Seguire la Cometa. Una letterina di Natale per Foggia

by Enrico Ciccarelli

È sempre difficile, nella Notte Santa, trovare qualcosa da dire che non suoni stantio, retorico o bolso. Di sicuro esula dalle intenzioni di questo articolo dire qualcosa che abbia un senso o un’importanza liturgica. Natale è certamente la festa centrale della Rivelazione cristiana, segna l’arrivo di un Redentore, per l’Islam quello di un profeta, per l’Ebraismo quello di un impostore. Ma per tutti gli esseri umani, almeno quelli che vivono nell’emisfero boreale, è soprattutto il retaggio della fine di un incubo, l’annuncio della vittoria della luce sulle tenebre, il solstizio che diceva agli uomini primitivi terrorizzati dall’affievolirsi e dal farsi rado del calore del sole, che l’astro sarebbe tornato. Il dies soli invicti, lo chiamavano gli antichi Romani, e ce n’è traccia in tutte le culture.

Noi, poi, abbiamo avuto la fortuna di un certo Francesco d’Assisi, che a Greccio costruì il primo presepe, per dirci una verità fondamentale: ogni bambino che nasce è un Redentore, ogni culla che viene abitata è la sconfitta del buio e della morte. Nulla può uccidere il sole, nulla può uccidere la speranza. Nemmeno nei momenti e nelle situazioni più disperate.

Foggia è in uno di questi momenti e in una di queste situazioni. Abitiamo un presepe sgarrupato e disadorno come la baraccopoli di via d’Addedda o gli abituri di certe zone del centro antico. La bottega da falegname di Giuseppe è bersaglio di teppisti, racket delle estorsioni e molestie burocratiche e fiscali di vario genere. Maria riceve continue molestie per strada, malgrado l’evidente gravidanza, e un’affollata piena di pettegolezzi, talora meschini, talora scurrili, mette in dubbio il suo stato di vergine. Nessuno è attirato verso la mangiatoia: tutti troppo intenti ad abbaiare alla luna il loro livore, a vomitare il loro odio sui social, invocando squartamenti e pubbliche esecuzioni per chiunque sia attinto da un sospetto delle Procure, proponendo l’annullamento dei concorsi dal risultato non gradito, con annessa fustigazione pubblica dei commissari e delle vincitrici.

Nel Palazzo di Ponzio Pilato, fino a poco fa popolato da bande di zeloti, siede una Trimurti di onesti funzionari, giustamente preoccupati di tutto, compreso il regalo sospetto di un albero di Natale addobbato, intenti a vergare provvedimenti di retrogusto bizzarro, come il divieto di propagazione sonora di musiche “non natalizie”. Hanno paura della città di cui sono chiamati a reggere per un anno e mezzo le sorti e li si può capire, perché non c’è foggiano provvisto di buonsenso che non tema i tiri mancini che la sua città può escogitare ai suoi danni. No, nessuno si recherà alla Grotta, e l’unica Mangiatoia che tiene banco è quella della spesa pubblica. L’unico che potrebbe convincerci è Zemàn, il solo profeta di durevole autorevolezza che conosciamo da queste parti.

Ma non basterebbe: perché il problema vero è la stella cometa, quella che segna il cammino. Da molto, da troppo tempo non abbiamo alzato la testa a guardare il cielo, a ricordarci che la strada che facciamo sulla terra ha bisogno delle stelle. Eravamo troppo intenti a guardare in basso, al piccolo perimetro degli affari nostri, e abbiamo perso direzione e orientamento. Come surrogato ci siamo affidati alle meteore, alle illusioni ottiche, ai miraggi. E molti hanno tutta l’intenzione di continuare. Per questo le nostre orecchie non odono i cori angelici di giubilo, per questo i nostri occhi non vedono il bagliore che viene dalla grotta lontana, per questo tolleriano che la speranza incarnata dai bambini perisca in un rogo di invisibili, nella curva cieca della nostra coscienza.

Per questo il nostro Natale è così amaro, cara città mia: non per la povertà, la disoccupazione, la delinquenza. È perché continuiamo ad aspettare qualcosa che arrivi dall’alto (chi un panariello, chi un meteorite); attendiamo i doni dei Re Magi (che poi con il Gino Lisa senza voli, cara grazia se arrivano alla Befana!), non senza ritenere che quello con la mirra sia barese. Perché pensiamo che qualcos’altro o qualcun altro (la Commissione Una e Trina; i giudici; Armageddon) possa fare quello che dobbiamo fare noi: alzarci in piedi e tornare a guardare le stelle.

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