Sponz Fest, una settimana nell’immaginario di Vinicio Capossela e di un intero territorio, l’Alta Irpinia

by Antonella Soccio

“Che la peste non vi colga, perché denunziandola noi ci renderemo immuni”. Questo, uno dei tanti appelli di Vinicio Capossela nella settima edizione di Sponz Fest appena conclusa, in cui si sono mescolati la Trenodìa, i cortei funebri come forma d’arte, orazioni civili, musica e il concept, fatto territorio e racconto vivo, dell’ultimo album del cantautore “Ballate per uomini e bestie”, uscito lo scorso 17 maggio 2019. Il Povero Cristo, sceso dalla croce e che va ascoltando voci, è stato cucito addosso a Mimmo Lucano, grande ospite della settimana.

Ma invece di un fratello 
vedere nel suo simile il primo da affogare 
se appena è un po’ più debole…

Da sette anni facciamo una specie di miracolo in Alta Irpinia, una delle tante terre interne che hanno subito un forte spopolamento, a cui la contemporaneità riserva un destino di saccheggio energetico, interramento di rifiuti, scomparsa di servizi”, ha scritto in un suo articolo Vinicio.

La peste, mirabile pezzo dell’album e tema dell’edizione del 2019, è quindi, come egli stesso ha spiegato, pestilenza morale, devastazione del senso di comunità, caccia al capro espiatorio, speculazione sulla paura del contagio, ma anche come in Antonin Artaud, liberazione e azzeramento delle regole. Sottaterra si va in tempi di peste. E sottaterra sono oggi tutti coloro che non riescono a prender parte alla competitiva guerra permanente dell’odio e del consumo. E “della peste virale che libera e fa uguali”.

La buona novella è stata affidata ai tanti retori delle orazioni civili di queste sere. Gli attori Elio Germano e Michele Riondino su tutti.

“Noi siamo i deboli, siamo i figli dei padri ridotti in catena, ma avete la vostra cappella gentilizia da cui ci guardate, noi siamo le povere pecore savie dei nostri padroni. I padroni hanno dato da mangiare quel giorno e si era tutti fratelli come nelle feste dei Santi, abbiamo avuto il fuoco e la banda, noi siamo rimasti la turba dei pezzenti, quelli che strappano ai padroni le maschere coi denti”, ha letto da Rocco Scotellaro del 1948, un grandissimo Elio Germano.  “Io resto qui, tra stoppie che non si bruciano più, resto in questo campo di giorni che graffiano col loro filo spinato che recintano le labbra con il ferro filato in questo terreno di gioco, in questo poligono di tiro al bersaglio grosso. Io resto qui tra i copertoni e l’amianto che la gente di questo mio qui disperde tra i campi, tra le frasche dell’allodola che muore, ho parte del mio cuore chiuso nei barattoli che tengo nelle tasche, in una busta appesa al collo, con lettere per voi. Ho le foto di voi tutti”, l’orazione di Michele Riondino, discreto, a lutto attorniato dalle donne e dagli uomini in nero, per le lamentazioni.

Lo Sponz Fest iniziato con la Banda della Posta di Calitri si è concluso con il concerto della Banda della Posta. Ospite Vinicio Capossela, e con la straordinaria partecipazione di Cicc’ Bennet, in piazza a Sant’Angelo dei Lombardi dopo la musica straordinaria al castello di Giovannangelo De Gennaro e Peppe Leone.

Come sempre sono accorsi in Alta Irpinia tantissimi giovani, fan di Vinicio Capossela, in cerca della sua creatività, dei luoghi che arricchiscono la sua musica, vivendo la lentezza dei “giorni interminabili del Meridione” per godersi la scia.  

Tra loro anche Fabrizio Stagnani, pugliese, attivista WWF, dipendente regionale al Dipartimento di Cultura e Turismo della Regione Puglia e collaboratore di Bonculture. Un Vinicio addicted, come si definisce, che per la prima volta è riuscito a coronare il sogno di partecipare all’intera edizione di uno Sponz Fest.

“Siamo entrati nella sua magia, tutto il festival è un grande riassunto della sua poetica, della sua storia, della storia dei luoghi che ha vissuto e dei quali ha sentito parlare da piccolo”, racconta in esordio Fabrizio.

“Ci ha portato nel suo mondo, ci è stato facile sul palco cogliere più sfumature di quello che propone. Ci ha letto brani da Il Paese dei Coppoloni sotto il paese dei Coppoloni, spiegandoci cosa volesse intendere quando ha scritto quelle righe di stream of consciousness, ci ha spiegato meglio il senso di alcuni pezzi e poi ci ha fatto immergere in un immaginario, grazie alla Trenodìa, che condivide con la sua famiglia, considerato che la Trenodìa è curata dalla sorella Mariangela Capossela: Trenodìa è un corteo inteso come opera d’arte che è passato dalla Calabria, è giunto in Irpinia e arriverà a Matera, che è anche lo spunto del suo videoclip, Il Povero cristo di Daniele Ciprì. I concetti in chi si lo segue si sono riuniti in flusso di coscienza, ben definito, concreto ed immaginifico”.  

Quest’anno si sono alternati tantissimi artisti ogni giorno, Calitri e l’Alta Irpini ti sembrano cresciute dopo tante edizioni? “C’è una forte connotazione campana, si sono esibiti Enzo Avitabile, Raiz, tanti altri ospiti provenienti da questa terra, anche gli artisti così come tanti altri ospiti sono legati alla storia del territorio. Io credo sia un festival che pur non sempre andando incontro alle aspettative cresce e si allarga, è poliedrico.  Ci sono stati Enzo Savastano, Morgan, Young Signorino, proposte che allo Sponz sembrano poco calzanti, ma c’è anche l’idea di commercializzare e di far abboccare un po’ il festival, per renderlo più appetibile a chi non ama troppo il folk, la musica popolare e anche lo stesso Vinicio, che purtroppo può anche non piacere a tutti”.

Anche quest’anno l’Alta Irpinia si è interrogata, forse un po’ troppo e in maniera stucchevole sul senso del festival tanto che alcuni oppositori dello Sponz Fest si sono dati appuntamento a La Luna e i Calanchi del poeta e paesologo Franco Arminio ad Aliano. “Molti non riescono a comprendere l’accavallarsi dei due festival, sono dello stesso orientamento, delle stesse terre, avrebbero saggiamente potuto non far combaciare i festival”, è il commento di Stagnani.

Trenodìa

Spettacolo o esperienza? Capossela è stato uno degli antesignani delle performance all’alba, divenute ora un must un po’ in tutti i festival. Allo Sponz però l’arte all’alba resta qualcosa di più di un mero spettacolo. “Indubbiamente sono degli show, in sé li leggo come show, c’è un musicista, un palco, una location, ma sono spettacoli che grazie al territorio si vanno ad accumulare una struttura data dall’idea della salita al mattino sul Monte Calvario, da dove si godeva una splendida vista”, osserva Fabrizio da fan. Del resto ogni concerto all’alba dello Sponz non è mai stato un evento scelto a caso per riempire il palinsesto- perché quell’artista era libero ad esempio- ma un tassello del discorso pubblico che si vuole perseguire. Dal rebetiko a qualche altro progetto che si rivedrà spuntare altrove, dalla mente caleidoscopica dell’artista irpino.

“All’alba come al pomeriggio c’è una performance arricchita da un contesto, da un concetto, inserita in un grande contenitore che è lo Sponz”.

Il territorio riesce a farsi contaminare dai ragazzi che arrivano?

“Accade più il contrario, sono i giovani che si fanno contaminare dagli anziani. I luoghi, gli esercizi commerciali sono sempre stravolti dalla folla. C’erano empori a Cairano che non riuscivano a fronteggiare le masse che chiedevano frittate di spaghetti, formaggi, focaccette. C’è una massa di pubblico che vuole consumare: mi sembra che l’Alta Irpinia stia capendo cos’è ospitare dopo 7 anni di ospitalità diffusa. Calitri è il cuore, ma se trasli a Cairano, Sant’Angelo c’è sempre la novità. Può essere che nel loro abbandono li si trovi un po’ impreparati, sono stati i luoghi, gli anziani a contaminare i giovani: ho visto un sacco di persone anziane felici di incontrare folle di ragazzi brilli e freak. Le persone del posto non vedevano l’ora di entrare in contatto con i nuovi essere che affollavano i bar, le strade, i loro luoghi. Cercavano un contatto. Vedere queste folle di giovani li ha preciati”, rimarca Stagnani in gergo calitrano.

Ogni tanto qualche vecchietto si prendeva sottobraccio qualche bella ragazza e faceva qualche passo di danza”.

Una delle invenzioni più geniali di questi anni di Sponz Fest, che sono ricerche culturali e intellettuali di altissimo spessore lunghe mesi e a volte anni di lavoro per Capossela, è stato il ballodromo. Quest’anno non c’era l’immenso spazio per il ballo che tutti ricordano a Calitri, ma piccoli ballodromi diffusi in tutti i paesi irpini dello Sponz, in piazza.  

“È un modo per ricrearsi, per abbandonare i cellulari- conclude Fabrizio Stagnani- per vivere un odore di antico, che riportato nel quotidiano può portare felicità. Trovarsi, incontrarsi, ballare, divertirsi con poco, con semplicità, col contatto, col sudore, con qualcosa di nuovo, anche col ballo improvvisato, che non deve essere necessariamente perfetto o agonistico. Da cittadino giovane abituato a situazioni di musica elettronica, che pur c’è stata allo Sponz, da cittadino che si manifesta con la techno, l’elettronica o il dub, e che quindi balla in modo solipsistico, il ballodromo è un modo di rompere questi nuovi stili, per stare insieme in momenti ludici, tornare al contatto, all’abbraccio, a dei semplicissimi girotondi. Tanti fan avrebbero voluto l’ultima interpretazione di Vinicio, ma invece quel Vinicio non c’è mai allo Sponz. Lui rievoca l’infanzia, la gente si diverte, sta bene con poco, per respirare un clima più vero, umano”.

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