Sos Caretta caretta, una giornata col Centro recupero di Molfetta, tra odori salmastri e pinnute libere

by Fabrizio Stagnani
tartaruga

Ci si sveglia presto per andare a salvare Caretta caretta. L’appuntamento è al porto di Bisceglie alle sei di mattina.

Pasquale Salvemini, il responsabile del Centro recupero tartarughe marine Wwf Molfetta, è già li, vicino all’attracco dei pescherecci che scambia battute con i pescatori sul mare, sul vento e sulla notte che ancora sta per finire. Sollevano una bestia corazzata e pinnuta dalla barca e gliela passano. Nel mentre che viene depositata sul fondo di una conca di plastica nera emette un verso, fioco ma intenso, gutturale e rauco.

Ci si inizia a sporcare le mani, l’invito è a sollevare la vasca e aggiungerla a delle altre già ordinate nel furgone tutto brandizzato parcheggiato poco più in la. La scritta che colpisce di più, proprio vicino alla maniglia, è “Live animal transport”. A bordo l’odore non è dei migliori, decisamente salmastro, come di spiaggia ricoperta di posidonia, ma meno fastidioso. Destinazione Dipartimento di Medicina Veterinaria, a Valenzano. Tempo per parlare.

Da quando fai tutto questo?

Il Centro recupero tartarughe marine Wwf Molfetta nasce ne 2003, grazia alla disponibilità del Comune di Molfetta che ci ha messo a disposizione dei locali in cui poi è stato realizzato il Centro. Ma la mia attività è precedente. Già prima collaboravo con la Facoltà di Bari e con il Laboratorio di Biologia marina della Provincia. Si lavorava non solo sulle tartarughe, ma anche sui cetacei. Nato il Centro l’attività si è diversificata. Prima l’educazione e sensibilizzazione dei pescatori locali, soprattutto per le marinerie di Molfetta, Bisceglie e Trani. Poi il recupero di animali feriti e la salvaguardia della specie.

Passano semafori, incroci e svincoli. E’ chiaro che la strada è bene nota perché battuta con frequenza. Difficile non soffermarsi sul caos operativo del cruscotto. Taccuini e penne, documenti, guanti, pinze, disinfettanti, bandiere del WWF.

Com’è una giornata tipo al Centro recupero?

Molto impegnativa, sicuramente quello. Noi non abbiamo orari. I pescatori ci chiamano in qualsiasi momento, in più gli appuntamenti fissi. La marineria di Molfetta alle due di notte sbarca il pesce, per quell’ora bisogna essere già disponibili a prendere le tartarughe che loro hanno catturato accidentalmente. Sei e mezza, sette, arrivano altre barche presso la marineria di Bisceglie. Poi nel pomeriggio, intorno alla diciassette, diciotto, bisogna essere nel Porto di Trani dove arrivano altri pescherecci. Questo soprattutto nel periodo autunnale e invernale. Da ottobre ad aprile. Periodi in cui i pescatori catturano più tartarughe. Ci sono state occasioni in cui sono arrivate anche trenta tartarughe in un giorno. L’anno scorso in solo due giorni cinquanta.

Si imbocca la Statale 100. Sarà anche frutto dei suoi braccialetti, della collanina e del porta chiavi dai quali pendolano ovunque ciondoli a forma dell’animale a lui più caro, ma più passano i chilometri e più la suggestione che Salvemini abbia tratti tartarugheschi nel volto si fa forte.

Questa la fase di raccolta. E poi?

Lo vedremo insieme. Poi si va al Dipartimento di Medicina Veterinaria, dove ci aspetta l’equipe del Professor Antonio Di Bello. Li le tartarughe vengono sottoposte ad una serie di controlli. Soprattutto radiografici, dai quali si può individuare la patologie che le affligge. Si procede a verificare se le tartarughe hanno ingerito ami, o soprattutto se hanno ingerito acqua. Le nostre marinerie lavorano principalmente con reti a strascico, quindi gran parte delle tartarughe hanno due patologie critiche. L’annegamento e la malattia da embolia. Quest’ultima una malattia nuova per loro che stiamo cercando di scoprire. Proprio con le attività di ricerca che stanno mandando avanti in Dipartimento negli ultimi tre anni.

E quelle spiaggiate?

Noi lavoriamo ovviamente anche con le Capitanerie di Porto, da Margherita di Savoia sino al brindisino. Laddove ci giungono segnalazioni interveniamo e recuperiamo anche quelle spiaggiate, se ancora vive. E poi anche loro vengono sottoposte a tutta la trafila dei controlli clinici. Una volta sottoposte le tartarughe, sia le spiaggiate che le pescate, ad un check up completo, quelle riconosciute in buone condizioni vengono destinate alla liberazione, mentre le altre ricoverate per offrirgli cure sino alla guarigione.

Il furgone del Centro percorre il viale di Veterinaria, parcheggia in retromarcia su di una rampa, dalla quale scendono ad accogliere le nuove arrivate, precedentemente allertati dell’arrivo puntuale da un messaggio in un gruppo dedicato di wathsapp, studenti, laureandi, dottorandi e stagisti in camice che guidano un carrello. Mentre i ragazzi vociferano attorno alle conche piene di tartarughe ferite coperte da asciugamani bagnati, il Professor Di Bello e Salvemini si scambiano i quotidiani saluti di rito arricchiti di tutte le informazioni pertinenti della giornata. Luoghi dei recuperi, orari e i nomi. Si, nomi. Per l’unicità che devono avere, per non ricadere in sterili codici alfanumerici, a fronte nella grande mole di registrazioni da fare si scopre che oltre all’estro del momento e delle circostanze peculiari legate al ritrovamento dell’animale, ci si affida ad un catalogo di giocattoli per scegliere e battezzare le tartarughe. Quella vista sbarcare all’alba è stata chiamata Guendalina.

Prima puntata

Di seguito il link alla seconda parte

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.