Una politica sempre tesa

by Filippo Mucciarone

“Una politica sempre tesa”, parafrasando Carlo Verdone in una delle frasi tormentone ma salienti di uno dei suoi personaggi caratteristici di grido. Ma visto il momento, anche una politica sempre pronta a convergere su se stessa quando si decide che semmai non c’è da mostrare il fianco più di tanto ad appannaggio del populismo social dell’epoca moderna o di qualsiasi speciale televisivo pre elettorale che tenga.

Agli umori sollevati dell’ultima ora per la rielezione bis di Mattarella tra le varie frange degli schieramenti, anche non poche ed intime accuse venatorie di un avviluppamento dei partiti sul far progredire lo stallo della relativa rielaborazione o riduzione di una più consona ed autonoma sopravvivenza tra l’immagine dell’offerta della classe dirigente che la polita offre di sé.

Tendenze trasversali di un pamphlet macabro abbozzato e per fortuna alla fine sventato nell’agone della inconciliabilità univoca sul nome ambito per il colle, che più che mai sembrino abbiano poco avuto a che fare sulle sorti “giocose” (ma in realtà riconcilianti solo in minima parte di fatto con quelle precedenti il settennato appena trascorso) per usare un termine usato spesso dal senatore Renzi in questa settimana travagliata in attesa per la fumata bianca del Quirinale, che creano addirittura più che un allarmismo sul vociare circa una misura colma che porterebbe ad un passo dal presidenzialismo alla francese per la prossima rielezione del Presidente della Repubblica. Un tableau vivant di omesse osservanze, un vociare “onnisciente” al limite dell’immoralismo di facciata più acerrimo, tale da far acuire e far sembrare l’impresa di risacca nell’implosione del nome della Casellati, anche vitale quanto necessario (alle sorti di una battaglia interna fratricida del centro destra), un appiglio moralistico doroteico da “primissima” repubblica, da parte di chi evidentemente (dunque dalle proprie passate e peccaminose sorti politiche), avvertiva così di offrire ad una platea quasi dissanguata dei corsi e ricorsi storici, una simil forma di moral suasion all’inverso nei confronti di chi invece nei tempi odierni concomitanti, faceva decorrere il proprio marchio di coesione di gran manovratore (dall’alto) con quello astensionistico dei franchi tiratori. Un gioco perverso e quasi in presa diretta da roulette russa, su cui evidentemente la pratica riconciliante verso un garantismo di “facciata” del palazzo sulle istituzioni ha avuto la meglio sul negletto incaponimento del malvezzo ambiguo e contiguo che le “opposizioni” prefiguravano evidentemente sul versante della storia più attuale e contingente l’europeismo in fase pandemica, al netto delle bende sugli occhi tra possibilistiche divisioni interne al governo ed ugualmente “disarticolazioni” di sorta in fase di elezione del capo dello stato. Una politica che più che mai come in questo frangente, fortunatamente appena superato, sembrasse giocare al suicidio di massa sulla propria stessa sussistenza, ma soprattutto sulle sorti e le vicende parecchio avverse di un Paese ancora disperatamente da tenere sulla rotta giusta, grazie alle vestigie diplomatiche forse dell’unico Capitano più che verosimile oggi, ossia Mario Draghi. Anche con la sfumata elezione della Belloni, che si prefigurava prima dell’ultima notte a lei favorevole “Bella e Perduta” (citando il titolo di un libro di Lucio Villari sul Risorgimento in Italia), e ad ormai ad un passo dal diventare primo presidente donna della Repubblica, si è quasi toccato il fondo, nel canale di scolo che a rimorchio inesorabile e ad un certo punto come impazzito, vedeva così grondare vapore dal suo stesso ed indotto conclave istituzionale. Tanto addirittura da poter fare addurre in qualche modo inverosimili e parossistiche in uno scenario malcelato immaginifico, un collegamento tra le sorti (tragiche e di recente anche riportate in auge dalla cronaca nazionale) del suicidio del capo comunicazione di BMP D.Rossi con il periodo appena di sette mesi da cui la stessa Belloni ricopre l’incarico di alto dirigente capo dei servizi segreti. Ma tuttavia, la rielezione del più che certo secondo settennato di Mattarella al colle, ci porta inesorabilmente tutt’al più nel contempo, dalla storia democratica recente e promiscua di questo travagliato paese, ad un punto di svolta imminente su una figura di alto rango istituzionale e/o super partes che si voglia come quella di appunto di Mattarella. Bagliori di speranza riecheggiano in lontananza nel risorgimento in atto del Paese, con ancora alla guida Draghi/Mattarella due garanti dal garbo e dall’efficienza politico istituzionale di largo respiro, in un quadro di venti di guerra che echeggiano invece in un proscenio geopolitico ed europeista paradossalmente a noi prossimo e meno atlantista (vista la “cortina di ferro” ad un passo dall’essere oltraggiata dall’esercito Russo contro quello Ucraino). Tanto che forse varrebbe ancora citare un passo di Lucio Villari del suo saggio sul risorgimento, in chiave di un più fulgido auspicio e di buone speranze sul proseguo arduo ed altrettanto imminente dell’Italia: “Un’Italia dolente, notturna, divisa, risvegliata alla libertà. Le armi, le parole di un popolo che scopre se stesso dopo secoli di servitù. Giovani che hanno combattuto per l’unità e l’indipendenza della nazione. Questo è stato il Risorgimento. E questo resta l’orizzonte storico insormontabile della nostra identità nazionale e del nostro Stato democratico”.

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