9 novembre 1989, 30 anni dal crollo del Muro. La festa, le lacrime, la nuova Europa: i ricordi di quella pagina di Storia

by Lia Mintrone

Quella notte il cielo sopra Berlino si illuminò di una luce diversa, quella dei sorrisi di decine di migliaia di berlinesi dell’Est che uscendo dalle proprie case iniziarono a dirigersi verso la linea di frontiera che tagliava in due la città e l’Europa. Perché quella notte del 9 novembre del 1989, quelle sbarre, si alzarono per sempre senza che la polizia, dalle torrette di guardia, iniziasse a sparare sui fuggiaschi. Era caduto il Muro, il Berliner Mauer, la Germania era unita, finiva un incubo, Berlino Ovest non era più solo un sogno.

Le immagini di quella notte fecero il giro del mondo. Lacrime, abbracci, famiglie e amici ritrovati dopo decenni di separazione, picconi inforcati per buttare giù quella cortina di ferro, uomini e donne che come equilibristi salivano su quel Muro e ci camminavano sopra urlando ‘ Libertà’.

E via, giù, a colpi di piccone frantumando quel cemento che portava via con sé tanti pezzi di dolore, di terrore, di isolamento. Il vento della libertà soffiava sulla Porta di Brandeburgo, la storia si compiva. Sono passati 30 anni da quella notte dalla quale nacque altra storia. Ma come la ricordiamo oggi a distanza di 30 anni? E come la ricordano uomini e donne, ragazzi e ragazze che quel giorno, davanti alla tv, videro la storia e ne furono testimoni ? 

Antonio Decaro

Antonio Decaro- Sindaco di Bari: “Sono passati 30 anni dalla caduta del muro di Berlino e il mondo intero sembra commuoversi e voler riflettere su un avvenimento che viene identificato come una grande affermazione di libertà e diritti umani, politici e civili. Intenzioni che forse stridono con le parole, le azioni e i provvedimenti che invece in questi anni tanti Paesi e tanti leader politici professano e portano avanti. In questi giorni passano in tv le immagini dei volti delle donne e degli uomini che il 9 novembre del 1989 salirono su quel muro per distruggerlo con i loro martelli, con i loro picconi, con i loro sogni e con la loro voglia di libertà. Io avevo meno di venti anni e, nonostante i 2000 chilometri che mi separavano da Berlino, quella gioia, quella voglia di libertà era anche la nostra gioia ed una nostra conquista. Come se per la prima volta mi sentissi parte di una generazione di europei che aveva lottato per i propri diritti e che con quella lotta stava cambiando il mondo. Oggi che devo spiegare alle mie figlie perché quel muro trent’anni fa è stato abbattuto e i motivi per cui era stato costruito, non posso che chiedermi cosa pensano quei ragazzi dell’89, di un mondo dove, dall’Ungheria agli Stati Uniti, si festeggia questo trentennale costruendo nuovi muri, più alti e più inquietanti di quelli di prima. E chissà se le mie figlie capiranno il perché oggi festeggiamo tutti la caduta del muro di Berlino mentre alla tv ascoltano donne e uomini raccontare, in modo convinto, che dobbiamo costruire nuovi muri. Io, dal canto mio, cercherò di spiegare alle mie figlie e ai miei concittadini che innalzare un muro contro un fantomatico nemico, dividere, separare, impedire il dialogo è sempre una sconfitta e che io starò sempre dalla parte delle persone che con fatica lotteranno per abbatterlo quel muro”.

Pietro Marino

Pietro Marino- Giornalista- Critico d’arte: “ Provai una sorta di emozione annunciata o presagita quella sera del 9 novembre 1989 vedendo al TG1, con i miei colleghi nella Gazzetta del Mezzogiorno, la gente felice che saltava e picconava il Muro di Berlino sotto la Porta di Brandeburgo. Perché quel Muro l’avevo visto pochi mesi prima, in agosto, ma dalla parte triste di Berlino Est sorvegliata da torrette armate. C’ero arrivato lì come ultima tappa di un anomalo viaggio di gruppo, dopo Budapest e Praga. Ci fu consentita l’escursione di mezza giornata nella Berlino Ovest. Il nostro pullman passò per il Checkpoint Charlie dopo che le guardie rosse salirono a bordo, controllarono uno per uno i passaporti, ispezionarono il mezzo anche passandovi sotto degli specchi. La sera prima mi ero avventurato nella Alexander Platz deserta e buia, appena fioche luci dalla Casa del Popolo. Incontrai il mattino dopo la folla brulicante attorno al grande magazzino KaDeWe. E’ assurda una situazione così, pensai. Del resto c’era già Gorbaciov e la sua glasnost. Per questo la sera del 9 novembre non sentii sorpresa, ma una gioia quasi risarcitoria. Sono tornato qualche anno dopo nella Berlino riunificata. Al Charlie Point ho trovato un piccolo museo con negozio di souvenir, compresi pezzi di Muro”.

Maria Laterza

Maria Laterza- editrice: “Ricordo molto bene quel periodo perché vivevo la mia prima maternità, allattavo il mio primo figlio, ma nonostante fossi presa da questo straordinario evento della mia vita privata non potevo non seguire quello che accadeva nel mondo. Certamente fu e furono giorni di festa per milioni di persone, certamente la democrazia è la migliore forma di governo che possiamo avere, eppure per noi ragazzi di sinistra degli anni ’70 che avevamo creduto nella possibilità di un altro modello di vita quale poteva essere quello comunista, improntato ad esempio sull’equità sociale, la caduta del Muro di Berlino decretò la fine, per sempre, di tutto ciò nel quale avevamo creduto fino a quel momento. Quel modello, al quale ci ispiravamo e che credevamo giusto e possibile, si consegnava all’Occidente, con i suoi vantaggi, per carità, ma anche con tutti i suoi limiti. Ecco, credo che quel 9 novembre del 1989 sia stato, per quelli come, un giorno in cui è andato in frantumi un muro ma anche tutti i nostri ideali di gioventù”.

Elio Sannicandro

Elio Sannicandro – Direttore Generale Asset Puglia: “Sono stato due volte a Berlino Est quando c’era ancora il Muro, la prima volta fu un’avventura che non ho mai dimenticato. Ero con amici, in macchina, eravamo partiti da Praga per raggiungere Berlino Ovest e avevamo solo il permesso di transito entro 24 ore attraverso la Germania Est. Giovani e incoscienti ci fermammo a Dresda, una giornata intera per visitarla, senza permesso, e dopo oltre 36 ore ci ritrovammo di notte al centro di Berlino Est, vicino ad Alexander Platz. Tutt’oggi mi chiedo come caspita facemmo. Ovviamente fummo bloccati dalla polizia, portati al famoso Checkpoint Charlie e tenuti per una notte dentro una stanza senza nulla, non c’erano neanche le sedie. Ci liberarono la mattina dopo e ci spostammo a Berlino Ovest. La seconda volta ero ospite di un’amica tedesca. Ho dei ricordi molto vivi di quella Berlino sovietica, guai a fermarsi per strada a parlare in più di due persone, immediatamente si avvicinava la polizia, si respirava un clima di controllo totale, è inutile negarlo, era il regime, incomprensibile per chi come me veniva da un Paese libero. Poi, quando il 9 novembre del 1989 cadde il Muro, fu incredibile. Per chi aveva visto, con i propri occhi, i limiti di quella idea di politica, fu un’emozione pazzesca. Le scene di gioia e di festa dei berlinesi sono pagine di storia, tra le più belle di quella contemporanea”.

Lorena Saracino

Lorena Saracino- Giornalista- Presidente Corecom Puglia: “Ero una giornalista ancora precaria e la notizia arrivò come un fulmine in redazione “Ragazzi, viene giù il Muro!”. La prima immagine che mi colpì in tv fu quella di un ragazzo che attraversava una grossa lastra di cemento che si trovava in posizione obliqua. Stava venendo davvero giù il Muro! La gente prima timidamente, poi sempre più numerosa era in cima e ballava, cantava, si abbracciava. La glasnost di Michail Gorbaciov aveva superato le sue stesse aspettative. Ogni cronista che si rispetti avrebbe voluto essere lì e raccontare come il simbolo stesso della paura, della divisione di uno stesso popolo, stesse terminando il suo triste apologo. La certezza in quei giorni era che, venuto meno quel “simbolo”, nessun altro ne sarebbe seguito. Quando anni dopo ho visitato la nuova Berlino e seguito il tracciato del Muro ho auto la sensazione immaginifica di un’ala nera che mi seguiva. Deve essere stata questa la percezione intima che ogni berlinese della DDR deve aver provato. Ma quel tracciato era lì, come un monito, per le intenzioni future. Già, un monito… Secondo Tim Marshall (I muri che dividono il mondo)  “ Da qui a pochi anni i Paesi europei potrebbero contare più chilometri di muri, recinti, barriere di quelli che esistevano nella fase più critica della guerra fredda”. Oggi seguo con attenzione il gruppo di ricerca S/Murare il Mediterraneo che dal 2009 unisce docenti, studiosi e attivisti dell’università di Bari nella comune intenzione di promuovere una cultura dell’inclusione”.

Roberto Ottaviano

Roberto Ottaviano- Musicista- Docente al Conservatorio N. Piccinni di Bari: “Sono stato diverse volte in Germania quando era ancora divisa, a metà degli anni ’80. Sono stato a Lipsia, Dresda e a Berlino, dall’altra parte del muro. Se ci andavi in auto, il percorso era obbligato fino al check point e se ci andavi in treno era la stessa cosa. Ho conosciuto gente molto diversa allora, intellettuali impegnati e funzionari irritabili dalla presenza di estranei nella DDR. La sensazione era quasi che la popolazione della Berlino orientale non fosse tutta così desiderosa di varcare il muro.
Ricordo che tutto quel che guadagnavo ero costretto a spenderlo poiché si trattava di valuta non convertibile in occidente, quindi si comprava quel poco che si poteva: libri, stampe, piccolo antiquariato e spesso offrivo cene a tutti i miei colleghi. Un amico comprò addirittura dei mobili che spedì in Italia. Poi il muro crollò. A noi occidentali apparve una vittoria, un momento straordinario, una conquista di libertà dopo tanta sofferenza. E così fu anche per me. Ma confesso di essermi fatto più volte la stessa domanda: come hanno vissuto realmente i tedeschi quel momento e dopo ? In questi giorni quasi nessuno vuole sapere com’era veramente lo stato della Germania orientale; al contrario invece le stesse storie vengono ripetute più e più volte su attivisti per i diritti civili molto coraggiosi o persone molto brutte della Stasi. Le persone normali compaiono raramente in queste storie e la Repubblica Democratica Tedesca si è da tempo irrigidita in una specie di caricatura storica. Credo che ciò sia dovuto principalmente al fatto che i tedeschi occidentali non vogliono saperne nulla, vogliono semplicemente avere la conferma che fossero dalla parte giusta e che i tedeschi dell’est da quella sbagliata. Da parte loro, i tedeschi dell’est hanno smesso di dare spiegazioni da tempo. A volte sottolineano, ancora con esitazione, che anche sotto una dittatura le persone potessero innamorarsi… Insomma, che una vita veramente normale era possibile anche in un Paese non normale. Ma poi le persone in Occidente iniziano a lamentarsi del fatto che l’idea di quella dittatura viene messa in crisi e che la DDR si sta trasformando nostalgicamente. Quindi i tedeschi dell’est tacciono di nuovo e al posto di un muro di cemento ti accorgi che è rimasto comunque un muro invisibile.”

Micaela Paparella

Micaela Paparella- consigliera Pd Comune di Bari con delega alle Politiche di valorizzazione del patrimonio storico- artistico e architettonico e dei contenitori culturali di Bari- “ Con orgoglio posso dire di possedere e di custodire gelosamente un pezzo del Muro originale, non quelli tarocchi che furono anche venduti negli anni a seguire. Lo chiesi espressamente come regalo a un’amica che all’epoca viveva a Berlino e che era stata testimone di quella notte storica. Fu di parola, lo staccò e me lo portò. Io, purtroppo , vidi quanto stava accadendo in Germania solo in televisione attraverso le immagini che tutti ricordiamo della gente in festa, degli abbracci e dei colpi di piccone. Ma riuscii ad andare a Berlino tre anni dopo la caduta del Muro, nel 1992, con il classico viaggio in Interrail , e ci demmo appuntamento con tanti altri ragazzi che venivano dal resto d’Italia  ad Alexander Platz. Ricordi indimenticabili di una città che sostanzialmente era ancora quella dell’89, malinconica e struggente, tanto amata dal mio artista adorato, David Bowie, che qui compose la famosa trilogia berlinese con la sua splendida Heroes. Oggi sono 30 anni da quella giornata storica e penso a cosa è riuscita a diventare Berlino in questo trentennio, il cuore pulsante dell’Europa sotto tutti i punti di vista dove l’arte e la cultura ancora si sperimentano, si producono, si fanno”.

Franco Neglia

Franco Neglia- presidente Associazione Culturale ‘ Il Murattiano’: “Sono sempre stato comunista. Italiano, beninteso… cioè comunista fuori e libertario dentro. Nei primi anni ’80 dello scorso secolo mi capitava di incontrare spesso un vecchio compagno, docente di tedesco, che presiedeva l’Associazione Italia-RDT per promuovere scambi culturali tra i due Paesi. Ogni volta che ci incrociavamo mi richiedeva l’abbonamento alla rivista dell’Associazione ed io, ogni volta, mi rifiutavo di sottoscriverlo perché gli spiegavo che quelle facce di bambini sempre sorridenti e felici sulle copertine della rivista non mi convincevano. Suonava tutto un po’ falso. Insomma, io comunista italiano e con me tutti i comunisti italiani, non abbiamo mai creduto al Paese delle favole dove tutti vivevano felici. Eppure scoprire, quel giorno di novembre dell’89, quello che già sapevamo, che milioni di persone al di là del muro erano solo oppresse, non ci ha rallegrato. Ci ha fatto capire che qualcosa doveva cambiare anche per noi, non potevamo più giocare a fare i comunisti in un Paese libero, dovevamo interrogarci sulla natura del nostro partito, sulle sue regole, sul suo nome. Lo abbiamo fatto e da quel giorno abbiamo perso tante certezze, ma ci siamo sentiti meno ipocriti. In realtà, dentro di me, qualcosa si era rotto già vent’anni prima quando i carri armati sovietici avevano invaso la Cecoslovacchia solo perché quella gioventù, e tra questi un mio amico universitario con cui mi scrivevo, voleva vivere in un Paese democratico. Anche loro, come tutti i giovani del mondo, anelavano alla libertà di movimento, al gusto della conoscenza, alla voglia di far casino. Ed avevano il diritto di farlo quanto me. Vent’anni dopo, caduto il muro a Berlino, anche quei giovani erano come me, certo più poveri dei loro fratelli dell’ovest ma liberi di manifestare la propria rabbia, di ascoltare musica rock, di criticare il sistema. E soprattutto, da quel giorno, quelle vecchie riviste con quelle false copertine potevano essere riposte in qualche archivio storico”.

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