Nedo Fiano nel ricordo di suo figlio Lele con “Il profumo di mio padre”. La Shoah ha lasciato un’impronta “genetica”

by redazione

Quando ascoltiamo la storia della Shoah, il pensiero corre alle crudeltà dei carnefici, ai protagonisti di azioni eroiche, che hanno rischiato la propria vita per salvarne altre – passati alla storia come i “giusti tra le nazioni” – ai sopravvissuti, che ancora oggi tengono viva la memoria delle brutalità viste e vissute sulla propria pelle.

Nessuno pensa a chi è venuto dopo, ai figli dei sopravvissuti, ai familiari, ai parenti, agli amici, altrettanto preziosi, in quanto custodi di confidenze, racconti, ricordi, testimoni indiretti che hanno condiviso emozioni e sofferenze, conservando questo ricco patrimonio nelle profondità del loro cuore.

È questa la chiave di lettura che l’On. Emanuele Fiano ha voluto offrire al lettore nel suo nuovo libro “Il profumo di mio padre”, in cui parla del rapporto con suo padre, sopravvissuto alla Shoah e della sua infanzia e adolescenza nella Milano della seconda metà del ‘900.

La Shoah ha lasciato un’impronta “genetica”, un marchio nell’anima, anche nei discendenti delle vittime di violenza, anche se non l’hanno vissuta in prima persona.

Essere cresciuto con la consapevolezza di cosa sia stata la brutalità nazi-fascista contro gli ebrei se, da un lato, ha provocato sofferenza e dolore in tutta la famiglia Fiano, dall’altro, ha portato il giovane Emanuele a sviluppare una sensibilità fuori dal comune.

L’inizio del suo attivismo politico sembra affievolire questa sensibilità, facendola sfociare in sentimenti di rancore nei confronti dell’Italia a causa dell’indifferenza rispetto a quanto accaduto pochi decenni prima (non era ancora stata istituita la giornata della memoria), eventi di cui, in quel momento storico, si era ancora restii a parlare.

La sua memoria emotiva ancora oggi lo riporta alla rabbia provata la prima volta che varcò la soglia dell’aula consiliare, dopo l’elezione a consigliere del Comune di Milano con il PDS.

Nel tempo però, proprio grazie alla militanza politica, l’on. Fiano è riuscito a superare quel sentimento negativo, nella dimensione collettiva dell’azione politica ha trovato una terapia per curare il suo dolore individuale, nell’aver cura degli altri ha trovato la medicina per le proprie ferite.

Il numero assegnato a Nedo Fiano dai torturatori nazisti

Nel libro viene raccontata una storia molto italiana, di cittadini italiani.

Il nonno dell’on. Fiano, morto ad Auschwitz, era un militare italiano durante la Prima Guerra Mondiale. Tornato a Firenze al termine della guerra, nel 1918 trovò uno scenario sconfortante, provò una profonda delusione per aver combattuto invano e, sentendosi frustrato, abbracciò ideologie di destra, diventò fascista, militante del partito, convinto della sua scelta al punto da coinvolgere anche il figlio Nedo Fiano, che diventò un giovane balilla.

Con l’approvazione delle leggi razziali però venne licenziato e il figlio Nedo espulso dalla scuola. Nel giro di poco tempo tutta la famiglia venne allontanata dai circoli, non poteva entrare nei negozi in cui abitualmente faceva acquisti, non poteva avere una radio, un telefono.

Tutti si sentirono come estromessi dal mondo di cui erano parte fino a poco tempo prima.

Questo fu l’inizio di una parabola che, partendo dall’amore per Mussolini si concluse con la deportazione degli ebrei italiani e la distruzione della famiglia quando, nel 1943, l’Italia venne occupata dai nazisti.

Il libro “Il profumo di mio padre” non narra solo le atrocità che gli uomini sono capaci di mettere in atto contro altri uomini, ma descrive la storia di una famiglia, di come è cambiata e in che modo.

Una famiglia che aveva raggiunto stabilità economica, sociale e politica, che ha visto spazzare via ogni certezza da un momento all’altro, per poi intraprendere l’ardua impresa della ricostruzione.

Una ricostruzione non solo materiale ed economica, ma soprattutto interiore, morale.

Questo racconto mi ha fatto riflettere sul senso e sul significato della dignità umana, sulle conseguenze della sua violazione e sugli effetti prodotti.

Penso che nessuno abbia il diritto di degradare la dignità umana, così come nessun uomo dovrebbe essere costretto a intraprendere il lungo e doloroso percorso di ricostruzione di una identità e di una dignità che gli spettano di diritto, in quanto incisi nel diritto naturale e, dunque, inviolabili.

Gabriele Cela

(segretario cittadino dei Giovani Democratici Foggia)

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