Una stanza tutta per sé. Il desiderio delle donne, la denatalità e altre stregonerie

by Raffaella Passiatore

Gli appassionati di letteratura avranno riconosciuto il titolo dell’omonimo saggio di Virginia Woolf, pubblicato nel 1929 e tratto da due conferenze tenute dalla scrittrice a Cambridge. È riduttivo chiamarlo saggio, giacché la Woolf lo svolge in una forma ibrida simile ad un racconto, nella voce del suo alter ego Mary il cui nome è svelato già alla terza pagina: Eccomi dunque, chiamatemi Mary Beton, Mary Seton, Mary Carmichael o come meglio vi piace, non ha alcuna importanza.

Il tema del saggio si nasconde nella metafora del titolo e, solo apparentemente, si limita a scandagliare il rapporto tra la donna e l’arte. Quella “stanza tutta per sé”, per secoli negata alle donne, una volta ottenuta può diventare gabbia o crisalide. Nel secondo caso, la donna ve ne uscirà trasformata; finalmente senza più strisciare ma volare potrebbe rinascere alla storia.

E allora, se è vero che la letteratura non è cosa astratta slegata dal reale, vorrei provare a riflettere sulla questione scottante della denatalità (o della natalità?!) attingendo opportunità -e forse pretesti- dal pensiero di Virginia Woolf.

In quali condizioni vivevano quelle donne, mi domandavo; perché la letteratura d’immaginazione non è un sasso che casca per terra, come succede a volte nella scienza; è una ragnatela, legata forse da un nulla, ma comunque legata alla vita, per i quattro angoli “. 1

E perché il testo della Woolf dovrebbe far luce sulla questione più -o almeno quanto- una riflessione scientifica, sociologica o politica, lo riassumo nelle parole dell’autrice: “A ogni modo, quando un argomento è molto controverso -e ogni questione riguardante il sesso lo è- non si può sperare di poter dire la verità. Si può soltanto far vedere come siamo giunti ad una data opinione. Si può soltanto offrire al pubblico un’opportunità di trarre le proprie conclusioni, osservando le limitazioni, i pregiudizi, le peculiarità dell’oratore. In questo senso, il romanzo contiene più verità di quante ne contenga la realtà”. 2

Prima di parlare di denatalità, trattiamo di natalità. Lapalissiano per ogni discernimento comune: la denatalità va ostacolata con l’incremento della natalità. Le strategie per incrementare la natalità variano nei secoli secondo il periodo storico e il regime politico. In ogni secolo e latitudine la donna non è mai stata considerata come l’elemento fondamentale della questione, non come “attore” cioè ma come “fattore”. La posizione della società è stata altalenante, talvolta a favore della natalità, talvolta della denatalità; in qualsiasi caso la donna era messa al servizio degli obiettivi stabiliti. Facciamo qualche esempio. In un’epoca in cui la mortalità infantile era altissima, un numero elevato di figli rassicurava il patriarcato; crescevano le possibilità che il patrimonio, sia genetico sia economico, avesse un erede. L’espansionismo coloniale esportava popolo, quello economico esigeva forza lavoro; quello nazionale pretendeva soldati.

La donna serviva come strumento riproduttivo e il mezzo fondamentale per mantenerla schiava a questa funzione è sempre stato la “povertà”, nel senso di dipendenza economica dal maschio, padre o marito che fosse. Il concetto di “protezione” da parte dell’uomo sulla donna si è sempre giustificato come cura e difesa. La tutela della donna come essere più debole fisicamente prevede la sua dipendenza esistenziale dal maschio che, come essere dominante, esercita i suoi diritti di protettore. La preda cacciata dal maschio primitivo diventa il denaro guadagnato dell’uomo moderno, ambedue servono al sostentamento della femmina.

I professori, i maestri, i sociologi, i teologi, i romanzieri, i saggisti, i giornalisti, gli uomini che non avevano nessun titolo tranne quello di non essere donne, tutti inseguivano la mia semplice e unica domanda –perché sono povere le donne?-, finché questa diventava cinquanta domande…”3

Così la Woolf annota sul suo quaderno una serie di appunti circa “Le donne e la povertà”, un tormentato quanto ironico compendio di usi e abusi, giudizi e pregiudizi. Ogni uomo può trattare delle “donne” che non ha diritto nemmeno di apparire nel testo come parola scritta. L’oggetto in questione -le donne- è sottointenso, non ha diritto a spazi o puntini di sospensione; la si salta quella parola “donne”. Come di solito s’ignora nella discussione il corpo della donna, così Virginia Woolf disconosce la fisicità della parola scritta che la indica.

Condizioni del Medioevo delle,

Usi e costumi nelle isole Figi delle,

Adorate come divinità dagli,

Più deboli nel senso morale degli,

Idealismo delle,

Maggiore consapevolezza delle,

Indigeni dei mari del Sud, età della pubertà fra gli,

Attrazione delle,

Offerte in sacrificio a,

Dimensioni minori del cervello delle,

Inconscio più profondo delle,

Pelosità minore del corpo delle,

Inferiorità mentale e morale e fisica delle,

Amore dei bambini nelle,

Più lunga durata della vita delle,

Muscoli più deboli delle,

Forza degli affetti delle,

Vanità delle,

Istruzione superiore delle,

L’opinione di Shakespeare sulle,

L’opinione di Lord Birkenhead sulle,

L’opinione dell’arciprete Inge sulle,

L’opinione di La Bruyére sulle,

L’opinione del Dottor Johnson sulle,

L’opinione di Oscar Browning sulle,…4

L’innovazione scientifica influenzò i dettami inerenti alla natalità. Il parto, da sempre, rappresentava per le donne ancora un altissimo pericolo di morte ed era prassi abituale -se necessario- sacrificare la vita della madre per quella del neonato.

E oggi sappiamo che la sedicente debolezza fisica della donna rispetto all’uomo è in realtà diversità non inferiorità; nessun fisico maschile probabilmente sopravvivrebbe ad un parto. Pur nella relativizzazione personale -dovuta alla differente soglia del dolore- si è calcolato che il limite del dolore sopportabile da un essere umano è di 4.5 VAS (Unità di Misura del Dolore) e durante un parto, con tutte le differenze individuali, può arrivare a 5.7. Un calcio nei testicoli maschili mediamente non supera i 9 VAS. Evidentemente già gli antichi ne avevano sentore se la Medea di Euripide pronuncia: Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli in casa, mentre loro combattono con la lancia, pensando male: poiché io preferirei stare tre volte accanto a uno scudo piuttosto che partorire una volta sola. (248-251).

Nel 1796 Edwuard Jenner in Inghilterra e poi nel 1855 Louis Pasteur scoprirono i vaccini che salveranno la popolazione infantile dai virus mortali. Semmelweis, nel 1847, aveva risolto la febbre puerperale con una semplice lavata di mano, tuttavia la scoperta fece meno scalpore riguardando la vita delle donne e non dei neonati.

La posizione della società riguardo alla natalità fu inevitabilmente condizionata dalla scienza, tuttavia la sua mutevolezza determinata dalla politica delle ideologie. Gli autoritarismi nazi-fascisti premiavano in denaro le famiglie più prolifiche. Ad ogni modo le onorificenze spettavano al maschio; conservo ancora una medaglia azzurra con nove fiocchi bianchi -uno per ogni pargolo- che un qualche gerarca fascista appuntò al petto di mio nonno. Era il tempo di dar figli alla Patria, era il tempo per le donne di partorire “carne da macello”.

Nei Lebensborn nazisti i maschi di “razza pura” erano obbligati a fare da stalloni ed ingravidare -in Germania, Norvegia, Danimarca- altrettante “valchirie” di comprovata purezza ariana. Si stima che solo in Norvegia siano nati più di 8000 bambini, esseri umani che appartenevano -de facto- allo stato.

Heinrich Himmler, Reichsführer delle SS scrive: Al di là dei limiti imposti dalle leggi, dai costumi e dalle opinioni borghesi, forse necessari, oggi per le donne e le ragazze di puro sangue tedesco diventerà una nobile missione il chiedere ai soldati in partenza per il fronte, siano esse sposate o no, di renderle madri, poiché i soldati potrebbero non tornare a rivedere il cielo del [loro] paese. Tanto più l’obbligo di procreare valeva per gli uomini e le donne rimaste in patria. 5

In ogni secolo e Paese la gestione della natalità va di pari passo con il controllo sulle donne, giustificato dalla sua presunta inferiorità. E, immancabilmente, all’inferiorità fisica della donna si associava l’inferiorità intellettiva; talvolta anche morale. Ecco Virginia Woolf: Per secoli le donne sono state gli specchi magici e deliziosi in cui si rifletteva la figura dell’uomo, raddoppiata. Senza questa facoltà la terra probabilmente sarebbe ancora palude e giungla. Tutte le glorie delle nostre guerre non sarebbero esistite…

I superuomini e i figli del destino non sarebbero mai esistiti. Lo Zar e il Kaiser non avrebbero mai portato le loro corone e neppure le avrebbero perdute. Qualunque sia il loro uso nelle società civilizzate, questi specchi sono indispensabili ad ogni azione violenta ed eroica. Perciò Napoleone e Mussolini insistono così enfaticamente sull’inferiorità delle donne, perché se queste non fossero inferiori, non servirebbero più a raddoppiare gli uomini. Questo spiega in parte il bisogno delle donne che spesso sentono gli uomini. E spiega anche perché essi non tollerano la critica della donna; questa non può dire che il libro è brutto, il dipinto debole, eccetera senza suscitare assai più dolore ed assai più rabbia di quanta ne potrebbe suscitare un altro uomo con la stessa critica, giacché se la donna comincia a dire la verità, la figura nello specchio rimpicciolisce; l’uomo diventa meno adatto alla vita. 6

Alla fine della seconda guerra mondiale fece seguito il baby boom, l’Europa andava ripopolata. La crescita demografica diventa sinonimo di sviluppo e progresso.

Nella Cina post rivoluzione Mao Zedong, favorevole alla crescita demografica, vieta l’importazione di contraccettivi. Anche nella nuova società comunista le donne non possono scegliere liberamente riguardo alle nascite.

Poi arriva il 1968. Era l’apice del “miracolo economico” in cui ogni uomo poteva vantare le così dette tre emme: “mestiere, macchina e moglie”.

Tuttavia una rivolta, iniziata un paio di anni prima in California, si espande a macchia d’olio in Europa. Erano proteste contro i valori etici della società capitalista, contro l’autorità, contro la guerra e si mettevano per la prima volta in dubbio i metodi ed i contenuti della didattica, la religione, il tabù del sesso e della castità femminile. Fu un movimento di protesta che coinvolse gli studenti, gli operai, i pacifisti e anche le donne, con una mobilitazione femminile come forse mai si era vista.

Il ’68 cambiò parecchio la situazione delle donne. La libertà sessuale, i contraccettivi che scindevano la sessualità dalla maternità, l’istruzione femminile e la pratica di mestieri “nuovi” -prima solo appannaggio del maschio- incrementarono un notevole calo demografico.

Accettare che un calo demografico fosse una scelta delle donne, effetto dell’emancipazione delle donne, fu per la società intollerabile. Bisognava quindi che la denatalità venisse motivata, avvalorata in un contesto di necessità socio-economica. La letteratura registra questa nuova tendenza con romanzi distopici che mettevano in guardia di fronte al pericolo del sovrappopolamento, penso in primis a: Tutti a Zanzibar, di John Brunner.

Dall’obbligo di procreare si passa quindi al divieto dello stesso.

È a questo punto che s’inizia a discutere di sovrappopolazione terrestre, di mancanza di risorse, di meccanizzazione del lavoro. Ed ecco, proprio come in una distopia, che in Cina s’impone il divieto di superare un unico figlio a famiglia.

Sotto Deng Xiaoping si approva nel 1979 la legge che proibisce alle coppie di avere più di un figlio, ad eccezione delle famiglie contadine che possono averne ben due nel caso in cui il primo sia una femmina.

Lo scrittore Mo Yan, in un romanzo del 2009 dal titolo Rane, racconta di una levatrice attiva negli anni di Mao Zedong prima e di Deng Xiaoping poi.

La levatrice Wan Xin diventa il boia del regime. Il controllo delle nascite, il potere dello Stato sulle donne è ad opera di una donna stessa. La levatrice deve praticare aborti e vasectomie per garantire allo Stato i numeri decisi a tavolino. La politica per il controllo demografico diventa violenza repressiva; aborti forzati, infanticidi, abbandoni di minori. Anni dopo, quando la politica del regime cambia nuovamente rotta, la levatrice Wan Xin -tornando a casa di notte- smarrisce la strada e si ritrova in una zona paludosa. Il gracidare delle rane le ricorda allora il pianto dei bambini; i corpi delle rane -viscidi e freddi- quello dei feti abortiti.

Nel 1970 anche l’India aveva iniziato politiche di controllo sulle nascite, pur meno violente. Indira Gandhi impone la sterilizzazione per le famiglie che avevano già tre figli, sollevando proteste anche violente della popolazione maschile.

L’altalena di obbligo e divieto continua ed ecco -nel 2015- la Cina fare marcia indietro e decretare la libertà del secondo figlio. Dal 2023 la libertà si estende anche al terzo figlio. Tuttavia le violenze sulle donne in Cina non terminano. È a questo punto che vengono proposte le Zone matrimoniali Sperimentali e si avvia una vera e propria “tratta delle mogli”. La politica del figlio unico, l’aborto selettivo a sfavore dei feti femmina, hanno causato uno squilibrio di genere e una conseguente mancanza di “femmine da ingravidare”. Alla Cina non rimane altro che importarle le femmine -proprio come animali da riproduzione- e troppo spesso illegalmente. Alcune ricerche parlano di trenta milioni di donne straniere disperse in Cina ed usate per la riproduzione. Uno studio del professore Huang Zhongliang della Tsinghua University, riporta di millesettecento casi di donne rapite tra il 2000 e il 2017. Le donne sono state vendute –eufemisticamente detto- per scopi matrimoniali, tutte in età compresa tra i quattordici ed i trent’anni. Gli uomini compratori verrebbero dalle zone rurali della Cina. Il presunto acquirente delle donne, secondo un emendamento del 1997, rischia in Cina al massimo tre anni di detenzione mentre -per un traffico illegale di animali a rischio di estinzione- è previsto l’ergastolo! Non esistono nel sistema legislativo cinese risarcimenti per le vittime della tratta e per gli abusi sessuali come conseguenza di un matrimonio forzato. Questo accade oggi, non cento anni fa, nel Paese più popolato del mondo.

E allora, dopo novantaquattro anni dalla lista redatta da Virginia Woolf, che cosa possiamo rispondere alla domanda simbolica: perché sono povere le donne? La risposta giusta, qualsiasi essa sia, è dominata più dal luogo e dal regime politico che dal tempo storico. Ci sono oggi Paesi in cui la libertà delle donne è compromessa come in Europa secoli addietro, ed il primato spetta ai regimi dittatoriali, militari o religiosi.

Dal 1900 al 2000 la popolazione mondiale è salita da un miliardo e mezzo a sei miliardi ed i Paesi più poveri sono quelli a più alta natalità.

Basandoci sui dati delle Nazioni Unite (ipotesi media) che si riferiscono al periodo che va dal 2020 al 2025, il tasso medio di natalità sull’intero globo terrestre è stimato al 17,5 di nascite ogni 1000 abitanti. Al primo posto nella classifica delle nascite troviamo il Niger con il 44.2 (su 1000 abitanti), seguono Somalia, Ciad, Angola, RD del Congo, Burundi, Gambia… Si avvicendano solo Paesi africani fino al ventisettesimo posto occupato da Sao Tomé e Principe. Gli ultimi cinque posti di natalità -e quindi i primi cinque per denatalità- vedono al centoquarantesimo posto a pari merito (o demerito, dipende dai punti di vista!) il Giappone e l’Italia con una percentuale di 7.0. Segue, al centoquarantunesimo posto, la Grecia con 6.9, la Corea del Sud con 6.8 e, all’ultimo posto, quindi primo per denatalità, Porto Rico con 6.6.

Le prime ventisette nazioni sono africane e, con tutto il rispetto per le culture e le religioni, possiamo affermare che in questi Paesi domina una cultura patriarcale in cui la donna ha essenzialmente una funzione riproduttrice. In questi Paesi la donna non ha libero accesso allo studio. Anche se lavora, non ha indipendenza economica essendo l’uomo -padre, fratello o marito- a gestire il denaro. A questo aggiungiamo

-soprattutto per dettami religiosi- il matrimonio precoce, la finalizzazione del sesso alla procreazione e il divieto della prevenzione contraccettiva e dell’interruzione di gravidanza.

E in Europa invece?

Mary Beton racconta di una rendita fissa ricevuta in eredità alla morte di una zia, evidentemente una metafora: Nessuna forza al mondo può togliermi le mie cinquecento sterline. Cibo, alloggio e vestiti sono miei per sempre. Pertanto non solamente sono cessati lo sforzo e la fatica ma anche l’odio e l’amarezza. Non ho bisogno di odiare nessuno; nessuno può ferirmi. Non ho bisogno di lusingare nessuno; nessuno può darmi niente. 7

La maggior parte delle donne europee, se la posseggono, quella rendita oggi se la sono guadagnata col proprio lavoro. Forse le donne hanno trovato quella “stanza tutta per sé”, intesa come spazio autonomo e libero.

La denatalità in Europa viene trattata ancora oggi come una problematica vagamente sociale, fortemente influenzata dalla situazione economica in cui versano le famiglie e soprattutto le donne. Secondo questa opinione, se il problema è economico allora è con delle riforme in questo settore che la questione va trattata. In Italia, per Esempio, gli stipendi sono troppo bassi rispetto al costo della vita e, a parità di livello di studi e mansioni lavorative, le donne nel nostro Paese ancora guadagnano meno degli uomini. Altro argomento è la mancanza d’infrastrutture che permetta alle donne la cura dei bambini durante la giornata lavorativa, come nei Tagesmutter nei Paesi di lingua tedesca. Ammesso che questa possa essere una vera soluzione, quanto quella del collegio in uso nelle famiglie borghesi al tempo della Woolf.

(cfr pag. 53): Il fatto di finanziare un collegio implica la soppressione della famiglia. Accumulare una fortuna e mettere al mondo tredici figli: non c’è nessun essere umano che possa sopportarlo. Guardiamo le cose come sono, dicevamo. Ci vogliono nove mesi prima che nasca un bambino. Poi il bambino nasce. Ci vogliono tre o quattro mesi per allattarlo. Finito questo periodo ci vogliono almeno cinque anni per giocare con il bambino. Non si può, a quanto sembra, lasciare i bambini per strada. Quelli che li hanno visti crescere da soli, in Russia, dicono che non è un bello spettacolo. Dicono anche la natura umana prende la sua forma definitiva tra il primo ed il quinto anno. Se la Signora Seton, dicevo, fosse stata occupata a fare del denaro, che ricordi ti rimarrebbero dei tuoi giochi e dei tuoi fratelli? Che cosa avresti visto della Scozia, e della sua aria pura e dei dolci e di tutto il resto?

Siamo sicuri che le cause della denatalità siano in questi ordini? Guerre e carestie nei secoli andati non hanno intaccato la natalità e, nel presente, la natalità è in calo anche nei Paesi più ricchi. Ciò che sta accadendo in Occidente, forse per la prima volta, è l’affermazione della volontà delle donne. È tutto da dimostrare che la maternità fosse e sia un desiderio “innato” nelle donne e non una costrizione o la conseguenza dell’educazione e della società.

La denatalità spaventa, si parla di estinzione della specie, lo Stato crede di incrementare la natalità con la politica del pagamento. Ovvero pagare le donne affinché facciano il loro dovere di procreatrici, come nel nazifascismo. Eppure una gravidanza, un figlio, dovrebbero nascere dal desiderio e questo non si può pagare. L’accesso femminile all’istruzione è il metodo anticoncezionale più efficace, chiediamoci perché.

Diamo per scontato che il senso di maternità sia cosa innata per gli esseri umani come per gli animali. In realtà il senso materno è tutt’altro che istintivo, tutt’altro che automatico e scontato; le donne lo sanno. L’essere umano ha perso gli istinti, che sia involuzione o evoluzione -questo lo lascio a voi deciderlo-, la specie umana ha percorso uno sviluppo di allontanamento dalle logiche animali dal quale non si torna indietro.

C’è una domanda che nessuno fa alle donne e che nessuno mette in gioco nel dibattito: le donne vogliono un figlio? Non è forse legittimo che una donna possa volersi sottrarre alla procreazione? Se i motivi della denatalità fossero soltanto di origine economica, non si spiega il perché le donne -di quei ventisette paesi africani in testa per natalità nel mondo- una volta emigrate smettono di procreare. Eppure l’emigrazione ha dato loro benessere, sicurezza, stabilità, perché allora non aumenta il desiderio di mettere al mondo figli? Le donne africane emigrate scoprono un’identità altra rispetto a quella dell’essere madre, trovano un senso per voler essere attive nella storia, anche attraverso la propria professione, e capiscono che l’identità femminile non è sinonimo di madre.

La popolazione dei paesi africani continuerà ad aumentare soltanto se l’emigrazione verrà impedita. Ma questo non è possibile, le migrazioni -a causa dei cambiamenti climatici- saranno inevitabili.

La donna si va sottraendo al ruolo di madre. Forse, il mondo come lo conosciamo, sta per concludersi: Giacché se la donna comincia a dire la verità, la figura nello specchio rimpicciolisce; l’uomo diventa meno adatto alla vita.Come potrebbe continuare a giudicare, a civilizzare gli indigeni, a legiferare, a scrivere libri, a indossare il tight ed a pronunciare discorsi nei banchetti, se non fosse più in grado di vedersi riflesso, a colazione e a pranzo, almeno due volte più grande di quanto non sia?8

La denatalità è un processo ineluttabile. La decelerazione è inevitabile. Se veramente così fosse il crollo delle strutture del capitalismo sono anch’esse inevitabili. Ci continuano a ripetere che senza la crescita economica staremo peggio. Tuttavia una popolazione che non cresce non necessita d’inflazione indotta, una popolazione anziana richiede meno investimenti, prestiti, speculazioni di una società più giovane. Oltretutto il debito pubblico non potrebbe essere affibbiato a nuove generazioni che non ci saranno e quindi non potranno farsene carico. Come manterremo allora una popolazione di anziani? Chi pagherà le loro pensioni? La polarizzazione della ricchezza non avrà più senso senza la speculazione; sarà logico quindi ridistribuire quella ricchezza in maniera più equa attingendo ai grandi capitali dei pochi per mantenere tutti.

E torniamo al desiderio. Se la donna perde il desiderio della maternità dobbiamo accettarlo perché nulla di coercitivo può essere messo in atto contro la mancanza di quel desiderio. L’umanità è destinata quindi ad estinguersi? Forse.

C’è chi parla di cambiamento antropologico; di evoluzione umana, partendo dalla modificazione del corpo, del bacino delle donne che va restringendosi; di androginia.

Di androginia parla già Virginia Woolf, anche se non a livello fisico.

m’induceva anche a domandarmi se i due sessi nella mente corrispondono ai due sessi nel corpo, e se anche questi due devono riunirsi per giungere alla completa soddisfazione e felicità” 9

L’essere umano va rigettando le leggi della natura che lo vincolano al suo essere animale. Lo stiamo vedendo anche con il rifiuto della catena alimentare. Si moltiplicano i movimenti vegetariani e vegani che ripudiano la violenza e lo sfruttamento degli animali per necessità alimentare. I cibi sintetici saranno la rottura completa della catena alimentare secondo natura.

I concetti di Buono o Cattivo, di Violenza, Giustizia, Amore, Empatia non esistono nel mondo naturale, sono categorie umane. L’essere umano sembra evolversi in un nuovo antropocentrismo in cui non si pone più al vertice della piramide gerarchica della natura ma se ne estromette, con valori e comportamenti alternativi.

Forse nel futuro nasceremo tutti da un utero artificiale e la sessualità sarà completamente sconnessa dalla procreazione.

Alla domanda se sia un bene o un male credo che nessuno possa rispondere, tuttavia è un processo inevitabile. L’evoluzione non si può fermare, è nella natura umana.

  1. Virginia Woolf Una stanza per sé. Economica Feltrinelli, Milano 2005.

Cfr. pag. 75

  1. Virginia Woolf Una stanza per sé. Economica Feltrinelli, Milano 2005.

Cfr. pag. 34

  1. Virginia Woolf Una stanza per sé. Economica Feltrinelli, Milano 2005.

Cfr. Pag.60

  1. Virginia Woolf Una stanza per sé. Economica Feltrinelli, Milano 2005.

Cfr. Pag.61

  1. M.Hillel, C.Henry In nome della razza. Sperling & Kupfer, Milano 1976

Cfr. Pag. 292

  1. Virginia Woolf Una stanza per sé. Economica Feltrinelli, Milano 2005.

Cfr. Pag. 68

  1. Virginia Woolf Una stanza per sé. Economica Feltrinelli, Milano 2005.

Cfr. Pag. 70

  1. Virginia Woolf Una stanza per sé. Economica Feltrinelli, Milano 2005.

Cfr. Pag.68

  1. Virginia Woolf Una stanza per sé. Economica Feltrinelli, Milano 2005.

Cfr. Pag.136

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.