La mafia assistenziale

by Enrico Ciccarelli

Parteciperò, venerdì prossimo, alla manifestazione organizzata da Libera contro la mafia foggiana. Lo farò nelle consapevolezza della doverosità dell’atto e della sua possibile e probabile inutilità. Con lo stesso spirito ho accettato l’invito di far parte di un gruppo facebook sul tema, che se capisco bene postula uno spazientirsi della società civile, una scesa in campo diretta della cittadinanza per reagire e ribellarsi a una serie di cose dalla mafia al vandalismo, dalla mancanza di senso civico ai parcheggi in doppia fila ai rifiuti abbandonati.

Naturalmente si tratta di obiettivi commendevoli, di nobili cause che non vanno consegnate alla fastidiosa sensazione che battersi perché Foggia sia come Zurigo suoni un tantino velleitario. La Pixar ha insegnato, in “Turbo”, che “non esiste un sogno troppo grande o un sognatore troppo piccolo”.

Resta però forte l’idea che in questo modo, bandendo la crociata contro i parcheggiatori abusivi o invocando l’esercito, il coprifuoco e la scorta armata per ogni singolo cittadino non solo non si risolva il problema, ma si abdichi al primo dovere di ogni mobilitazione democratica: avere chiara la posta in gioco.

La pia illusione è nota: Foggia è una città fondamentalmente sana, abitata in larga maggioranza da persone perbene, nella quale alcune decine o centinaia di balordi compiono bravate e crimini di varia pericolosità. Non scuote questa convinzione tetragona il fatto che i ripetuti arresti dei soliti sospetti sembrino non scalfire in alcun modo la potenza e la prepotenza dei clan.

Come mai? Basta leggere. Leggere i libri di Piernicola Silvis, ad esempio, che da scrittore di antica esperienza poliziesca, ha tracciato nei suoi romanzi il profilo autentico della Società, quarta mafia solo in ordine di apparizione; un profilo certamente feroce, ma sorprendentemente esteso e raffinato.

E se proprio non si vogliono leggere narrative, pur così evidentemente realistiche, si leggano almeno le intercettazioni delle inchieste (su tutte “Decima Azione”). In esse apprenderemmo che un signore accusato di aver messo su un giro di squillo e case d’appuntamenti, è stato richiesto in carcere di una consistente somma di denaro come tangente e ammenda per violazione del monopolio. Si tratti di stupefacenti, gioco d’azzardo o prostituzione, la mafia foggiana non gradisce l’iniziativa privata o gli improvvisatori d’occasione.

Già questo ci dice qualcosa sull’approccio, sulla forte identità, sulla consapevolezza di quello che un tempo era un confuso raggruppamento di guappi. Ce lo dice ancora meglio la tentata estorsione al manager della sanità privata che si sentì rappresentare la necessità di alcune assunzioni “per stare tranquillo”. Alla fondatissima obiezione secondo la quale le assunzioni non potevano essere arbitrarie, ma subordinate al possesso di certi requisiti, gli uomini dei clan non fecero una piega, limitandosi a dire “tu dicci i requisiti, e noi ti troviamo le persone adatte”.

Non so se si comprende la portata di questo. I clan non avevano alcuni “amici degli amici” cui procurare un lavoro e un reddito. Si preoccupavano di gestire una disponibilità artificiale dell’azienda (artificiale perché imposta) assumendo il ruolo di designatori. Significa che la mafia foggiana, secondo un itinerario già intrapreso da Cosa Nostra, dalla camorra e dalla ‘ndrangheta, è divenuta assistenziale. Soccorre le famiglie dei detenuti e gestisce opportunità di lavoro per affiliati e non.

Pensate davvero che questo tipo di mafia possa essere affrontato con strumenti militari? Pensate davvero che al tizio che ha l’opportunità di guadagnare e lavorare importi molto se questa occasione è stata prodotta dal clan mafioso anziché dalla raccomandazione del politico o dal network parentale che gli permette di accedere a chi decide?

Si aggiungano i terribili e amari paradossi come quelli dei lavoratori di aziende colpite da interdittive antimafia: doverose, si intende, e certo non emesse a cuor leggero, ma che intanto comportano la perdita –almeno temporanea- dei mezzi di sussistenza di persone innocenti. Se la sfida vede come protagonisti una mafia che dà o tenta di dare lavoro e uno Stato che lo toglie, vincerla diventa piuttosto problematico. Tanto più se nei confronti dei poteri pubblici non repressivi e della politica divampa con ancor maggiore intensità una strategia di delegittimazione che non conosce requie.

È bene dircelo con franchezza: la battaglia contro la mafia foggiana non è solo contro le bombe e le sparatorie. È contro un’egemonia di carattere culturale, che sta acquisendo caratteristiche antropologiche. Non la si combatte con le stucchevoli categorie della “legalità”, specialmente nella sua accezione feticistica. È battaglia interamente e pienamente politica, che con le armi e gli strumenti della politica dovrà essere combattuta.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.