Sulle orme di Phileas Fogg

by Enrico Ciccarelli

Parigi è una di quelle città celeberrime e risapute di cui impari qualcosa ogni volta che ci vai. Per quanto tu indossi l’abito fisico e mentale del perfetto turista, e quindi rieda senza apparente variazione lungo i luoghi e gli itinerari canonici, dal Quartiere Latino agli Champs-Elysèes, dalla Tour Eiffel al Louvre, riesce comunque a sorprenderti e accrescerti.

In questo caso lo ha fatto un’agenzia viaggi che, come tutte le agenzie viaggi che conosco, esponeva in vetrina (già; credo che –fra le altre cose- siano nate qui anche le vetrine, dando inizio a quello che Vanni Codeluppi chiama “lo spettacolo della merce”) le sue offerte più interessanti o più desiderabili per il pubblico.

Fra esse spiccava una proposta della Msc Crociere (vero, i Francesi sono un po’ sciovinisti; ma quando si tratta di affari sono cosmopoliti) che era né più né meno che il giro del mondo. Una crociera, offerta per qualcosa in meno di tredicimila euro (a persona) che ti porta dal Mediterraneo attraverso tre oceani a circumnavigare l’intero pianeta, nel suo emisfero australe. Un viaggio da sogno, probabilmente anche assai economico, considerata che dura la bellezza di centodiciannove giorni e centodiciotto notti. Si parte prima dell’Epifania, si torna poco dopo la Festa della Mamma.

Mi sono molto incuriosito all’idea di chi potesse concretamente fare un viaggio del genere: persone agiate, naturalmente, di livello almeno medio-borghese, o superparsimoniose; ma anche persone che per condizione anagrafica o economica, non siano inserite appieno nella vita lavorativa. Quale funzione o attività, infatti, sopporterebbe un’assenza di quattro mesi? Persone molto giovani o piuttosto anziane, quindi. Che si incamminerebbero lungo i tragitti che nel 1873, ad opera di un illustre francese che in quel tempo risiedeva a Parigi, furono imposti a Phileas Fogg, Esquire. Spero vi ricordiate chi sia.

Per i distratti, è il protagonista del romanzo di Jules Verne “Il giro del mondo in ottanta giorni”. La storia ve la ricorderete: il metodico e algido rentier londinese, per una scommessa, si impegna con i soci del Reform Club a compiere il giro del pianeta in ottanta giorni esatti. Il romanzo è stupendo e ne raccomando vivamente la lettura a voi e ai vostri figli che abbiano undici-dodici anni; ma ai fini del nostro discorso è più importante il suo significato simbolico. Fogg e il suo domestico Passepartout, eroi del positivismo, sono i rappresentanti di un’era nella quale l’uomo presume di essere più forte della natura, del caso, del destino.

La Msc World Cruise

Se ferrovie e navi permettono di girare il mondo in ottanta giorni, essi seguiranno il circuito con scientifica esattezza, sopperendo con ingegno agli sgambetti della malasorte. Sono i profeti di un mondo ordinato, conosciuto, risaputo. Con loro, per la prima volta nella storia della letteratura, il viaggio diventa un tragitto, un modo per andare da qui a lì e da lì a là in un tempo prefissato, prevedibile, programmabile.

L’esatto contrario della sfida di Odisseo e delle peripezie di Sinbad il Marinaio, ma anche il capovolgimento del paradigma del Grand Tour, del viaggio come vicenda esperienziale, come scoperta non solo di nuovi luoghi, ma di un nuovo sé. Il viaggio di Fogg (che lo cambierà eccome, in realtà) è visto come una semplice interiezione fra l’una e l’altra partita di whist al Reform Club. Ritorna al luogo da cui è partito, concludendo una parentetica esperienza “sportiva”. Rappresentante di una umanità che aveva appena tagliato l’istmo di Suez, relegando all’antichità il periplo dell’Africa di Vasco da Gama. Una umanità che, specie nella sua parte occidentale, conquistava di giorno in giorno nuovi traguardi, nuovi orizzonti, nuove acquisizioni di civiltà che era suo dovere trasferire ai popoli meno sviluppati e fortunati (il fardello dell’uomo bianco di cui parla Kipling).

Phileas Fogg è oggi sparito dalla circolazione come il Whist, quel sogno luminoso e magnifico si è disperso sotto un cancello su cui campeggiava la scritta Arbeit Macht Frei e nelle polveri venefiche di un fungo carico di orrori. Ma la sua eredità sotto traccia è ancora vasta e preziosa, testimoniata da quei passi che cinquant’anni fa lasciarono sulla luna orme imperiture.

I partecipanti alla grande crociera, ai quali auguro ogni divertimento e letizia, non subiranno la vertigine della lontananza, perché le reti li terranno connessi (e imprigionati) senza difficoltà. I luoghi fiabeschi per cui passeranno, i paesaggi alieni, gli edifici fino ad allora soltanto sognati, saranno un bellissimo fondale di palcoscenico, ma a contare saranno soprattutto i selfie, la garanzia che “io sono stato qui”, e posso assicurare che ero proprio io come mi vedete, cioè non sono cambiato in nulla, cioè avrei potuto risparmiarmi il viaggio.

Mi piace pensare, però, che questa crociera non sia priva di rischi. No, non di quelli che potete immaginare (burrasche, pirateria, terrorismo); un rischio più sottile e segreto, che è legato in particolare al viaggio per mare. Straniero alla terra, si chiama uno dei deliziosi e insopportabili libri di Richard Bach, il cantore del gabbiano Jonathan Livingstone; e c’è nel navigare, in questo atto sommamente empio che è il navigare, un senso di espatrio e di alienazione che assale anche nelle sontuose navi da crociera, nelle città galleggianti della Msc.

Nell’Amore ai tempi del colera, capolavoro assoluto di Garcia Marquez, Florentino Ariza e Firmina Daza riescono solo in tarda età a dare consistenza fisica all’amore che li ha legati per tutta la vita (in realtà ne ha legato solo uno, ma per comodità…), e lo fanno su una delle navi della compagnia di lui, che risalgono i grandi fiumi della Colombia. Quando la loro crociera è finita, e dovrebbero sbarcare affrontando le rimostranze dei figli, il peggioramento degli affari, le mille spiegazioni, lui dà ordine al capitano di fare marcia indietro. E quando quello gli chiede se ha intenzione di prolungare questo andirivieni e quanto crede che possa durare, lui sorride e risponde “Per tutta la vita”.

Ecco, la segreta insidia di questo imbarco così lungo è che non si riesca più a tornare, a rientrare all’approdo.

Nell’apparente confusione del nostro mondo misterioso, gli individui sono così ben adattati a un sistema, e i sistemi l’uno all’altro, e a tutto un insieme, che un uomo, se si fa da parte per un solo attimo, si espone al terribile rischio di perdere il suo posto per sempre.”

(Nathaniel Hawtorne, Wakefield)

’identità che noi crediamo solida e fissa, asseverata e consolidata da infiniti puntelli, è in realtà fragile come i petali di un soffione, e un singolo, casuale gesto può annientarla. Figuriamo andare quattro mesi per mare!

Insomma, parlando dal punto di vista di uno che non ha mai fatto una crociera, ritengo assai probabile che, dopo essere stato per centodiciotto notti sul mare, all’arrivo rifiuterei lo sbarco, chiedendo un altro giro, come i bambini sulle giostre. Ma dubito che Msc crociere me lo lascerebbe fare. Nemmeno per tirchieria, intendiamoci. Solo perché convinti che il nuovo viaggio sarebbe assolutamente identico al primo, nel rilassante culto seriale e consumistico della ripetizione. Solo i libri (e i luoghi come Parigi) permettono di cogliere le svolte e le sorprese repentine, gli armonici e le sfumature, le vette e gli abissi celati nell’apparente uniformità dell’iterazione.

Enrico Ciccarelli

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