Sindaci in trincea. Dalle ricette cult agli appelli. Per presidiare il campo si alza la voce

by Paolo Ruotolo

Trincea. Prima linea. In tempi di Covid-19 il gergo militare ha ormai egemonizzato la grammatica della comunicazione dei sindaci, sui quali è piovuto improvvisamente un protagonismo inaspettato. Front-office di bisogni, rivendicazioni ed aspettative, i primi cittadini si sono trovati di colpo in mezzo al guado, con la gestione dell’emergenza oscillante – innanzitutto sul piano operativo – tra Governo e Regioni. E così, un passo alla volta, hanno provato a ricavare un proprio spazio di interlocuzione con le comunità. Spesso inseguendo esecutivo e presidenti di Regione, in una ridda di provvedimenti ed Ordinanze non di rado in contraddizione tra loro.

I più scaltri hanno approfittato dell’occasione per consolidare profilo ed immagine politica; i meno attrezzati hanno fatto quel che potevano, finendo a rincorrere le richieste e le paure dei cittadini. Ai sindaci sprovvisti di strumenti e poteri, dunque, non è rimasto altro che provare a far rispettare soprattutto le misure di isolamento e distanziamento sociale, usando più gli appelli che le Ordinanze, più i rimproveri che le sanzioni, più i consigli che i controlli. Una partita complicatissima, che quasi tutti hanno scelto di giocare sul campo più frequentato restando a casa: l’universo social. Dal sindaco di Bari, Antonio Decaro, a caccia di indisciplinati per parchi e supermercati al primo cittadino di Lucera, Antonio Tutolo, abilissimo nel mescolare dialetto, intrattenimento (le sue ricette sono ormai diventate un cult su Facebook) e rimproveri senza filtri, solo per fare due degli esempi tra i più noti e conosciuti su larga scala. Due modi diversi di interpretare l’unica funzione lasciata ai sindaci. Non a caso entrambi hanno calamitato attenzioni ed interesse nazionali e addirittura internazionali. Al bollettino della Protezione Civile alcuni hanno provato ad affiancare quotidianamente quello dei primi cittadini, sia pure con una drammatica difficoltà nel reperimento di numeri e dati relativamente a ricoveri, contagi e quarantene, come denunciato prima di tutti in Capitanata dal sindaco di Biccari, Gianfilippo Mignogna. Una tenaglia che ha fatto letteralmente saltare ogni formula canonica, ogni rigore di ruolo, sdoganando una comunicazione “fai da te”.

L’impressione è stata che alla crescente inquietudine delle comunità abbia risposto una comunicazione scoordinata, oscillante tra rassicurazioni fuori luogo – a volte di segno clamorosamente opposto rispetto al fluire degli eventi e della cronaca – e performance orientate al panico e all’allarmismo. Intendiamoci, comunicare in momenti di emergenza è tutt’altro che semplice. Anzi, è specifica disciplina addirittura per chi pratica questa professione. E probabilmente è proprio per questo che la stragrande maggioranza dei sindaci hanno scelto di “alzare la voce” per riuscire a presidiare un campo per loro sconosciuto ed insidiosissimo, scarsamente praticabile con aplomb e sobrietà da fascia tricolore.

La misura del successo del messaggio scelto da ogni primo cittadino, al netto del taglio specifico, è dipesa quindi dalla sua abilità nel costruire un filo diretto con la propria comunità, un perimetro in cui istituzione e cittadino potessero riconoscersi e, naturalmente, dalla sua credibilità personale. Un aspetto, quest’ultimo, assolutamente decisivo. Tanto più perché l’isolamento ha schiacciato l’attenzione dell’opinione pubblica quasi interamente sui social. Tutti hanno guardato tutti. E così ogni riproposizione di tecniche già viste altrove è divenuta evidentissima, con l’ovvia conseguenza di indebolire la forza e l’autorevolezza dell’appello, del richiamo alla responsabilità e anche della censura di comportamenti sbagliati. Perché il modo di comunicare, probabilmente, è stato addirittura più importante del merito delle comunicazioni.
Difficile stilare una classifica dei sindaci più efficaci. Di sicuro, come ha confermato l’attenzione extraprovinciale ed extraregionale, quelli che hanno fatto centro con maggiore evidenza sono stati Decaro e Tutolo, capaci di interpretare – ciascuno a modo suo – l’anima delle rispettive comunità, con una linea sempre uguale, che raramente ha sbandato e che ha mantenuto una ferrea coerenza in termini di contenuti, forma e “taglio social”. Con altrettanta certezza, come si diceva prima, si può dire che abbiano pagato poco, sul piano della credibilità individuale, le linee ondivaghe, come ad esempio quella del sindaco di Milano Beppe Sala, passato dalla “Milano non si ferma” alle Ordinanza ultrarestrittive, anche se con l’attenuante di aver chiesto scusa ai milanesi per l’errore iniziale.

Ora che comunicativamente la fase emergenziale pare superata, almeno per ciò che riguarda la conoscenza dei rischi connessi alla violazione delle disposizioni governative, l’attenzione dei sindaci si è riversata pressoché interamente su un’altra partita, non meno complessa e non meno rischiosa: l’informazione circa l’erogazione delle misure di sostegno economico disposte dal Governo a quanti sono stati messi in ginocchio dall’emergenza sanitaria. Nuovamente con formule social poco canoniche, in cui ogni sindaco sembra essere il vero protagonista assoluto. Una personalizzazione che ancora una volta rischia di spostare il “peso” del messaggio dal suo effettivo contenuto alla credibilità di chi lo comunica, in una declinazione forse eccessivamente estremizzata del legame tra una comunità ed il proprio sindaco eletto in modo diretto.

Un banco di prova rilevantissimo, i cui risultati saranno veramente noti solo a pandemia superata, quando la scia della qualità di questa comunicazione d’emergenza con ogni probabilità influenzerà stima e consenso popolari. Ed i sindaci, dal fumo della trincea e della prima linea, torneranno ad indossare i più comodi abiti dell’amministrazione e della polemica politica.

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