«La cultura non è solo un godimento intellettuale, ma una connessione con la contemporaneità». Il prof Guglielminetti a caccia del 70% di italiani che resta fuori dai circuiti turistici culturali

by Valeria Nanni

E riprende il turismo, ovviamente di pari passo con le riaperture dei luoghi d’arte. Sono ancora mostre e collezioni permanenti ad attrarre i visitatori nei musei. Gli Uffizi hanno già dichiarato numeri da record, in soli sei giorni 21 mila presenze.

Ma su chi siano questi visitatori c’è da discutere, specialmente per comprendere in che termini si possa parlare di ripresa del turismo culturale. E per farlo abbiamo ascoltato Mario Guglielminetti, docente di Marketing all’Università di Torino, che ha compiuto una indagine dei mercati culturali da marzo 2020 e dice di poter dichiarare che il virus ha solo accelerato dei processi già in atto. Vediamo in che modo.

Simbolo del progresso tecnologico è il turismo. Ma la ripresa post pandemia come trova l’industria turistica italiana?

A livello macroeconomico in un solo mese il prezzo del petrolio è andato sotto lo 0. Il che avrebbe dovuto portare ad un accelerazione del potenziamento delle energie alternative su cui da tempo si lavora. Tuttavia questo ci ha colto impreparati. Perché tutto il lavoro sulle energie rinnovabili alternative al petrolio è proceduto a lentissimo passo, senza crederci poi più di tanto, cullandosi su un eterno presente. Così un anno dopo abbiamo letto la notizia della congestione del canale di Suez, evento dettato dal disperato tentativo di far rialzare il prezzo del petrolio. Questo dato offre un paragone con l’industria turistica. Ecco al bivio i mestieri turistici e culturali: ritornare all’offerta culturale con la quale si è fino ad ora lavorato, oppure ripensare ad un turismo più giusto per tutti? Ma la seconda alternativa comporta rivedere completamente le strutture ricettive e ripensare all’offerta turistica. Questa attuale non è adatta ed insufficiente, perché costruita per soddisfare i flussi del turismo di massa spesso nominato “mordi e fuggi”.

Così il turismo affronta un grande problema economico. Lei crede che sia giunto il momento di ripensare davvero ad una offerta turistica lenta e sostenibile, in alternativa a quella per il turismo di massa?

Dovrebbe essere il momento giusto ma le scelte degli operatori turistici raccontano altro. Ora che si cerca di riprendere la stagione turistica si guarda come punto di arrivo ai numeri del turismo pre covid. Ed ecco il problema. Ma si ripensa solo agli stranieri che arrivavano a gruppi di 500. Al turismo lento e sostenibile non solo non si pensa, lo si teme, perché si crede che non potrà mai far uscire dalla crisi.

Quale è la qualità dell’accoglienza del paese Italia in questo momento?

Il nostro è un Paese piccolo e concentrato. Dalle Alpi alla Sicilia abbiamo una incredibile varietà di cultura e il piccolo Paese si rivela a ben diritto come uno scrigno di opere d’arte. In Italia si contano 55 siti Unesco e 307 città d’arte. Peccato che la maggior parte di essi siano completamente esclusi dai circuiti dell’industria culturale. Una precisa scelta che guarda alle masse ed esclude di catturare l’interesse di più della metà degli Italiani. Chi ne resta fuori, è un buon 70 % della popolazione dello stivale, che non visita il proprio territorio. I grandi sconfitti sono gli italiani. Non esiste un tour operator per la domanda italiana. Nel nostro Paese il 30 % è costituito dalla popolazione colta, il restante 70% ha poche pretese, e non è una questione di possesso di titolo di laurea. Solo il 18 % della popolazione in Italia è laureata. Il turismo di massa straniero si accontenta di spiegazioni serie ma corte e di basso livello. Il turismo italiano colto trova la sua offerta. E cosa ne facciamo le 70 % della popolazione? Ecco l’anello mancante nel target. Un bacino di utenza troppo numeroso per essere ignorato. Questo segmento di popolazione non partecipa agli eventi culturali organizzati per italiani.

Se corrisponde solo ad 1/3 della popolazione chi in Italia regge il mondo della cultura, come si comporta il restante 70 %?

Sono tutti coloro che non partecipano abitualmente alla domanda culturale. Vuol dire che c’è chi si avvicina attraverso la scuola (gite scolastiche) o per motivazioni sentimentali (in viaggio col partner) o per offrire una didattica considerata giusta per i figli (portare i bimbi al museo o organizzare per loro una gita). Ovviamente sono iniziative fin troppo sporadiche e sconnesse tra loro. Perché non c’è un contesto valoriale culturale nel nostro Paese. Le guide turistiche a mio parere devono entrare nelle scuole in maniera strutturata. La leva maggiore per sollevare l’industria culturale infatti è costituita dai ragazzi di scuole medie e superiori. La cultura non è solo un godimento intellettuale, ma una connessione con la contemporaneità. I ragazzi devono sapere che c’è la società che pensa per loro, se non hanno una famiglia alle spalle capace di guidarli nella scelta culturale.

Dunque lei suggerisce di costruire lo scenario culturale dalle scuole medie, non dalle elementari.

Assolutamente si. C’è un grande potenziale nelle scuole. Invece è diffusa l’idea che i ragazzi siano stupidi, non guidati, apatici. Ma questo è un luogo comune di un paese ammuffito. Gli stessi insegnanti sono lasciati completamente soli nella crescita di questo potenziale che così non può trasformarsi in azione. Gli studenti sono dimenticati come l’intero mondo culturale e non soltanto in piena pandemia, perché lo erano già prima. I fondi per la cultura dovrebbero essere devoluti per preparare un’offerta turistica per le scuole.

Oggi chi sceglie una visita guidata è più consapevole, ne sente fortemente il bisogno, vuole avere a tutti i costi quell’esperienza culturale. Crede che questo sia dovuto ad un cambiamento della condizione del turista?

Il bisogno del turista diventa esigenza di completamento. Il valore aggiunto che permette ad una persona di avere qualcosa da raccontare. Invece l’atto di volontà di avere un momento formativo è stato studiato molto in questo secolo in termini di marketing culturale, perché fa parte della volontà del mercato. Le esperienze oggi dettano il budget, sono importanti da comprendere. L’accelerazione dei flussi turistici di massa pre covid ha illuso gli operatori culturali e turistici di possedere un’offerta imbattibile. Incapaci di chiedersi cosa verrà dopo, si sono visti come immortali. Ma questo è valso anche per altri settori economici. Il digitale ha reso tutti molto più consapevoli ma di una nostra eternità. Ci sentiamo più ascoltati, partecipi anche se non partecipiamo più a nulla. Questa è una società che crea barriere e il digitale le ha alzate. Non è la democrazia che ci aspettavamo di creare, ma perchè non si è capito nulla delle potenzialità del digitale.

Come possono diventare mercato culturale quel 70 % di italiani non partecipi?

Ci sono 3,73 milioni di abitanti in Toscana. Ecco questi sono il mercato. Il mercato inizia quando apriamo la porta di casa. La cultura va spiegata anche se è davanti agli occhi, non bisogna darla per scontata. Così si prende quel bacino di utenza che oggi non risponde alle offerte culturali fatte e costruite esclusivamente per quel turista italiano colto e dunque sul 25-30 % della popolazione. Se presentiamo i Beni Culturali come valore significativo, a partire dalla scuola media, abbiamo costruito anche il mercato.

Il modo per ripartire è sotto i nostri occhi, un lavoro utile adesso ed utilissimo domani. Ce lo auguriamo.

Mario Guglielminetti (Torino, 1968) è professore e ricercatore nel settore della trasformazione digitale applicata all’economia. E’ titolare di corsi di comunicazione e marketing digitale presso l’Università di Torino e l’Istituto per l’Arte e il Restauro Palazzo Spinelli di Firenze. Ha pubblicato nel 2015 “Le comunità in movimento. Dal consumo alla partecipazione culturale nelle reti digitali” (Carocci). E’ direttore marketing della Fondazione Bottari Lattes e referente per l’Italia della Biennale di Parigi e del Forum mondial des économies de l’Art.

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