A Jericoacoara profumo di Bari, piedi nella sabbia si sfornano fcazz

by Fabrizio Stagnani

Siamo a Jericoacoara, in Brasile nello stato del Cearà. Jerì, così i più abbreviano il nome del paese, non conta neanche diciassettemila abitanti, tranne in periodi vacanzieri quando la popolazione arriva anche a triplicare. Tra le sue peculiarità, oltre lo splendore delle spiagge, della natura che le circonda e dell’accoglienza delle genti, c’è l’essere uno dei pochi punti della nazione carioca dal quale è possibile ammirare il tramonto del sole nell’oceano.

Autoctoni e turisti sono soliti ritrovarsi sulle dune per salutare la nostra stella che si va a nascondere dietro l’orizzonte. 
Per arrivarci ci vogliono oltre quaranta minuti di macchina senza asfalto sotto le ruote. Deserto, sabbia, la stessa che ricopre il suolo di tutto il paese. “Siamo immersi nella sabbia. Jericoacoara non ha strade asfaltate. Alcuni negozi, alcuni ristoranti, hanno come pavimento la sabbia, non c’hanno neanche i mattoni a terra!”. Una volta lì, un italiano, un barese in particolar modo, più che dal tramonto nel mare, di certo girando per le stradine, verrebbe attratto da un odore, un aroma inequivocabile. Quello che a qualsiasi ora del giorno nel capoluogo pugliese manda a tutti in corto circuito il senso di sazietà, il controllo della salivazione ed il desiderio di rimuovere per sempre la parola “dietologo”, o peggio ancora “nutrizionista”, dalla memoria. Quello della “fcazz”! Ebbene si, e l’idea di essere preda di una allucinazione verrebbe fugata proprio dalla scritta cubitale “FCAZZ” fra le proposte del Kitestrophik Surf Club affissa sul palo all’ingresso.

“Massimo Rizzelo, il proprietario del locale, ed io approdammo in questo paradiso ormai diciotto anni fa. Dopo una serie di andirivieni dall’Italia, lui s’innamorò e poi sposò con una bellissima ragazza brasiliana, andando a stanziarsi. Ora ha due figli e vive lì da ormai quattordici anni. In madrepatria gestiva un pet shop.” A parlare fino ad adesso e rivelare la notizia è un leggendario figuro della scena culturale alternativa pugliese, Pino Maiorano. Palesino, padre ideatore del Farfly e direttore creativo di Gipsyland, il quale preferisce andare solo a svernare a Jerì, pur ovviamente essendo di casa ed anche un riferimento sul territorio. 

Già quattordici anni fa la focaccia era stata esportata a Jericoacoara. Quando Massimo portò la sua compagna a Bari per farle conoscere la famiglia, sua madre già le insegnò come preparare la ricetta originale. Ma la storia non si è fermata, ha preso andazzi ancora più ortodossi con risvolti anche comici. Rizzello, qualche anno fa, ha assoldato nella sua cucina un ex cuoco de “I Due Ghiottoni”, noto ristorante nei pressi del Teatro Petruzzelli. Peppino, altro in merito alla sua anagrafica è meglio non dire. Barivecchiano DOC, il quale non parla altro se non in vernacolo impiastricciato di portoghese, ma sembra comprendersi magicamente e misteriosamente con i pescatori fornitori del ristoro che a loro volta non parlano altro se non lo slang della spiaggia. Peppino, dal suo arrivo, con i suoi geni, ha innalzato il rango della focaccia proposta, ma ha dovuto rinunciare non di meno che al suo nome. Vicenda colorita riporta che “pepino”, pur se con una “p”, in portoghese voglia indicare un cetriolo, e quindi a seguito di innumerevoli sfottò lui ha dovuto prediligere per presentarsi il secondo nome, Antonio. Che cosa tocca fare pur di continuare a portare in alto la bandiera della baresità ed i suoi sapori. 
“Devo dire che la focaccia è buona, per essere in Brasile! Dove la farina non è la stessa, come l’acqua ed il lievito non è di equal qualità! Ma alla fine se vuoi sentire quella sensazione di Bari è perfetta. La vendono anche farcita, tagliata ripiena di insaccati ed altro. Noi ce la mangiamo alla barese, calda accompagnata da una birra ghiacciata.” Le parole di Pino inorgogliscono, tocca comprendere però l’impatto del prodotto su chi è abituato a mangiare feijoada, moqueca, churrasco e acarajé. “Gli piace, gli piace. Si stanno affezionando. A dire la verità però l’apprezzano di più gli italiani, la riconoscono subito. Facciamo kitesurf per due, tre, ore, al ritorno stiamo scattati di fame! Tutti appena sulla spiaggia si prendono subito un bel pezzo di focaccia…con la birra!”

Ad honorem la notizia ha dovuto passare per prima il vaglio del Presidente del Consorzio della Focaccia Barese, Giovanni Di Serio il quale emozionato ha commentato: “Sapere che la fcazz barese sia arrivata in una località così lontana e sperduta prima di tutto mi rende immensamente felice. Questo è lo scopo della mia vita. Vedere la focaccia barese in tutto il mondo. La notizia non fa altro che darmi coraggio per andare avanti ad ottenere il marchio IGP. Tutti gli sforzi fino ad ora impiegati non sono stati vani – quasi commosso prosegue – l’abbiamo portata a Santo Domingo, a Dubai …li ho formati io… in Spagna, in Canada. La mia convinzione è che la focaccia barese deve stare in tutto il mondo.” Serve approfondire con lui la questione dell’autenticità. “Immaginando che non usino proprio ingredienti riportati nel disciplinare l’IGP. Quando sarà registrato il marchio, a Jericoacoara, non la potranno chiamare più “focaccia barese”.

Sino ad allora lo possono fare tranquillamente. Una volta che avremo ottenuto la certificazione potranno lasciarle semplicemente il nome di <<Fcazz>>. Se in seguito riuscissero ad importare la semola, le olive, l’olio extra vergine, e, perché no, anche il lievito madre allora ne riparleremo. Per il resto sono certo che dell’ottimo origano e dei pomodori giusti li possano coltivare anche lì da loro. Senza contare che questi ultimi ci arrivarono in europa proprio dalle americhe. Resta un mio sogno realizzato sapere che in un villaggio del brasile ci sia profumo di baresità. Un altro obbiettivo è conferire alla focaccia anche il marchio STG, specialità tradizionale garantita. In maniera tale che si possa diffondere ancor più la sua cultura, difendendo il prodotto dagli sciacalli del mercato in favore dei piccoli produttori. Intanto segno tra le prossime cose importanti da fare un viaggio in Brasile per andare ad incontrare e conoscere questi ragazzi.”

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