Silvio Maselli, da tecnico puro ad assessore alla Cultura.”Ora, contenitori anche nelle periferie”

by Daniela Tonti
silvio maselli

La strutturazione delle politiche culturali di un territorio passa attraverso gli assessorati comunali alla cultura, primi avamposti locali di raccolta, ricezione e organizzazione delle nuove idee oltre che dell’agenda annuale degli eventi che mai (o quasi mai) raccoglie il consenso popolare. Da sempre si dibatte sul ruolo che essi debbano avere. Come si sceglie la programmazione? Secondo i gusti dell’assessore di turno? E cosa è cultura?

Il modello Bari da cinque anni sta tracciando una direzione interessante nella genesi delle scelte che portano alla costituzione di un’offerta culturale cittadina. Le decisioni discrezionali sono state scremate all’osso, le code di questuanti dietro la porta si sono ridotte e l’approccio degli attori all’interlocutore pubblico è cambiato.  Tutto questo grazie a un bando aperto che disegna l’offerta della città di anno in anno.  Questo ha molteplici vantaggi tra cui liberare tempo e risorse per dedicarsi a progetti originali che nascono in seno alla tecnostruttura, come il bellissimo Bari Piano Festival. Nato come un evento intorno a un pianoforte, un grande pianista e l’alba in riva al mare è diventato nel giro di poco tempo un attesissimo festival.

Bonculture ha incontrato l’assessore Silvio Maselli, tecnico puro prestato alla politica con un trascorso nell’industria cinematografica da direttore dell’Anica a direttore di Apulia Film Commission, una creatura nata dal nulla e che sotto la sua direzione ha inanellato una serie di successi interminabile.  Appassionato di musica, di viaggi e inutile dirlo di cinema e grande divoratore di libri, è alla fine del suo mandato, ma chi lo conosce giura che ha già un piano b pronto in tasca.

Assessore, partiamo dall’inizio, com’è stato il primo approccio per un tecnico pragmatico e che proveniva da un ambiente così differente?

È stata all’inizio durissima passare da un’esperienza manageriale a una politica-istituzionale, uno shock!  Quando gestisci un’impresa, anche se nel mio caso a capitale pubblico, hai dei margini di libertà operativa che vengono codecisi con gli amministratori.

Quando amministri invece hai la massima libertà creativa puoi decidere di fare una cosa ma ti devi confrontare con un contesto, almeno in una prima fase, molto duro nell’impatto: ero una specie di alieno e in parte lo sono tutt’ora rispetto a un ceto politico classico che anima i consessi politico amministrativi locali, così come quelli nazionali. Poi ho imparato a convivere con questo nuovo contesto e prendere le misure e credo di aver trovato un buon equilibrio tra il consenso, le istanze che arrivano dal territorio e il desiderio mio di imprimere al contesto un’accelerazione, un’impronta mia.

Da cosa sei partito?

Partivamo da una città che, nel corso della sua storia, tranne che per la Fondazione Petruzzelli, non ha mai avuto alcuna istituzione culturale. A Bari se ci pensate non esistono luoghi stabilmente deputati alla diffusione e al consumo culturale e in questo senso abbiamo lavorato. Restituire spazi all’arte e al sogno di una città internazionale.

Ti riferisci al Margerita?

Mi riferisco al Margherita, al Teatro Piccinni, all’Auditorium, al Museo Civico, al Museo Archeologico di Santa Scolastica, al Teatro Margherita, allo Spazio 13 e al rilancio delle Officine degli esordi che a vario titolo io e i miei colleghi abbiamo creato da zero o inventato e rilanciato. Lo stock istituzionale di luoghi e funzioni deputate al consumo e alla distribuzione culturale era molto basso, che è un caso unico nella sua negatività nel Mezzogiorno, perché invece Palermo e Napoli sono da tempo dotate di luoghi e di istituzioni, così come anche di importanti fondazioni pubbliche e private.

Che città è Bari? Esiste la borghesia illuminata che investe in cultura?

Bari è una città che ha sempre avuto una borghesia abbastanza solida soprattutto dedita al commercio, al business edilizio e finanziario, all’immobiliare o nell’economia dei servizi. Pochissimo, invece, nella speculazione intellettuale, nell’investimento in arte e cultura. Oggi siamo l’unica città del Mezzogiorno che attrae capitali privati e pubblici grazie all’art bonus. Siamo una città che è riuscita a riaprire tutti questi contenitori e a tempo di record – devo dire in alcuni casi -, come per il Margherita, perseguendo non solo il vecchio splendore, ma anche qualche nuova ambizione che è l’obiettivo di ogni amministratore locale: reinventare la città e le sue funzioni.

A Varese tempo fa fu proposto un sondaggio ai cittadini ‘se tu fossi l’assessore alla cultura cosa faresti per prima cosa’ e oltre il fatto che alcune risposte furono davvero molto interessanti, questo sondaggio rivelò tutte le insidie insite in questo ruolo. Si finanzia quello che piace all’assessore? Perché questo è quello che pensa la gente. E cosa è cultura, la sagra o il concerto o la mostra del debuttante?

Bella domanda davvero! Io personalmente ho sempre interpretato il mio ruolo non come il direttore artistico di Bari cioè non mi sono mai fatto prendere la mano dall’idea che io dovessi prendere iniziative ogni giorno per stare sull’agenda culturale della città. L’obiettivo di un assessore alle culture, come lo abbiamo voluto declinare, è di favorire il pluralismo culturale. Tranne nei casi in cui non è proprio possibile concedere il nostro patrocinio.

Per esempio?

Come giorni fa mi è capitato di non fare dinnanzi a una richiesta di commemorazione del matrimonio di reali borbonici. C’è questa tentazione che sta tornando, purtroppo cavalcata da alcuni ceti intellettuali poco documentati dal punto di vista storiografico ma spalleggiati dai media tradizionali.

E’ stato proposto come un corteo storico, ma lei come ha argomentato il rifiuto?

Non ho voluto esplicitamente concedere il patrocinio spiegando le ragioni, visto che qualche anno fa ho finanziato un grandissimo convegno di studi, con storici e storiografi importanti, sui temi del risorgimento italiano e della fase pre e immediatamente post unitaria sul brigantaggio. Non si può essere nostalgici del passato, io sono repubblicano convintamente democratico e costituzionale. Non amo e anzi condanno i rigurgiti neo borbonici, come neo savoiardi.

A quali principi si attiene quindi l’Assessore, alla maggioranza politica che esprime?

Il ruolo di un assessore è quello di attenersi innanzitutto ai principi della propria coalizione politico culturale, il cui Sindaco ti ha dato la delega. Il nostro è un sindaco di centrosinistra che viene da una storia di socialismo democratico ed è un sincero antifascista e i suoi assessori sono tali. Io tra loro. Noi dobbiamo vigilare che la città rimanga su un solco di chiara istanza democratica da un lato e dall’altro favorire il pluralismo culturale. Condanniamo il decreto Salvini sulla in-“sicurezza” e insieme operiamo per il benessere della comunità locale, senza operare distinzioni tra razze, culture, religioni, appartenenze.

Come funzionano i bandi per gli eventi? E come viene nominata la commissione? Tu ne fai parte?

No, assolutamente io non ne faccio parte. Eroghiamo contributi con un bando la cui valutazione viene affidata a una commissione presieduta dal direttore della ripartizione, perché ci vuole la funzione amministrativa apicale e poi da un elenco di persone esterne all’amministrazione che si sono candidate. Cittadini che hanno titoli dal punto di vista culturale e che in questi cinque anni hanno composto le commissioni e valutato i progetti migliori che rispondono a un regolamento che abbiamo redatto insieme alle associazioni di categoria e sindacali. Il bando prevede un contributo massimo all’80% dello sbilancio, quindi se costa dieci ed hai scoperto due, il comune ti dà sino all’1,6 restante.

Avete comunque fatto anche notevoli scelte di ordine creativo

Bari piano festival è una cosa che io ho promesso alla città di avere che è un’idea che ho lanciato un po’ ispirandomi ai festival di questo tipo in giro per il mondo.  Bari è la seconda città d’Italia per numero di iscritti al conservatorio e abbiamo a soli 35 km un altro conservatorio a Monopoli. Questo ci dice quanta domanda di pianismo c’è. Abbiamo alcuni dei più grandi pianisti internazionali: Emanuele Arciuli, Benedetto Rupo, Beatrice Rana per fare i tre nomi più importanti e il primo evento con il concerto di Arciuli all’alba a Torre Quetta nel 2017 fu un successo travolgente. A quel punto non abbiamo potuto fare altro che dare vita a un festival, una cosa totalmente creata da noi a titolarità comunale. Poi abbiamo fatto pochissime altre iniziative dirette, io rifuggo che l’assessore debba essere il super mega direttore della città. Ci sono tanti direttori artistici a Bari, quattordici teatri oltre settecento associazioni iscritte all’albo. E poi, con il Teatro Pubblico Pugliese, organizziamo una bellissima stagione di prosa e danza, che riscuote sempre maggiore successo, in attesa di tornare nella casa della prosa, quel Teatro Piccinni che stiamo per restituire alla città.

Esistono le file dietro alla porta?

Faccio l’assessore non il commission editor di un grande network televisivo: non posso scegliere il film che mi piace! Quindi con il bando abbiamo trovato un buon equilibrio

C’è la fila dietro la porta perché ancora in tanti scambiano l’assessore alla cultura per il salvadanaio a cui chiedere due soldini per realizzare i propri sogni. Spesso i sogni sono mediocri altre volte sono straordinariamente affascinanti e ambiziosi: a tutti do la stessa risposta. C’è un bando, fate domanda.

Quali sono le sfide per il futuro?

Tantissimo va fatto sulle periferie perché la distribuzione dei contenitori culturali è diseguale e le funzioni culturali sono dedicate a quella parte della popolazione più sensibile. Eppure sono convinto che tra i tanti che ancora non frequentano i teatri, la danza, la musica o le mostre ne rimarrebbero colpiti anche loro. Tocca a noi arrivare al loro cuore.

Ti candiderai?

Sono un tecnico puro, con una storia manageriale, ma di impegno politico culturale che si mette a disposizione dei politici che hanno chiesto il consenso e l’hanno ottenuto. Sono fatto di un’altra pasta – né migliore, nè peggiore, ma non so chiedere voti per me stesso – quindi no, non mi candiderò.

Cosa ti manca di più del cinema? Ci sarà un ritorno di fiamma professionale?

Non ho mai abbandonato il cinema. Continuo a seguire i progetti di amici, a leggere romanzi e copioni e a dispensare consigli o consulenze. Spesso penso a progetti che mi piacerebbe produrre e certamente non posso escludere di tornare lì dove tutto per me, quasi vent’anni fa, è iniziato.

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