Vivere con i Maori in Nuova Zelanda. La storia di Matteo Fabi

by Fabrizio Guida

Nel 2018 Matteo Fabi, un ragazzo di Bari di 32, durante un suo viaggio in Nuova Zelanda riuscì ad entrare in contatto con un’antica tribù Maori, i Tuhoe, che vivono in alcune comunità al centro est dell’isola del nord della nazione, nella foresta di Te Urewera.

Matteo è un un viaggiatore, fotografo e storyteller, dedito alla riscoperta delle tradizioni e delle radici di quelle tribù a noi lontane e poco conosciute.

Noi di bonculture lo abbiamo intervistato. Per far emergere ciò che rimane fuori dal reportage: i pensieri, le azioni, le sensazioni, le emozioni di chi in prima persona ha potuto vivere un’esperienza così fuori dagli schemi della società odierna.

Quello che sicuramente incuriosisce i nostri lettori e il pubblico tutto è capire quale processo hai seguito per riuscire a trovare questa comunità Maori, come ci sei arrivato e come hai fatto in modo che ti accettassero?

Il processo per incontrare la tribù dei Tuhoe, anche se con un pizzico di fortuna, è stato molto laborioso. La ricerca è iniziata nella città di Rotorua, “capitale Maori” della Nuova Zelanda che si trova nell’isola del nord, ed è la città dove i Maori sono maggiormente rappresentati dal punto di vista della presenza e della cultura. Qui ho avuto la fortuna di conoscere Cinzia, una fotografa locale che mi messo sulle tracce della tribù dei Tuhoe, indicandomi la foresta di Te Urewera come un luogo dove la cultura Maori è ancora fortemente viva, data la presenza di alcune comunità rurali. Decido così, insieme ai miei due compagni di viaggio di guidare per 200 km all’interno di questa fitta foresta, con strade assolutamente non asfaltate, ma non fummo fortunati, infatti non trovammo contatti. In maniera del tutto inaspettata, nell’isola del sud e dopo alcuni mesi, una ragazza mi ha sentita parlare al telefono con la mia amica Cinzia e nel sentirmi pronunciare il nome dei Tuhoe, si è interessata. Dopo esserci presentati scopro che lei aveva origini in uno di questi villaggi: Ruatoki. Le spiego che avrei voluto rappresentare la cultura Maori attraverso una chiave artistica e mi offre l’opportunità di connettermi con sua zia, la quale organizzava la squadra di Taiarahia che si sarebbe esibita, sfidando altri team, nel Kapa Haka (la versione artistica dell’Haka, celebre danza guerriera: da HA- soffio e KA- infiammare, “accendere il respiro”), nel Tuhoe festival, noto come Ahurei. Dopo due mesi mi sono presentato a Ruatoki e grazie a questa connessione assolutamente necessaria, poiché non è un posto dove presentarsi per direttissima, ho potuto essere accettato dalla comunità locale e invitato a presenziare ai loro allenamenti e vivere secondo le abitudini della comunità in loro compagnia.

Spesso l’immaginario comune descrive queste antiche tribù come dei selvaggi. Puoi spiegarci invece come vivono nell’era odierna e qual è il loro rapporto con la tecnologia e le loro antiche tradizioni?

L’interazione tra le culture indigene, il loro folclore, le loro tradizioni e di come esse si collocano nel mondo moderno sono proprio l’oggetto del mio reportage, nonché il topic a lungo termine dei miei progetti fotografici. Ho parlato con molti Maori della comunità di Ruatoki e sono giunto alla conclusione che anche loro sono figli dell’era moderna, quindi non si deve pensare agli indigeni nel senso romantico dei film del buon selvaggio. Gli abitanti della comunità continuano comunque a vivere a stretto con la natura, procurandosi quanto più possibile cibo con la caccia o la pesca, sfruttano ancora ciò che la foresta offre loro, come la legna, utilizzata sia per il fuoco che come materiale da costruzione. Tuttavia ciascuno di essi ha un cellulare o uno smartphone e sono perfettamente consci di quello che succede nel mondo, proprio per questo motivo ci tengono particolarmente a mantenere vive tradizioni e cultura, poiché l’introduzione delle nuove tecnologie potrebbe indurre, specialmente le nuove generazioni, a dimenticare le loro radici. Infatti i più anziani fanno molta pressione ai giovani per farli partecipare a tradizionali manifestazioni o nel parlare l’antica lingua Maori, in tal modo il patrimonio culturale verrà tramandato di generazione in generazione e non verrà perduto.

Potresti parlarci dei Tuhoe, la tribù che ti ha ospitato? Chi sono? Come vivono?

I Tuhoe abitano nella zona orientale dell’isola del nord della Nuova Zelanda, a Ruatoki, uno dei centri rurali minori della zona. La comunità si sostenta principalmente con l’agricoltura, la pesca e l’allevamento, sfruttando il più possibile le materie prime della terra, che gli appartiene da generazioni e generazioni. Vivono una vita semplice, dando grande valore al senso di comunità e ai legami familiari, che nella cultura Maori non si estendono solo al nucleo familiare più prossimo, ma viene interpretato in senso più esteso a livello di discendenza da comuni antenati. Purtroppo ci sono fenomeni comuni legati alla povertà, come uso di alcool e droghe e gravidanze in età adolescenziale. Anche se ci sono realtà un po’ più dure, sono stato ospitato in maniera impeccabile, sempre trattato come un amico prima ancora che come un ospite, mi hanno spesso invitato a pescare, raccogliere legna, a cene di famiglia o attività della comunità.

Cosa hai provato nell’immergerti in un mondo che profuma di antico, ma in un momento storico dove ormai da quasi qualunque angolo del globo tutto è facilmente accessibile grazie ai device?

Sin da bambino ho sempre coltivato il sogno di essere un po’ un esploratore, purtroppo però al giorno d’oggi non è rimasto praticamente nulla da esplorare visto che l’intero pianeta è già accessibile attraverso immagini satellitari. Ciò non toglie però che Ruatoki è fuori mano dai percorsi più battuti, probabilmente i visitatori si contano sul palmo di una mano, anche perché il villaggio non è luogo di transito ma ci si può arrivare unicamente attraverso una via sterrata. Se sei a Ruotoki, non ci sei per caso, ma perché vuoi esserci. È un luogo dove sono accaduti diversi eventi, come ad esempio il raid anti-terroristico del 2007 per incastrare l’attivista Maori Tameity e poi nel 2017, 10 anni dopo, la polizia si è scusata con la comunità Maori dei Tuhoe. Tutta l’area è incastonata tra colline che hanno un valore spirituale per le tribù, questo mi faceva sentire davvero un aria mistica attorno a me, anche dormendo in un Marae, il luogo di raccoglimento sociale e spirituale Maori, si sentiva ancor di più questa atmosfera di cultura autentica indigena. Sono rimasto molto affascinato dalle foto del passato presenti all’interno del Marae, foto che rappresentano gli antenati, una storia quasi tangibile che continua ad essere tramandata nella tradizione Tuhoe. Quindi anche non essendo completamente isolato dal mondo grazie a connessioni, anche se deboli, e a device, vivere qui è una sensazione di “lontananza” da tutto, di storia del passato che sembra vivere il presente. C’è da dire in oltre che la Nuova Zelanda geograficamente è ai confini del mondo e questo emotivamente si fa sentire. Sono contento di essere uscito dai canali standardizzati della vita quotidiana ed essermi immerso in un mondo antico e autentico.

Matteo Fabi

Per vagabondare nel mondo, immagino che tu abbia davvero un rapporto particolare con la tua libertà e che essa influenzi il tuo spazio-tempo. Puoi parlarci di questo?

Ho sempre avuto un po’ di insofferenza nel conformarmi col lo stile di vita del mondo moderno, il classico iter di un giovane, che comunque ho seguito per parte della mia vita (università, lavoro), non ha mai fatto per me. Ho sempre visto una sorta di omologazione nei sogni di un giovane del mondo moderno, ma i miei erano e sono differenti. Ho la necessità di cambiare rapidamente e profondamente la realtà che mi circonda nel momento in cui mi sveglio e non mi piace. La libertà comunque ha suo prezzo, attraverso le mie foto, chi mi segue ma non conosce, pensa che io viva una vita idilliaca fatta di viaggi ed edonismo, ma chi mi conosce e ha vissuto questa esperienza con me, può confermare che non è così. Abbiamo infatti lavorato nei campi di Australia e Nuova Zelanda, in tutte le condizioni climatiche, dal sole cocente che ti brucia la pelle, a piogge incessanti. Abbiamo sudato salari nelle maniere più impensabili, abbiamo imparato mestieri che mai prima di allora avremmo pensato di fare. Non è una libertà votata al purò edonismo, ma è una libertà coscienziosa di cui bisogna prenderne atto. Non cambierei nulla della maniera in cui vivo, per me infatti la libertà è vivere liberamene esperienze di vita e, le esperienze di vita, fino a questo momento, sono quelle che mi hanno insegnato più di tutto nella vita, più dei libri, più delle nozioni, più dei consigli o delle lezioni.
La storia insegna la vita e la vita la è maestra che ti insegna a stare a questo mondo, questa libertà per me non è solo un privilegio, ma è una virtù.

Per concludere: tu sei un fotografo e hai scelto un percorso molto interessante, cosa cerchi di raccontare esattamente? Qual è il collante che tiene così fortemente legati il passato, quindi la storia dell’uomo, delle usanze e tradizioni antiche con la fotografie contemporanea?

Fin da bambino ero votato alla scrittura, mi è sempre piaciuto il giornalismo e raccontare storie del mondo e dei popoli, da questo si è infatti sviluppata la voglia di scrivere della cultura indigena presente nel nostro pianeta. Testimoniare cosa rende speciale ogni singolo luogo e raccontare le radici delle tribù dove riuscirò ad arrivare. Quando poi mi sono reso conto che potevo unire al giornalismo la fotografia, che potevo catturare ogni singolo momento e renderlo unico ed eterno nello spazio e nel tempo, ho deciso di fondere questi due aspetti. È sicuramente una scelta professionale molto ardua che deve essere necessariamente supportata da una grande passione, spirito di sacrificio e adattamento. La soddisfazione di raccontare luoghi e tribù sparse negli angoli del mondo e di portare a casa progetti per testimoniare la realtà odierna a chi vive così lontano da essa, è infinita.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.