Abbazia di San Nicola a Tremiti: sbriciole di storia

by Maria Teresa Valente

Siamo sull’isola di San Nicola, la più affascinante, dal punto di vista architettonico e storico, dell’arcipelago delle Tremiti, le perle dell’Adriatico. Le ammaccature sulla facciata della maestosa abbazia di Santa Maria a Mare, raccontano di colpi di cannone piovuti ad opera degli inglesi nell’Ottocento, che scalfirono ma non distrussero uno dei tesori di Puglia.

La leggenda vuole che sia stata fatta edificare da un eremita giunto sull’isola nel III secolo d.C. a seguito di una richiesta della Vergine stessa che gli apparve in sogno esprimendo il desiderio che nascesse, proprio in quella terra rocciosa circondata dal mare, un magnifico tempio in suo onore. A tal fine, si narra che la Vergine fece trovare all’eremita il tesoro dell’eroe greco Diomede le cui spoglie pare siano state sepolte proprio su quest’isola insieme a monete e preziosi monili.

Secondo la storia, invece, l’abbazia nacque nell’VIII secolo come appendice della celebre abbazia di Montecassino e venne abitata da monaci benedettini che interruppero fin da subito la loro religiosa solitudine assediati da pirati d’ogni sorta. Costretti dagli eventi, per difendersi in quel lembo di paradiso ancora così primitivo e selvaggio, oltre all’ora et labora dovettero ben presto adottare un altro imperativo categorico: diventare liberi. E così il padre superiore, il cui nome era di per sé un programma, tale abate Desiderio, guidò una rivolta per distaccarsi da Montecassino. Papa Alessandro II lo sostituì con altri abati, che uno dopo l’altro anziché domare la rivolta si fecero ammaliare dalla voglia di libertà che trasudano queste isole per diventare essi stessi dei ribelli. Finché anche il papa perdette la pazienza e nel 1236 fece espellere dalle Tremiti i benedettini sostituendoli con i cistercensi.

Nel frattempo erano trascorsi due secoli e l’abbazia aveva accumulato tesori immensi e grandi proprietà terriere anche sulla terraferma, divenendo ancor di più un’ambita preda per turchi e corsari.

Un evento che sembra uscire dalle pagine di un libro di Salgari si consumò nel 1321, quando una flotta di pirati proveniente dalla Croazia arrivò alla rada di San Nicola. Accadde che due uomini, fingendosi pescatori, scesero a terra e, facendosi a piedi tutta la lunga rampa che anche oggi si deve percorrere per arrivare fin su all’abbazia, si presentarono al padre superiore. Piangendo disperatamente, raccontarono che un loro compagno era morto durante il viaggio e chiesero di poterlo seppellire da cristiano. Il padre superiore, colto da humana pietas, ordinò a sei dei suoi frati di scendere giù alla spiaggia per prendere la salma di quel povero marinaio. Quando i frati giunsero sulla riva del mare, era ormai calata la sera e da un’occhiata fugace alla bara che era a bordo di una delle tre imbarcazioni non poterono che constatare che quanto era stato loro raccontato corrispondeva alla realtà ed il pover’uomo doveva essere cristianamente sepolto. Venne ben presto disposta una processione con l’intera ciurma, i sei frati e la cassa del ‘morto’ portata a spalla da alcuni marinai. Essendo buio, per salire lungo la rampa ogni marinaio teneva una fiaccola nella mano destra, mentre la mano sinistra (dettaglio che ai frati era sfuggito poiché distolti dall’evento di un morto forestiero, cosa mai successa sull’isola) ben nascosta in tasca. Giunti nell’abbazia, tra urla di (finto) dolore dei corsari e le preghiere (vere) dei cistercensi, improvvisamente dalla bara balzò fuori il morto che era più vivo di tutti i vivi presenti alla funzione. Le torce furono spente all’improvviso, dalle tasche vennero estratti i pugnali ed iniziò il massacro. Quasi tutto il favoloso tesoro di San Nicola finì nelle stive delle tre navi, mentre l’isola di San Nicola (per paura di nuove incursioni) restò disabitata per oltre trent’anni (fonte dell’avventuroso racconto: Isoletremitialbergorossana).

Agli albori del Quattrocento, papa Gregorio XII convinse finalmente un altro ordine, quello dei canonici regolari dei lateranensi, ad andare ad abitare a San Nicola. I monaci lateranensi, per evitare assalti a sorpresa, trasformarono il convento in una fortezza, la cui imponenza è ancora oggi ben visibile. L’abbazia cominciò così a rifiorire ed estese i suoi possedimenti in Puglia, in Molise e in Abruzzo. Poi, verso la fine del Settecento, Ferdinando IV di Borbone soppresse l’abbazia e vi istituì una colonia penale dove vennero mandati i ‘lazzaroni’ napoletani. Per gli esiliati partenopei più che una punizione si rivelò un premio: le isole, denominate l’orto del paradiso, erano così belle che vi misero su famiglia ed oggi nell’arcipelago pugliese è distinguibile chiaramente nei discendenti il dialetto napoletano.

Tra incursioni corsare, cannonate inglesi ed attacchi turchi, ha preso forma nei secoli una delle abbazie più fascinose d’Italia, incastonata su un’isola che impreziosisce come un diamante. L’elegante facciata con la Madonna seduta in trono con il Bambino in grembo, il sobrio rosone circolare, il mosaico pavimentale dell’XI secolo, il crocifisso ligneo con il Cristo dagli occhi sbarrati, unico esempio di iconografia greco-bizantina in Italia, la nicchia con la Madonna Nera di “Santa Maria a Mare”risalente al XII secolo, i graffiti sulle pareti lasciati dai pellegrini in viaggio verso Gerusalemme. Ogni angolo del maestoso edificio trasuda storia.

Purtroppo, però, l’imponente abbazia, seppur meta di migliaia di turisti, giace incredibilmente abbandonata, tra pareti che si sbriciolano ed il prezioso mosaico all’interno della chiesa che pian piano sta scomparendo. Per non parlare di stanze che cadono a pezzi il cui accesso non è stato interdetto, mettendo a rischio l’incolumità di chi incautamente vi accede.

Quello che non riuscirono a fare i pirati ed i turchi, stanno riuscendo le istituzioni. Con l’auspicio che si possa intervenire al più presto per salvare questo prezioso tesoro di Puglia, prima che sia troppo tardi.

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