Perché bisogna parlare di Bibbiano

by Enrico Ciccarelli

Non è per uno stupido orgoglio da “io l’avevo detto!” che penso sia necessario parlare di Bibbiano. A mio parere (come ho scritto il 30 giugno) non occorreva una particolare genialità per esprimere fin dall’inizio dell’inchiesta, con relativa retata, più di una perplessità sul contenuto e sulle modalità surreali dell’indagine.

In realtà il massacro mediatico della Val d’Enza è un utile precipitato di diverse pestilenze del tempo attuale, e vale la pena di parlarne ben al di là della speculazione politica che hanno tentato di imbastirvi le destre populiste, Movimento Cinquestelle compreso.

Intanto perché ha rappresentato un monumento all’irriflessività, molto frequente quando si parla di bambini. Persone che non ne sapevano un beneamato e avevano capito molto poco del nulla che sapevano si sono scatenate in un profluvio di richieste di giustizia sommaria, a dimostrazione che appena si addita una strega si innesca una vasta platea di portatori di torce.

I bambini mangiati dai comunisti del buon tempo antico sono repentinamente divenuti i bambini strappati alle famiglie, sempre con le stesse ragioni di ascendenza bolscevica. La famiglia (tradizionale, of course) è stata brandita come arma impropria rispetto a chi, come Francesca Archibugi, rivendicava il dovere di intervento della mano pubblica non solo come sostegno, ma anche come vigilanza.

In questo parossismo è svanita l’unica cosa seria su cui si sarebbe dovuto riflettere, che è la disputa, antica e inesausta, sul rovesciamento del paradigma garantista. Mi spiego: la cultura liberale e democratica si fonda sul principio che è meglio che cento colpevoli la facciano franca piuttosto che un solo innocente sia condannato ingiustamente. Principio che non è molto caro agli ossessi di Bibbiano, ma è invece sacrosanto per tutti gli altri (spero).

Vale anche quando si parla di bambini abusati? Certo, avremo casi evidenti di abuso e altri parimenti evidenti di non-abuso. In mezzo al bianco e al nero, avremo una serie di zone grige, situazioni borderline di forse-abuso. Se applichiamo un atteggiamento rigorista e tendenzialmente colpevolista corriamo il rischio di uno o più “falsi positivi”, cioè interverremo in modo obiettivamente traumatico in situazioni nelle quali lo si potrebbe evitare. Se assumiamo l’atteggiamento opposto, correremo il rischio di uno o più “falsi negativi”, cioè di bambini abusati lasciati alla mercé di situazioni di abuso.

Non invidio chi si trovi a dover risolvere un dilemma del genere, e non credo che novelle legislative e procedure giurisdizionali possano risolverlo. Chiedendo scusa per il paragone, è come credere che regolamenti minuziosi e dettagliati, Var e tecnologie assortite possano sollevare un arbitro di calcio dalla responsabilità di fischiare un rigore o meno. Aiutano, naturalmente; ma non risolvono.

Non voler vedere questo tema cruciale ha indotto la Procura di Reggio Emilia a una mostrificazione dalle caratteristiche grottesche: perché se non contemplo la possibilità che le persone coinvolte abbiano sbagliato in buona fede sulla base di un proprio convincimento, devo per forza metterci la Spectre, il complotto organizzato, la sordida attesa di profitti illeciti.

Di qui i folli mandati d’arresto per il sindaco Carletti, per lo psicoterapeuta Foti e diversi altri; di qui l’idea della carcerazione (domiciliare o meno) come strumento di tortura per estorcere “confessioni”, proprio come al tempo della Colonna Infame. Penso al caso dell’assistente sociale arrestata e sospesa dal lavoro e dallo stipendio e immediatamente reintegrata appena si è decisa ad accusare la sua superiore. La velocità con cui la poverina passa da assistente sociale irreprensibile a mostro abietto per poi ridiventare irreprensibile sarebbe comica, non fosse tragica.

Terrori ancestrali dell’opinione pubblica più politica da sottoscala più delirio manettaro della giurisdizione. Serve altro? Sì. In tempi di marketing e di linguaggi dominati dall’iperbole pubblicitaria, serve il contorno grandguignolesco: ecco allora gli “elettroshock” praticati ai bambini (in realtà impulsi elettromagnetici –non “scosse elettriche”- dei dispositivi Neurotek ampiamente utilizzati nei percorsi psicoterapeutici), ecco la coppia affidataria “titolare di un pornoshop”, anziché, come è, di un negozio di biancheria intima, ecco le inesistenti “restituzioni alle famiglie” determinate dall’inchiesta.

Mi soffermo in particolare su una di queste quattro (quattro: tutti i numeri di Bibbiano sono assai più piccoli di quelli instillati a forza nell’immaginario collettivo) “restituzioni”. Un bambino in affido tornato a casa sua. Era stato allontanato perché il padre, persona con problemi di alcolismo, ha picchiato la moglie davanti a lui, di cinque anni.

È tornato a casa perché il padre ha intrapreso con successo un percorso di riabilitazione: è a questo che servono i servizi sociali, l’affido e tutte le tutele previste in favore dei minori; a ricostruire, non a stigmatizzare; ad aiutare, non a condannare. Ma è molto più comodo fabbricare mostri.

Giornali e media sono i principali responsabili dello sconcio perpetrato su Bibbiano: perché hanno da un lato rafforzato credenze e superstizioni esistenti in natura nell’opinione pubblica. Dall’altro hanno lanciato l’hallalì della caccia alla volpe per una politica drammaticamente priva di senso di responsabilità e di decoro.

C’è grande necessità di parlare di Bibbiano, perché c’è grande necessità di parlare di noi stessi: delle nostre paure, dei nostri limiti, della tendenza di molti alla lapidazione inconsulta e di quella di troppi alla vigliaccheria verso le orde del fanatismo e dell’ignoranza. Rispetto alle quali i giornali, “la preghiera laica dell’uomo moderno” di cui parla Hegel, dovrebbero essere l’antidoto, non gli untori e i complici.

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