L’ultima sigaretta si spegne
alla luce intermittente
di un lampione
mentre camminiamo tenendoci
per mano
con la cura e il timore
dello scalatore per la roccia,
che ad ogni passo
si avvinghia alla presa
come stringersi alla vita.
Mi saluti davanti al portone
chiedendomi se mi sono annoiato:
ti guardo negli occhi,
vorrei darti un bacio
e invece ti abbraccio
e torno a casa,
stringendo i pugni in tasca
per conservare il tuo calore.
Passo dopo passo
abbandono il tuo respiro
con l’ansia del bambino
a cui rubano il pallone,
e salgo le scale
volando sui gradini
con l’unico pensiero
d’incontrarti domani.
Osservo la porta di casa
come si fissa un muro
di frontiera
cui tocca il destino verticale
di dividere il tempo
in un prima e in un dopo,
di scindere lo spazio pieno
da quello vuoto,
poi d’improvviso la apro
e resto fermo sull’uscio
con la stessa suggestione
di chi al risveglio
teme di dimenticare
un sogno
e nell’attimo sospeso
tra il buio e la veglia
cerca una penna
per fermare il tempo.
Una brezza leggera
solleva la tenda
e sembra che il vento
ricopra la stanza
del tuo odore,
allora respiro, lentamente,
con la nostalgia di un soldato
al fronte,
mentre il cuore rimbomba
e annulla le distanze,
perché tutto ciò che serve
è racchiuso in un soffio.