L’educazione civica a scuola, scorciatoia o necessità?

by Davide Leccese

Molti auspicano la reintroduzione dell’Educazione Civica nelle scuole, o come caspita la volete chiamare – magari con spiegazione, interrogazione e voti – dopo aver constatato che violenza, bullismo, maleducazione, impertinenza, volgarità, non rispetto della “cosa” pubblica o comune la fanno da padroni non solo tra le mura scolastiche ma negli spazi sociali in genere.

La domanda è: Ne facciamo una materia, istituzionalmente intesa – come sopra è stato detto – con spiegazione, interrogazioni e voto? Niente di più sbagliato! Vogliamo riproporre, con un impianto interdisciplinare, la riflessione su diritti e doveri del cittadino-giovane, con ricomprensione delle regole di cui la società si fa carico e che pone come carico del vissuto quotidiano di ogni appartenente alla comunità in cui si vive? D’accordo.

Come al solito, però, le ventate generaliste non passano mai di moda e con il togli e metti si ritiene di essere accorti alle esigenze emergenti di questa scombinata vita delle nostre città.

A parte la considerazione che, sempre come al solito, quando non si trova la risposta opportuna a problemi incombenti, il fare riferimento all’istruzione scolastica sembra la scorciatoia declamatoria vecchia e abusata di certe decisioni governative. Educazione sessuale, educazione ambientale, educazione alimentare, educazione stradale, educazione sanitaria; e chi più ne ha, più ne metta. E mentre la scuola decide di fare quel che si chiede, i mass media e certo modo di esser famiglia o branco giocano a sconquassare le regole del gioco, in un’altalena di valori e disvalori da schizzati.

Che capacità di mutamento di stili di vita – sul versante almeno di una civile apparenza – ha una scuola quando i giovani escono da casa (nel silenzio, nell’impossibilità o incapacità di reagire, nell’indifferenza dei genitori) con i pantaloni bucati, le pance scoperte, i piercing sulla lingua, secondo le mode imposte dai continui e astutamente rinnovati “modelli” televisivi?

La scuola ha le sue colpe o i suoi limiti: prevalentemente disciplinarista, continua a insegnare una materia senza l’altra – se non contro l’altra – incollata allo svolgimento dei programmi, all’interrogazione e alle prove scritte e a dar sfogo alla fantasia progettuale di certi P.O.F. (ora anche P.O.N.) che spesso sono del tutto lontani dalla programmazione disciplinare e dall’integrazione dei saperi, delle conoscenze e delle competenze.

La frammentazione della persona-alunno è la più eclatante testimonianza di quanta estraneità è vissuta dai giovani rispetto agli insegnamenti istituzionali, anche quando questi dicono di voler aggredire questioni di fondo della vita sociale e della formazione di personalità.

I giovani hanno la percezione – spesso con senso di fastidio – di essere sotto la lente d’ingrandimento di un’analisi colpevolista mentre si ha una vista approssimativa sulle responsabilità degli adulti di riferimento, pronti a puntare il dito sui comportamenti giovanili e altrettanto pronti a nascondere sia le loro malefatte che le loro debolezze di modello. Oppure trovano sulla loro strada alcuni patetici giovanilisti (docenti e genitori) che, pur di accaparrarsi il consenso facile, dichiarano di voler essere “amici” dei ragazzi, ben sapendo che i ragazzi devono incrociare amicizia tra i coetanei e non tra gli adulti truccatori di sentimenti.

Questi giovani – secondo le statistiche ufficiali – sembrano che non sappiano più scrivere e far di conto, sostenere una passabile discussione; invece, lasciati alla libera espressione non cogente del “rendere scolastico”, manifestano una capacità, una consistenza creativa e strumentale da far rabbrividire gli adulti. Significa, alla fin fine (a meno che non ci ostiniamo a credere che vogliano apparire incapaci per ripicca, davanti a noi) che non sappiamo saldare dovere e piacere, obbligo di apprendere con voglia di imparare, curiosità loro con ripetitività nostra. Significa che non fanno presa i nostri discorsi fatti “per specie” (i giovani) ma non rivolti a persone, ognuna con la sua storia, in parte già scritta e molto da scrivere.

Che sia esplicitato – lo dico ai “colpevolisti di professione” che la gran parte dei giovani sono ragazzi perbene, belle presenze in una società che non alimenta la responsabilità individuale e collettiva, passa sopra alle colpe quando toccano i propri figli (“Sono ragazzi!”)

Se proprio si avverte la necessità di reimpostare il rapporto formativo della scuola si deve, a chiare lettere, rompere con i rigidi schemi disciplinari – sclerotici alla partenza e all’arrivo dello svolgimento dei programmi – e aprire varchi coraggiosi per l’ingresso di questioni trattate interdisciplinarmente, con il coinvolgimento programmato e studiato di più docenti con più competenze professionali e culturali. Significa aprire l’aula ai dibattiti, al dialogo, alla testimonianza del bene contro l’arroganza del male.

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