La Covid-19 e il ciuccio del Vescovo

by Enrico Ciccarelli

Gli annunci più o meno farlocchi e le bozze più o meno attendibili del nuovo Dpcm mi indurrebbero a usare termini molto pepati nei confronti del triste caravanserraglio di personaggi volta a volta squallidi, vergognosi o criminali che occupano posizioni e ruoli istituzionali a diversi livelli: dal Premier Cicisbeo a Paola La Pazza, titolare del Dicastero ai Trasporti, fino al ministro delle Onoranze Funebri Speranza (nomen disomen) e a quello degli Affari Estranei Giggino.

Né minore è il mio abominio per personalità palesemente devianti come Vicienzo ‘o sceriffo, Michelone il Camaleonte e Sua Cognatanza Fontana. Ma mi frenano due considerazioni: la prima è che, pur essendo plateale la loro totale incapacità e nequizia, mandarli dove meritano non migliorerebbe granché la situazione, visto il desolante panorama dell’altra metà dell’Emiciclo; né la performance del nostro sistema-Paese ha particolari requisiti di imbecillità, considerato lo stato in cui versa l’intero Occidente. La seconda è che questa banda di cialtroni (certo, con le debite eccezioni, perché qualche essere senziente lo si trova persino lì) non è appena sbarcata dal pianeta Papalla, ma è quella che abbiamo voluto, scelto, selezionato con cura: la lunga ricerca del peggio da parte dell’elettorato Italiano (meridionale in ispecie) ha brillantemente raggiunto il suo obiettivo. Ora non rimane che scavare.

Nel merito, a parte l’irritante costanza con cui la Congrega Fallitis si autoelogia, (particolarmente oscena alla luce del fatto che dovremmo essere tuttora nella top ten, se non addirittura in zona Europa League, per morti di Covid in rapporto alla popolazione) si deve registrare la pertinacia con cui si spacciano falsità patenti, come ad esempio la bufala sull’estate. Perché –tenetevi forte per non rimanere schiantati dalla notizia- tutte le balle sull’estate godereccia e incosciente, ricalcate pari pari sulla pessima favola della cicala e della formica, sono palesemente ridicole, essendo il tempo di incubazione del virus non superiore a quindici giorni. Il fatto che il trend sia ricominciato a salire in modo accelerato a metà ottobre certifica che il problema non è stato quanto avvenuto sotto gli ombrelloni, ma sugli autobus, le metropolitane e gli altri veicoli del trasporto pubblico locale: certo, avranno avuto un loro marginale peso anche i tuffi a cofaniello dai pontili, la consultazione referendaria, la movida, il negazionismo menefreghista e la parziale ripresa dei pomiciamenti e dell’attività sessuale in generale; ma il nocciolo è stato lì, nel riportare a pieno regime una mobilità di decine di milioni di persone senza che nessuno, da quel losco figuro di Arcuri (giudizio basato esclusivamente sulla fisiognomica; magari è l’onestà quintessenziale, ma io non comprerei da lui nemmeno un triciclo usato) ai vari scienziati delle task force abbia pensato che il raddoppio delle corse e dei veicoli fosse il minimo sindacale.

E tuttavia le responsabilità della politica, a livello planetario, sono nulla rispetto a quelle della scienza, incapace di predicare e proclamare altro che il lockdown. Magari non c’era bisogno di premi Nobel per farci dire che il modo migliore per non prendere una malattia contagiosa è stare tappati in casa e non vedere nessuno. Peccato che questo sia il rimedio del ciuccio del Vescovo. Non so se conoscete la storiella del Vescovo che aveva un ciuccio da lui addestrato a non mangiare. Solo che, appena l’animale ebbe completato il suo addestramento morì, e il Vescovo non si capacitava della sua sfortuna.

In attesa che un qualche Comitato Tecnico Scientifico o qualche carrozzone più vasto come l’Oms ci riveli che –essendo il cibo la prima causa di morte al mondo- va prescritto il digiuno generalizzato e permanente, la grave colpa degli scienziati non sta in quel che hanno detto (benché ne abbiano dette davvero tante), ma in quel che non hanno detto: nel non spiegare che l’onnipotenza loro attribuita da una parte dell’opinione pubblica (e in qualche caso favorita dagli scienziati stessi) era una leggenda metropolitana, che di fronte alla pandemia (tutt’altro che imprevedibile, tutt’altro che imprevista) non avevamo ricette magiche e che essa avrebbe probabilmente determinato situazioni che il nostro livello di organizzazione sociale avrebbe ritenuto inaccettabili.

Perché la prospera società occidentale del 2020 non è disposta ad accettare la realtà di una malattia che ha fatto ad oggi un cinquantesimo (ma forse la proporzione è ancora superiore) della pandemia di cent’anni fa. Perché dovevamo far finta che la Medicina fosse una scienza, anziché –come è- una tecnica di elevatissima attendibilità ed efficacia, ma con forti lacune dal punto di vista del suo ubi consistam, che i nostri scintillanti laboratori, la nostra sterminata farmacopea, la nostra igiene pubblica e privata avrebbero in poco tempo fatto polpette di qualsiasi aggressore (ricordate il povero virus dell’Ebola, stroncato appena affacciatosi in Occidente dopo avere fatto sfracelli in Africa?).

Divisi fra adoratori dello scientismo e sgangherati negazionisti, abbiamo subito la vendetta che attende tutti i fanatismi: la perdita della laicità, di quella epoché, quella sospensione del giudizio che sola permette di aver conto e ragione della realtà, di ricostruirne il senso e la trama. Mancano i “non sappiamo”, e mancano i “non possiamo”. Sono stati sostituiti dai “non potete”, dalla tragica finzione che ci sia una strada nel mare, un riparo nel deserto, un’isola nella burrasca. E dietro l’ipocrita menzogna dei sapienti arriva implacabile l’acuminata e tetragona volontà dei potenti. Ma di questo al prossimo articolo.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.