40 anni dal terremoto dell’Irpinia. Il sindaco di Calitri Di Maio: “Nel 1980 fu il sisma a farci restare, oggi nelle Aree interne serve il lavoro”

by Antonella Soccio

“Un minuto di terrore” titolava Il Mattino di Napoli. In realtà, 40 anni fa, quella domenica autunnale del 23 novembre 1980, alle ore 19.34, il sisma di magnitudo 6,9 gradi della scala Richter, che cambiò per sempre l’Irpinia, durò circa 90 secondi e causò quasi 3mila vittime, radendo al suolo interi paesi come Conza della Campania e portando prima la morte e poi nuovi centri abitativi, urbanisticamente futuristici, senza anima e oggi più vecchi delle macerie dei centri storici pericolanti o non più agibili, che avrebbero dovuto sostituire.

Il 20 novembre, prima che la Campania divenisse per il Covid zona rossa, il sindaco di Calitri Michele Di Maio aveva invitato nel suo Comune il segretario nazionale della Cgil Maurizio Landini e il Ministro per il Sud Peppe Provenzano, per una riflessione seria sulla ricostruzione e sullo sviluppo delle aree interne. A 40 anni dal terremoto.

Oggi la pandemia fa emergere in maniera ancora più netta e con pochissima retorica tutti i drammi dell’Alta Irpinia e di tutto l’Osso d’Italia, spopolato e ingrigito dalla senilità.

Noi di bonculture abbiamo intervistato il sindaco Michele Di Maio, calitrano, che racchiude nella sua biografia tante anime irpine, post terremoto. Quella ambientalista da dirigente di lungo corso Legambiente, quella turistica per essere uno dei ristoratori più autorevoli dell’area con il suo Tre Rose, dove si mangiano le cannazze più buone dell’Irpinia, celebrate da Vinicio Capossela, e quella di lotta.

Sindaco Di Maio, 40 anni dal terremoto: che sentimento c’è in questi giorni con la clausura del Coronavirus? Queste celebrazioni sono segnate da un lutto maggiorato?

Avevamo organizzato per il giorno 20 una manifestazione pubblica con Landini e Provenzano, la faremo adesso proprio il 23, abbiamo differito via streaming. Non si può parlare del terremoto senza fare una riflessione sulla ricostruzione, completata al 90%. Lo sviluppo tanto agognato allora si è fermato. Vennero sancite allora per la Campania 12 aree industriali, e altre 8 in Basilicata. Delle nostre 12, 8 furono pensate per la provincia di Avellino e 4 per quella di Salerno. Le previsioni parlavano di 8500 persone occupate. Oggi abbiamo 3000 persone circa occupate, meno della metà e in alcune aree industriali ci sono ancora lotti vuoti.

Qual è l’area più penalizzata, il Calaggio?

La più pesante a guardare bene è proprio quella di Calitri. Erano previste 800 persone occupate, ne abbiamo oggi solo 50 impiegate in una industria del legno,che realizza capriate in legno. Co la legge 219 del 1981 e la successiva Commissione Scalfaro si è appurato che in tutte e due le regioni sono stati spesi 70mila miliardi di vecchie lire pari a circa 35 miliardi di euro. Questo vuol dire che il post terremoto è stato il più grande investimento di spesa pubblica dello Stato al Sud. Ma con questo voglio anche spezzare una lancia a favore dell’Irpinia, si è montato ad arte alla fine l’IrpiniaGate, ma qui da noi sono rimasti 6500 miliardi, le vere mani sul terremoto sono rappresentate dal Napoligate o Salernogate. In una prima fase solo 16 comuni del cratere avrebbero beneficiato dei fondi, poi con la legge 219, i Comuni da poche decine sono diventati 650. Da quelli dell’Alta Irpinia e d’intorno, si è allargata la fascia ad una zona ben più ampia, i fondi sono andati dappertutto, mentre i Comuni davvero colpiti aspettavano: chi era in emergenza ha vissuto per anni roulotte, tende, prefabbricati per poi arrivare nelle case dei piani regolatori. Gli altri Comuni non dovevano approvare piani di recupero, ma quella fu una scelta politica, ci fu un consociativismo tra Dc, Psi e Pci. Con un ruolo da leone dell’allora sindaco di Napoli, Valenzi, che approvò e realizzò 20mila alloggi.

Oggi nelle aree industriali previsti ci sono ancora tanti lotti vuoti, ci sono delle incompiute, delle strade che furono avviate e che ancora non sono state completate. 20 miliardi a km era la stima di allora. Manca la Contursi-Lioni, la Lioni-Grottaminarda non è ancora completata. Abbiamo inaugurato da poco la Calitri- Muro Lucano.

Ma sono ancora utili queste strade? Glielo chiedo sindaco perché in Puglia il Contratto Istituzionale di Sviluppo voluto dal premier Conte ha finanziato per 6 milioni di euro solo il progetto della Regionale 1, che collegherà le aree interne da Candela a Poggio Imperiale, connettendo così i due caselli autostradali. Si trattava di un’opera ferma da 40 anni. Servono ancora queste strade alle aree interne? Voi avete chiesto un vostro Cis per l’Irpinia?

La Puglia ha avuto il primo Cis del Sud, grazie alle origini del premier Conte nato a Volturara Appula e alla presenza del capo del cerimoniale Gerardo Capozza, uomo irpino. Lo sto sollecitando da tempo, lo conosco bene: quando è venuto qui nel dicembre 2019 la prima cosa che ho detto al presidente del Consiglio è che anche in Irpinia va fatto il Cis, per rafforzare le poche aree industriali attive rimaste come la Ferrero o l’Ema a Morra. Per il resto è un cimitero di fabbriche.

La Basilicata si è confermata terra di gas e petrolio, per l’Irpinia c’era il progetto di farla diventare la discarica d’Italia. Adesso è rimasta solo la sua identità da fabbrica del vento. Vanno difese le pale e le energie rinnovabili? Un grande intellettuale irpino, Franco Arminio, è consulente del Ministro Provenzano, cosa occorre chiedere per l’Irpinia?

Noi abbiamo fatto una lunghissima battaglia dal 1994 al 2009 al Formicoso, dove c’era il progetto della mega discarica in uno spazio enorme, bellissimo. Dopo 15 anni nonostante l’esercito che con circa 800 soldati aveva occupato l’area, possiamo dire di avere avuto il sopravvento, abbiamo vinto. Nulla abbiamo potuto contro l’eolico selvaggio, senza regole. Tanti Comuni ormai sono saturi, ma si continua ancora ad impiantare pale. Il recente arresto di una persona di Vallata che faceva da basista della Sacra Corona Unita a Bisaccia e a Lacedonia con attentati alle pale, ci dimostra, se non ne avessimo avuto la conferma, che l’eolico è diventato un business appetibile per le mafie. Io sono stato eletto il primo giugno dal 2015, con la riconferma quest’anno. Mi sono opposto a ben tre parchi eolici, che erano stati già programmati in un sito area Sic. La battaglia è stata dura, prima c’è stato una sorta di ammiccamento per comprarmi, ma sono riuscito a svincolarmi.

L’eolico cosa ha prodotto in Alta Irpinia? È stato una grande occasione mancata come la ricostruzione del post terremoto?

A livello occupazionale poco o niente, lavorano poche unità per ogni Comune. Ci furono le royalities all’inizio, poi con lo Sblocca Italia tutto è finito, le ditte possono insediarsi senza pagare canoni. Si sono arricchiti solo i proprietari terrieri, anche se io da ambientalista non posso disconoscere l’utilità della scelta della produzione di energie rinnovabili. L’Irpinia con 200 torri tra Bisaccia, Aquilonia, Monteverde produce tanta elettricità quanta ne viene consumata da tutta la provincia di Avellino. Si produce tanta energia quanta ne consumano 440mila abitanti, ecco da un punto di vista strettamente energetico l’eolico vale, ma dal punto di vista dell’impatto paesaggistico, del ristoro per il territorio, non c’è nessuna ricaduta.

Lei è un ristoratore di successo, oggi anche l’idea di turismo col Covid va ripensata nelle aree interne?

Io vengo da una esperienza di una cooperativa di servizi, le Tre Rose, che in passato gestiva mense e biblioteche e adesso ha solo una osteria qui a Calitri.

Il 26 agosto 2018 in occasione dello Sponz Fest ho approvato una convenzione con Matera e abbiamo avuto per un giorno Calitri Capitale Europea per la Cultura. Ci fu un buon riscontro.

È ancora in piedi la candidatura di Calitri, Comune Unesco?

Sì, è rinnovabile, ma siamo andati avanti, la nostra convenzione con Matera dura fino al 2022 e grazie ad altri contatti, come quelli con la Facoltà di Architettura di Matera, col prof Antonio Conte, a Calitri abbiamo istituito dei corsi universitari, sono usciti degli studenti che si sono laureati qui. C’è questo rapporto, che momentaneamente ovviamente è stato sospeso, avevamo messo in contatto le associazioni culturali di Calitri con quelle di Matera. Devo però ammettere che detto fra noi qui il turismo non è mai decollato, il turismo nelle aree interne è un accessorio non è una panacea, occorre puntare su altri segmenti, in particolare sull’agricoltura. Noi abbiamo riconvertito 22 agricoltori in agricoltori bio, forse ne abbiamo un 23esimo. Si è puntato molto sui vini di qualità, si fa dell’ottimo Fiano a 800 metri, stanno riconvertendo alcune colture di cereali, avendo un territorio che è secondo solo a Bisaccia. E poi c’è l’artigianato, abbiamo avuto questo il riconoscimento di essere la 44esima città della Ceramica in Italia. Stiamo cercando di far venire alla luce tutto il sommerso, con l’aiuto della Cna sono riuscito a presentare un bel faldone. Abbiamo una decina di fornaci chiuse, non tutte sono ufficiali, lavorano in nero, l’impegno nostro è quello di farle riemergere.

Si trattava finora di una vendita localistica?

Sì, è una vendita locale, l’ambizione che ci viene proposta da Cna e dal progetto pilota è pensare con il Liceo artistico ad un prodotto medio alto. Con la crisi in atto, bisogna puntare a mercati fuori dall’Italia, ai grandi ricchi. I grossi marchi stanno investendo molto in questo settore. Il primo passo è costituirci come Città della Ceramica.

Che ne pensa delle iniziative di vendita delle case ad 1 euro?

Io sono stato molto attento a questa operazione, non abbiamo case comunali, ma mi sembra che chi ha praticato queste pratiche non ha avuto un grande risultato positivo. I problemi delle zone interne sono tanti, hanno bisogno davvero di cura, la strategia messa in atto del 2014 non produce nulla perché non ci sono fondi, nonostante l’aggregazione dei Comuni. Ne ho parlato diverse volte col ministro Provenzano, ci sono zone interne ormai destinate all’estinzione. È un fenomeno naturale e irreversibile.

In questi ultimi anni l’Irpinia perde 300 giovani l’anno…

Sì, è come se perdessimo un paese ogni 2 o 3 anni, ci sono alcuni paesi indirizzati all’estinzione.

Quanti sono i paesi senza scuola primaria?

Ci sono paesi senza servizi, senza scuola qui c’è solo Cairano.

L’Irpinia però a differenza di altri territori non è diventata un buen retiro per gli anziani, non ci sono grosse Rsa e rssa. Non crede sia una benedizione adesso col Covid?

Ci sono più case famiglie, che non rsa, ogni paese ne ha una, da massimo 20 posti. Chiaramente le nostre realtà vedono quasi il 40% delle persone ultra 65enni, aumentano gli anziani. I ricchi che vogliono fuggire dalle città arrivano, ma non portano poi chissà quali economie. Anche questo è un falso mito. Per 10 anni a Calitri si sono vendute le case a 3mila euro, sono arrivati circa 50 turisti tra americani e inglesi, che hanno comprato, vengono in estate o periodicamente in altri periodi. Vivono il centro storico, è qualcosa che fa bene, che fa immenso piacere, che crea relazioni, ma che non cambia l’economia delle aree interne. Cosa possono fare i consumi di 2 famiglie che restano tutto l’anno? In questi anni c’è stato lo Sponz, ma sono poche unità, che non influiscono sull’economia generale delle aree interne, che può salvarsi solo con l’agricoltura di qualità, la trasformazione dei prodotti a Calitri, con una gastronomia pregiata, con degli allevamenti zootecnici. Ci fanno ben sperare le nuove vigne dove fanno il Don Chisciotte e Sancho Panza, il vino si chiama così perché proprio su quei terreni doveva sorgere un parco eolico. Un’altra promessa è l’artigianato se riusciamo a creare una ceramica che si intersechi con le produzioni in ferro battuto e legname.

Serve un investimento politico, con una pressione dall’industria, ci vogliono i miliardi, una strategia nazionale. Altro che 200 milioni in due anni per tutti i paesi dalle Alpi alla Sicilia, se investono su queste aree bisogna creare centinaia di posti di lavoro altrimenti la gente andrà via, non potrà fare altro.

Lei ha figli che hanno lasciato l’Irpinia?

Sì, uno a Milano e l’altro Foligno, lavorano lì. Fino a qualche anno fa avrei lottato per farli restare, ma che fanno in queste aree?

Lei però è rimasto dopo quel 23 novembre del 1980. Come lei tanti giovani hanno sentito l’urgenza di restare. Perché? È stato solo il terremoto il nodo esistenziale che vi ha mosso alla restanza?

Io avevo 22 anni, ero momentaneamente a Bologna, studiavo e lavoravo per mantenermi agli studi, avevo già deciso di rientrare, ma il terremoto mi convinse definitivamente. Per tantissimi è stata una grande esperienza di vita, una scelta politica. Ogni paese aveva il suo comitato popolare per contrastare le scelte scellerate di abbattimento dei centri storici, erano presenti squadre tedesche con le pale meccaniche e alcuni centri sono stati abbattuti e mai più ricostruiti, noi avevamo un nostro comitato molto forte a Calitri ed infatti il nostro centro è intatto.

Nel 1980 fu il terremoto a farvi restare, oggi cosa serve?

Oggi ci vuole il lavoro, all’epoca c’è stata una spesa pubblica impressionante che ha tenuto tutti insieme fino al 1994, molti sono ritornati da emigranti di ritorno.Quando nel 1990 si costituisce la Commissione dell’IpirniaGate si scoperchia il malaffare che c’era intorno alla ricostruzione, da lì a due anni nel 1992 con la nuova legge si chiudono i rubinetti e sono arrivate le briciole su queste territori. Oggi serve il LAVORO, servono gli investimenti. Non bastano le Zes, Calitri è stata riconosciuta zona Zes, ma per ora non abbiamo avuto ancora nessuna candidatura. 300 milioni per tutto il Meridione con le Zes sono briciole.

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