva al sicuro. Si stese sul morbidissimo cuscino di polline. Ne staccò un pezzettino e lo assaggiò, era veramente gustoso e si rivelò un’ottima cena. I petali erano vellutati e se ne strinse uno intorno al corpo per scaldarsi. Tutto pareva essere andato per il meglio, tuttavia Stakanova si sentiva terribilmente sola senza le sue compagne. «Come faceva Jonny a vivere così?» Pensò la formica.

«Ogni sera un concerto su un altro albero, sempre solo, con un’esistenza sempre sul filo del rasoio, senza sapere se avrebbe superato l’inverno. Perché Jonny viveva così? Chi glielo faceva fare?»

Stakanova non riusciva a prendere sonno, e la paura s’impossessò di nuovo del suo animo. Stava all’erta, ad ogni più piccolo rumore s’angosciava ed iniziava a tremare di spavento torcendosi le zampette. Malgrado la sua età era la prima notte che passava fuori dal formicaio tutta sola.

«Oddio, un rumore…chi sarà? Adesso mi mangeranno in un sol boccone! Oddio, sono gli ultimi attimi che mi rimangono! Aiuto, compagne mie, dove siete? Mi sento talmente vulnerabile e raminga…poverella me! Poverella me…»

 E così il tempo sembrava non passare mai per la povera Stakanova quando, di lontano e poi, sempre più vicino, sentì un canto. La voce si avvicinava, le era adesso così vicino che le sembrò che qualcuno cantasse proprio davanti alla Gazania; stavano cantando solo per lei! Qualcuno sapeva che si era nascosta dentro la Gazania. Non c’era dubbio, la voce era quella inconfondibile di Jonny!

«Ninna nanna mamma tienimi con te, nel tuo letto grande solo per un po’.

Una ninna nanna io ti canterò e se ti addormenti mi addormenterò.

Ninna nanna mamma, insalata non ce n’è, sette le scodelle sulla tavola del re,

Ninna nanna mamma ce n’è una anche per me, dentro cosa c’è?

Solo un chicco di caffè.

Dormono le case, dorme la città.  Solo l’orologio suona e fa tic tac,

anche la formica si riposa ormai, ma tu sei la mamma e non dormi mai.

Ninna nanna mamma , insalata non ce n’è, sette le scodelle sulla tavola del re, Ninna nanna mamma ce n’è una anche per me, dentro cosa c’è?Solo un chicco di caffè.

Quando sarò grande comprerò per te tante cose belle come fai per me. Chiudi gli occhi e sogna quello che non hai, i tuoi sogni poi mi racconterai.

Ninna nanna mamma insalata non ce n’è, sette piatti d’oro sulla tavola del re, Ninna nanna mamma ce n’è uno anche per te, ci mettiamo su tutto quello che vuoi tu, ci mettiamo su tutto quello che vuoi tu…»

Impossibile descrivere il sollievo che provò Stakanova all’udire quel canto. Si sentì protetta dalla voce di Jonny, sembrò che quelle dolci parole la riscaldassero dal freddo e dai pericoli della notte, le sembrò che lo stelo della Gazania iniziasse a dondolare come una culla, allora Stakanova non ebbe più paura di nulla. Chiuse gli occhietti e si addormentò serena.

Stakanova si sveglìo al tepore del primo sole, il fiore di Gazania aveva dischiuso la corolla.  La formica si stiracchiò, si dette una scrollatina e si ripulì del polline giallo. Quindi, di ottimo umore, uscì dal fiore. Ai piedi dello stelo della Gazania, dormiva Jonny la cicala. Era steso di fianco e sembrava dormire molto profondamente. Stakanova si avvicinò con circospezione ed un tantino imbarazzata.

«Buongiorno! Bella mattina, eh? Come ha dormito Signor Jonny? Beh…sì, insomma, volevo ringraziarLa per avermi cantato la ninna nanna questa notte…sì, insomma….come dire…mi ha fatto piacere, mi ha consolato, sì, e non mi sono sentita più sola…Era molto bella, sa? Veramente…io ne sono stata commossa…e…Signor Jonny? Signore?!»

Siccome la cicala non rispondeva, Stakanova si avvicinò e la toccò. Il corpo di Jonny ebbe un fremito e con un filo di voce la cicala rispose:

«Ne sono felice».

Quindi, con uno scatto improvviso, la cicala si voltò supina a guardare la formica e questa scoprì con orrore che un’ala di Jonny era stata staccata di netto, come del resto due delle zampette posteriori; non c’era dubbio, sembravano due beccate di merlo!

«Ma Jonny, lei è ferito!»

«No, sono proprio moribondo…è pericoloso passare la notte al suolo, davanti ai fiori…gli alberi, in alto… sono più sicuri…ed io perdei la speranza dell’altezza»

Disse con un mezzo sorriso e un fil di voce.

«Mi sta dicendo che lei è stato brutalmente beccato mentre mi cantava la ninna nanna?»

«Avrei preferito farti la serenata, ciccia…Sì, uno stupido merlo mi ha mangiato via due zampe ed un’ala…si sa, quelli frugano sempre in basso ed io rovinavo in basso loco…ma..ma non preoccuparti, ho assolto al mio compito, il mio canto ti ha tranquillizzata e ti ha fatto addormentare serena. Muoio felice, non ho mai chiesto altro se non di poter fare il mio lavoro; consolare gli esseri viventi col mio canto! Sono nata per questo…»

A Stakanova scesero due grossi lacrimoni. Come gocce di rugiada, le due lacrime si posarono sull’unica ala rimasta alla cicala, simile al petalo staccato dalla corolla di un fiore. Jonny sbarrò gli occhioni neri, guardò Stakanova e con quanta forza gli rimaneva in corpo cantò:

«E lucevan le stelle,
Ed olezzava la terra
Stridea l’uscio dell’orto
E un passo sfiorava la rena.
Entrava ella fragrante,
Mi cadea fra la braccia.

O dolci baci, o languide carezze,
Mentr’io fremente le belle forme disciogliea dai veli!
Svanì per sempre il sogno mio d’amore.
L’ora è fuggita, e muoio disperato!
E muoio disperato! E non ho amato mai tanto la vita!
Tanto la vitaaaa!
»

L’ultima nota gli si strozzò in gola e la cicala morì.

Stakanova era smarrita, confusa non sapeva cosa fare. Non aveva mai provato un dolore del genere, si dimenticò perfino delle due metà del chicco, che giacevano ancora lì dove le aveva lasciate la sera prima.

Alla formica nessuno aveva mai cantato una ninna nanna, nemmeno quando era una larva. Come sarebbe sopravvissuta adesso, conoscendo la bellezza di un canto solo suo, dedicato a lei, per cullarla nel sonno e rappacificarla col mondo? È davvero facile disprezzare ciò che non si conosce ma adesso, dopo aver vissuto quella magia, come avrebbe potuto più farne a meno?

Stakanova si chinò sul corpo di Jonny, lo abbracciò e gli dette un bacino sugli occhioni neri, poi coprì il suo corpo con due foglie di frassino e si mise in marcia.

Quella mattina, chiunque incontrasse Stakanova la formica, si stupiva nel vederla camminare tanto lentamente e con le antenne basse e, soprattutto, tornare senza provviste. Ma Stakanova tornò veramente al formicaio? Alcuni giurano d’averla vista andare in direzione opposta, altri di averla vista salire sull’albero dove di solito cantava una cicala di nome Jonny.

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