Stanley Kubrick voleva far un film che fosse fondamentalmente un’opera di analisi psicologica e sociale e che indagasse sul condizionamento psicologico come arma di controllo degli individui da parte dei regimi totalitari
Stanley Kubrick
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Dalla regia alla magistrale interpretazione di Jack Nicholson nel ruolo del protagonista Jack Torrance, dalla trama alla scelta delle locations (reali e ricostruite), dalla fotografia ad alcuni dialoghi diventati dei cult: tutto contribuisce in modo determinante al successo della pellicola.
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Summa delle manie personali del regista, il percorso espositivo è anche espressione di quel “control freak” –per usare un termine inglese- non solo nella composizione dell’immagine cinematografica, retaggio dello sguardo di quel ragazzo che prima di essere Stanley Kubrick era stato il fotografo del “Look”, ma in tutte quelle cose che precedono e seguono la creazione di un film.
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E’ proprio il viaggio onirico che compiono i due protagonisti a scatenare la loro crisi, l’annullamento delle loro certezze coniugali. Sono i loro sogni e le loro fantasie a portarli al limite, esattamente come aveva fatto Kubrick durante le riprese.
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Era solito dire: “Sono tutti e nessuno. Datemi un personaggio e sarò qualcuno, toglietemelo e non resterà nulla”, dove non si avverte tanto il facile pirandellismo dell’uno, nessuno, centomila, ma piuttosto l’angoscia del grande attore alle prese con il vuoto.
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La Luna appare e scompare, cambia la sua morfologia e con essa il tempo. Per questo l’uomo le ha sempre attribuito un valore fortemente simbolico legato soprattutto all’idea della resurrezione, del trionfo della vita sulla morte.
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Ebraica, la spirale distruttiva dei personaggi di Stanley Kubrick, spiegata da sua figlia Katharina
Fa un certo effetto sentire la figlia di Kubrick chiamare suo padre “Stanley” per tutta la serata. Forse è un modo per relazionarsi meglio con gli spettatori, o forse continua a seguire la regola di non chiamarlo “daddy” in pubblico, in segno di un’affettuosa obbedienza verso quel papà che le diceva: «trova qualcosa che ami e falla davvero bene».
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Liberamente ispirato al romanzo di Philip K. Dick Il cacciatore di androidi del 1968, la pellicola di Ridley Scott è ancora oggi considerato un cult, uno dei più importanti film di fantascienza della storia del cinema.
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Venne definita la fotografa dei freaks, la fotografa dei mostri, per quell’attenzione particolare agli “aristocratici della sofferenza” come li definiva lei, gli ultimi, i clochard, i circensi, le transgender e i malati mentali.
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Ogni volta che si parla di Stanley Kubrick si rischia di dire sempre le stesse cose.…
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