La memoria come rete di legami, nasce il Presidio di Libera a Foggia

by Daniela Scopece
presidio di Libera

Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,
per ch’io al cominciar ne lagrimai
.

Inf. III, vv. 21-24

La sensazione uditiva, data dalla progressione ascendente, fa tutt’uno con la percezione visiva nella descrizione del nuovo mondo, a cui il Dante viator si affaccia bisognoso di conforto mentre l’auctor colloca coloro che il suo maestro riferisce “visser sanza ‘nfamia e sanza lodo” e di cui “fama il mondo non lassa”. Il tema del ricordo appare lapidario in questo verso. “Angeli che non furon ribelli né fur fedeli a Dio” si uniscono a quelle anime che né il cielo né il profondo Inferno vogliono. Di loro non resta memoria: “non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.

Presso l’Aula Magna del Dipartimento di Studi Umanistici di Foggia si è svolto il seminario “La memoria come rete di legami“, in occasione della “giornata cittadina della legalità in ricordo di Francesco Marcone e di tutte le vittime di Capitanata“. Il 31 marzo di 24 anni fa, alle 19.10 il direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia veniva freddato nel portone di casa sua da due colpi di pistola sparatigli alle spalle: ad oggi, non c’è ancora verità. E, senza verità – come si legge sulla stele a lui dedicata in piazza Legalità, alle spalle dell’Agenzia delle Entrate di Foggia e come ricorda anche oggi don Ciotti- non può esservi giustizia.

L’incontro si inscrive in un ciclo di appuntamenti, concertati dall’adi (Associazione dottorandi e dottori di Ricerca in Italia) con Libera su “MIGRAZIONI, IDENTITA’ E MEMORIA”, a cui hanno partecipato, numerosi, gli studenti di diversi ordini e gradi di scuole oltre che universitari. A loro si rivolge, in apertura, il Rettore dell’Università di Foggia prof Maurizio Ricci, il quale sottolinea la necessità di lottare insieme per costruire una cultura della legalità perché “non può esserci legalità senza cultura e – aggiunge – senza lavoro”. È necessario allora, come invita Papa Francesco, “superare la globalizzazione dell’indifferenza e l’anestesia del cuore e delle coscienze” per accogliere le possibilità del cambiamento. Travalicare angusti muri significa – come ribadisce in seguito la prof Isabella Loiodice – “non soggiacere a logiche di prevaricazione che vogliono mettere a tacere le nostre coscienze”, ricordando – alla presenza dei figli Paolo e Daniela – quanto la denuncia di un giro di malaffare e di corruzione fosse stata pagata con la vita di chi il proprio lavoro lo svolgeva con dedizione ed onestà. Sono proprio il suo senso del dovere, la sua fedeltà allo Stato, il suo profondo rigore morale che hanno ispirato le discussioni del partecipanti al Presidio che ieri pomeriggio si è costituito presso l’Aula Magna del Dipartimento di Giurisprudenza. La scelta dell’intitolazione all’Ambrosoli del Sud, come spesso è stato definito, a cui è stato affiancato il nome di Nicola Ciuffreda è stata oggetto di meditazioni profonde. Marcone, come si legge nel documento “è diventato simbolo dell’impegno che ciascuno di noi si trova a vivere. Il suo senso di giustizia e la sua intransigenza morale non sono morti con lui: continuano a vivere nell’impegno di Libera e di chi quotidianamente lotta contro le mafie”. L’impegno, il nostro, ha la dolcezza dei versi soavi ed eterni del “sacro vate” che

placando quelle afflitte alme col canto,

i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il gran padre Oceáno.
E tu onore di pianti, Ettore, avrai
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.

Dei Sepolcri, vv. 289 – 295

Certo non ci sono vincitori nè vinti, ma nuove consapevolezze: innanzitutto quella di una memoria viva, che significa – nelle parole di Paolo Marcone alla proposta di intitolazione del Presidio – “trasformare il dolore in impegno, tramutare la storia in presente ed azione. La memoria deve essere al contempo individuale e collettiva e la società deve farsene carico: deve ricordare, narrare, raccogliere i pezzi e fare rete per ricostruire”. Già Daniela, nel corso della mattinata, aveva voluto focalizzare l’attenzione sull’importanza della memoria collettiva ricordando prima la funzione ed il contributo del Comitato Marcone, poi la sua prima partecipazione alla “primavera” di Libera a Roma il 21 marzo del 1996. L’importanza della conoscenza – come ha poi ribadito don Ciotti – quale preludio necessario alla consapevolezza significa superare l’appiattimento delle storie delle vittime in un processo di colpevolizzazione, che sposa la cultura mafiosa; si traduce altresì in una competenza narrativa attraverso la quale raccontare le nostre mafie con un approccio scientifico e non approssimato. Il ricordo quest’anno rivive nei 1011 nomi dell’elenco di Padova, in cui confluiscono i 16 migranti vittime del diffuso fenomeno del Caporalato morti sulle nostre strade, perché “la memoria va costruita da subito”.

“Bisogna andare incontro al nostro futuro, senza rimanere arroccati nelle nostre paure, per accoglierlo oggi con coraggio” – continua Don Ciotti che, appassionato, affida agli studenti il monito della Costituzione italiana, primo testo anti-mafia che custodisce le regole dell’essere cittadino, invitandoli ad assumersi ognuno la propria parte di responsabilità. Innanzitutto facendosi promotori di una memoria viva che si traduca in impegno per la ricerca di Verità e, dunque, di Giustizia contro ogni retorica. Non cittadini ad intermittenza, ma impegno alla partecipazione consapevole non affidata all’impeto di emozioni volatili ma a sentimenti profondi. La Costituzione è chiamata a diventare costume e cultura perché “la legalità, prima che nei codici, sia scritta nelle nostre coscienze e nei nostri comportamenti”.

Fuori legge sono le disuguaglianze e le povertà di una democrazia vuota, prima di tutto quella culturale, a cui la Scuola e l’Università sono per vocazione chiamate. Il cambiamento è possibile solo attraverso l’educazione alla corresponsabilità, che bandisce il monologo dell’Io a favore dell’alfabeto del Noi: la legalità non è il fine, ma il mezzo per assicurare Giustizia, intesa come valore collettivo e bene comune. “Le leggi devono tutelare i diritti, non il potere”: è necessaria una nuova sintesi tra etica e politica, nella ricerca di ciò che ci rende più veri, più umani e più integri nei nostri comportamenti. E l’etica, in quanto tale, deve coesistere con l’estetica in quel sinolo aristotelico che fa della forma la sostanza e si traduce nell’armonia e nella bellezza delle relazioni umane e della giustizia sociale. Lontani dalla visione di una natura matrigna di leopardiana memoria, insieme siamo chiamati ad una conversione ecologica che ascolti “il grido della Terra” e tuteli, insieme ai diritti umani, i diritti della natura in un disegno comune.

La nascita del Presidio di Foggia – sottolinea Daniela Marcone – “è un dono di impegno e d’amore” che sancisce un confine, una scelta consapevole. “Noi abbiamo deciso da che parte stare” è una dichiarazione programmatica che si salda con la volontà dell’intitolazione. Accanto al nome di un funzionario dello Stato, quello di Nicola Ciuffreda, primo imprenditore edile a dire no al ricatto della Società foggiana e, per questo, ucciso il 14 settembre 1990, all’età di 53 anni nel suo cantiere. È la prima vittima innocente di mafia della nostra città che, con la sua vita, ha difeso la possibilità di fare imprenditoria a Foggia come uomini e donne liberi. Nelle parole accorate e commosse del figlio Roberto che cita Pascoli nell’incipit del suo discorso di ringraziamento (“Il dolore è ancora più dolore se tace”) si evince tutta la solitudine profonda a cui la famiglia per troppo tempo è stata destinata e l’importanza, dunque, della memoria di tutte le vittime, spesso oggetto di rimozione da parte dell’opinione pubblica. La foto che i figli di Nicola ci hanno consegnato gli ha finalmente dato un volto anche per noi, perché oggi possa essere ricordato insieme alle altre vittime della nostra terra, Giovanni Panunzio e Matteo Di Candia.

A chiudere l’incontro, la referente del neonato Presidio, Federica Bianchi che, insieme ai componenti del gruppo, accoglie con entusiasmo ed emozione l’importante traguardo raggiunto, punto di partenza per un nuovo cammino di speranza, insieme, verso il cambiamento.

La speranza o è di tutti o non è speranza”: così le parole di  don Luigi Ciotti risuonano incisive nelle nostre coscienze ed indicano nuovi orizzonti possibili.

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