Relazioni e solitudine, sopravvivere al tempo del Covid-19 con le app d’incontri

by Marianna Dell'Aquila

Mesi fa in piena pandemia, mi è capitato di leggere su internet una lettera intitolata “Ma a noi chi ci pensa?”. Trentanove anni, single, lavoratrice precaria, l’autrice della lettera domandava alle istituzioni e alla società in generale, con toni tra l’accorato e la rassegnazione: “Avete dato bonus e sostegni a tutti, ma a noi single chi ci pensa? Avete pensato alla nostra solitudine, a come cambieranno i nostri rapporti, ma soprattutto alle nostre occasioni mancate e che non torneranno più?”.

Eh già le occasioni, quelle per sentirsi parte integrante e fondamentale della società, per fare progetti, per migliorare la propria posizione lavorativa ed economica oppure per creare nuove relazioni, anche sentimentali. Occasioni che già normalmente sembrano diventare sempre più rare man mano che vai avanti con gli anni, figuriamoci ora con i limiti che ci sono. Tuttavia oggi, con dati alla mano, mi viene quasi da pensare che, nonostante tutto, la mia solitudine da lockdown (il cui andamento, lo ammetto, è andato di pari passo ai colori stabiliti dai vari DPCM), vissuto da donna over 40, single senza figli e da lavoratrice a Partita Iva, mi ha procurato meno danni relazionali di quanti ne abbia fatti a tanti altri.

I danni subiti dai limiti di spostamento e di socialità infatti sono stati decisamente inferiori rispetto a coloro che, almeno sulla carta, sembravano più avvantaggiati di me. Mi riferisco a quelli che durante la pandemia hanno avuto accanto un compagno o una compagna con cui condividere gli spazi, il tempo, l’ultimo panetto di lievito disponibile al supermercato, la serie televisiva di cui tutti parlano e magari qualche figlio da gestire. In effetti, se all’inizio della pandemia e con il primo lockdown in molti si aspettavano un’impennata di nuove gravidanze e di nuovi matrimoni (immaginando forse che un piccolo monolocale fosse come un talamo d’amore arredato con le cucine che si vedono nelle pubblicità dei biscotti), oggi invece, numeri alla mano, è chiaro che la vera impennata c’è stata tra le coppie scoppiate: nel 2020 si è registrato il 60 % in più di richieste di separazione rispetto al 2019, di cui il 40% causa da infedeltà, anche virtuali.

Torniamo però a chi e come è sopravvissuto alla solitudine al tempo del Covid. Mossa dalla mia immotivata e incontrollabile curiosità sui comportamenti umani e sociali – curiosità che normalmente cerco di soddisfare alimentandomi in modo quasi bulimico di libri e di gossip – ho incominciato ad osservare le situazioni delle persone intorno a me: amici, colleghi, amici di amici, conoscenti a vario titolo. Ho cercato di analizzare, in particolar modo, la capacità di alcuni di loro di fare nuove conoscenze in pieno Covid – zone rosse, arancioni e gialle permettendo – con una frequenza pari alla cadenza con cui io ricevo spam d’investimento sul Bitcoin. Lo dico subito: la mia indagine non ha portato a nessun risultato scientificamente inconfutabile e ad oggi una delle poche certezze che ho è di aver sottovalutato e ignorato per molto tempo un mondo parallelo, quello del dating online.

Incuriosita, ho incominciato a fare delle ricerche, ovviamente solo sul web visto che non potevo uscire di casa. Tra le prime cose che ho letto c’è un articolo del 2018 pubblicato sul Sole 24 ore con la firma di Silvia Pasqualotto. L’articolo riporta alcuni studi sul dating online condotti da vari istituti di ricerca internazionali. Tra questi, come la giornalista riferisce, appaiono particolarmente interessanti i risultati di uno studio universitario statunitense intitolato The strenght of absent ties: social integration via online dating in cui si evidenzia, sulla base dall’analisi dei dati prodotti in circa 20 anni nel settore degli incontri sul web, che un terzo delle relazioni sono nate online. Se gli statunitensi sembrano i più avvezzi a questo genere di attività, anche gli italiani si danno il loro bel da fare: secondo uno studio del Center for Economics and Business Research, infatti, i nostri connazionali nel 2018 risultavano tra i “dater” più attivi d’Europa.

Oggi, a un anno dallo scoppio della pandemia e svariati lockdown, com’è la situazione? Certo è che con bar e ristoranti chiusi, spostamenti limitati, paura dei controlli stradali e la psicosi dell’abbraccio, il nostro modo di avvicinarci e di relazionarci all’altro è cambiato e, visto che non possiamo più darci appuntamento nelle piazze reali, non ci resta che incontrarci in quelle virtuali. L’universo degli incontri online è veramente infinito: app e siti di ogni genere per ogni tipo di persone, il tutto basato su una vera e propria strategia di marketing fatta di target e posizionamento di mercato. Secondo uno studio di Magic Lab e Statistica, gli utenti globali degli incontri online sono passati da 235 milioni nel 2018 a 270 milioni nel marzo del 2020. In un articolo di Andrea Daniele Signorelli sul sito lastampa.it sono riportati alcuni dati molto interessanti: dall’inizio della pandemia i siti e le app di incontri hanno registrato un aumento tra il 10 e il 15% di utenti attivi. Prima della pandemia queste app servivano fondamentalmente da collegamento tra il mondo virtuale e il mondo reale. Cioè: ci conosciamo su internet, ma poi ci facciamo due chiacchiere davanti ad un bicchiere di vino. Dati alla mano però, come riporta Signorelli, il tempo medio di permanenza su queste piattaforme è aumentato di circa il 13% per singolo utente: questo significa che con il lockdown internet non è più solo una specie di terra di mezzo, ma è il luogo vero e proprio dove incontrarsi, avere più tempo per conoscersi e per incominciare a piacersi, magari pensando ad un rapporto duraturo. Dallo studio condotto da uno dei siti d’incontri più famosi al mondo, Meetic.it, su circa 7 mila utenti intervistati il 12% avrebbe dichiarato di aver avuto l’idea e l’interesse di intraprendere rapporti più profondi con persone conosciute online durante la quarantena, anche senza averle viste dal vivo e di aver maturato addirittura più aspettativa e voglia di un primo incontro speciale. Che dire? Evidentemente al cuore non si comanda, anche online.

Lo ammetto, ho incominciato a provare un profondo senso di frustrazione. Ho pensato che, se da un lato è vero che durante il lockdown i negozi di biancheria intima non sono mai stati chiusi in quanto slip e calzini sono considerati beni di prima necessità, dall’altro lato per me avrebbe avuto decisamente più senso possedere una stampante per le autocertificazioni. Infatti, gli appuntamenti più frequenti che mi sono capitati negli ultimi dodici mesi sono quelli su Zoom con amici e colleghi con una bottiglia di vino in mano (che poi ovviamente ho finito di bere nella solitudine del mio divano arrivando ad uno stadio di stordimento sufficiente per incominciare a pensare che tutto il mondo fosse crudele con me e che non merito neanche un gatto a fare le fusa). Ora invece scopro che anche in pieno lockdown mi sarebbe stata utile una mutanda contenitiva come quella che la mia adorata Bridget Jones indossava al primo appuntamento con Daniel. Difficile accettarlo per una come la sottoscritta figlia degli anni ’80 e ’90, che ha sempre creduto che l’uomo ideale fosse quello conosciuto sotto al palco di un concerto rock o che le eroine più esemplari fossero quelle che hanno nell’alcol il loro amante migliore, nei libri lo psicologo più bravo e nei viaggi la palestra più tonificante.

Torniamo però alle mie ricerche sul mondo del dating online che sono state spesso affiancate da conversazioni e testimonianze di amici e conoscenti grazie ai quali ho incominciato a capire diverse cose. Innanzitutto oggi essere iscritti ad un sito d’incontri è un po’ come stare sui classici social network, cioè ci stai come ci stanno praticamente tutti; poi, che non è un’esclusiva degli under 35 (come invece credevo fino a qualche mese fa), ma è sempre più utilizzato anche da chi ha superato gli “anta”. Mi è bastato questo per convincermi ad entrare in questo mondo fatto di profili, like e match (fosse mai che veramente incontro l’uomo della mia vita su internet?). Così ho creato il mio profilo su una di queste piattaforme (di cui non farò il nome) inserendo tre foto e qualche frase di presentazione. Poi ho lasciato che gli algoritmi svolgessero il loro compito, tenendo però sempre un pensiero rivolto alle mie eroine letterarie e cinematografiche con l’autoconvinzione che loro non avrebbero avuto nulla da rimproverarmi.

Gli annunci sui giornali in cui Susan (Madonna) veniva cercata disperatamente da qualcuno, in fondo, non erano la versione cartacea dei messaggi digitali di oggi? E Bridget (eh sì sempre lei!) non aveva un intenso scambio di email con il suo capo Daniel? Sono sicura che se avessero avuto degli smartphone avrebbero usato quelli per chattare e che Bridget, anziché sculettare in minigonna per i corridoi dell’ufficio, avrebbe tentato di conquistare il suo capo postando qualche selfie con filtro dimagrante in attesa del suo like. Ho qualche riserbo solo sulla nostra Vivian (Julia Roberts) di Pretty Woman perché nell’universo 2.0, ne sono sicura, l’incontro con un potenziale Edward, che nel film avviene in modo casuale sulla Hollywood Boulevard, accadrebbe su ben altro tipo di piattaforme e i discorsi iniziali su frizioni e cambi avrebbero sicuramente un altro significato.

Intanto gli algoritmi si sono messi a lavoro e la mia vita virtuale sul pianeta Date è incominciata. Non starò qui a raccontare nei dettagli le mie esperienze, ma ci sono delle cose che varrebbe la pena di condividere. Innanzitutto la prima sensazione che si ha è di sfogliare un album della Panini, solo che non ci sono le figurine dei giocatori, ma di uomini di ogni tipo ed età che l’algoritmo seleziona in base ai filtri inseriti al momento dell’iscrizione. Il problema è che ci metti un po’ a realizzare che anche tu fai parte di un album e che qualcuno ti dice “mi piaci” solo scorrendo un dito sullo schermo. Seconda questione: se nella vita reale si ha l’ansia da prestazione, in quella virtuale si ha l’ansia da match, cioè il timore di non piacere a qualcuno che ti sembra carino o al contrario di avere il like da chi non guarderesti neanche se gli andassi a sbattere contro in metropolitana. Avviare una conversazione in chat è quanto di più semplice e difficile allo stesso tempo perché, tolte le prime frasi di circostanza (“ciao, dove vivi?” e “cosa fai nella vita?”), è davvero complicato trovare qualche appiglio per proseguire. Molti sono più intrepidi e tagliano corto chiedendo subito un “caffè insieme” o il numero di telefono. Tra padri single (la maggior parte degli over 40) e uomini chiaramente solo in cerca di avventure (molti già accoppiati), puoi trovare quello che sogna l’harem, quello che ti manda il video in cui suona e stona la tua canzone preferita (uomini, un consiglio, non lo fate mai a meno che non siate il clone di David Gilmour!), quello che si toglie dieci anni d’età per evitare i like di donne troppo mature e quello che insiste a scriverti nonostante tu non gli risponda da 60 giorni. E’ pieno di motociclisti, surfisti, musicisti, fashionisti, culturisti.

Un capitolo a parte meriterebbero quelli che si fanno le foto allo specchio o quelli che non mettono il proprio nome perché dichiarano di fare un lavoro che li obbliga all’anonimato. Quasi tutti quelli con cui parli ti dicono che sono iscritti a questi siti a causa delle limitazioni del periodo. Nulla da obiettare, alla fine è lo stesso motivo per cui ci sono finita io, ma qualcun altro invece ti dà proprio l’impressione di essere un habitué di vecchia data e che abbia un po’ perso lo smalto del seduttore.

Com’era prevedibile, la mia vita virtuale sul pianeta Date ad un certo punto si è impallata e ho incominciato a pensare che il mio algoritmo fosse fallato. Nulla di tutto quello che avevo visto fino a quel momento infatti mi avrebbe fatto supporre di potermi avviare sulla strada che ho visto intraprendere ad alcune coppie che conosco (pochissime a dire il vero): da una app d’incontri fino all’altare. Poi alla fine ho capito che non era questione di algoritmo fallato, ma che semplicemente sono troppo figlia di un’epoca in cui i protagonisti di un cartone animato ci mettevano 30 puntate per darsi un bacio. Così ho deciso di concludere la mia vita sul mondo Date dopo appena tre mesi e poche conoscenze.

La mia è stata un’esperienza forse troppo breve per esprimere dei giudizi oggettivi, ma credo abbastanza sufficiente per dire che oggi guardo al mondo del dating con meno snobbismo di quanto non abbia fatto in passato. Ho capito che molte persone ci entrano come se fossero dei normalissimi social network e che spesso sono solo un modo per conoscere gente al di fuori del proprio ambiente, per superare i limiti imposti della fisicità dei luoghi e degli incontri più tradizionali (al bar, nei locali, ad una cena con amici) come solo il web riesce a fare, soprattutto al tempo della pandemia. Dal canto mio, ammetto che alcune delle mie conoscenze virtuali sono diventate reali e con loro continuo ad avere un dialogo amichevole. Non ho mai incontrato casi umani, non mi sono mai sentita in difficoltà o in pericolo. Ora volete sapere se ho trovato l’uomo della mia vita? Ci sto lavorando, ma nel mondo reale e senza algoritmi.

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