“Anche nella fase 2 si risveglierà la shut-in economy”. Intervista all’aziendalista Antonello Corvino

by Anna Maria Giannone

Come cambieranno le relazioni economiche nella fase2 del dopo pandemia? Tra cassa integrazione, sostegni agli autonomi, buoni pasto per sostenere i consumi e gli indigenti e prestiti garantiti da Sace, il mondo economico del dopo Covid-19 potrebbe vivere uno tsunami irreversibile.

Ci siamo fatti aiutare in questa analisi dal professor Antonello Corvino, docente di Economia Aziendale all’Università degli Studi di Foggia.

Professor Corvino, Mario Draghi è stato il primo a parlare di prestiti a costo zero. Poi è arrivato il Decreto Liquidità. Quali sono i rischi di ulteriori indebitamenti, se dovesse venir meno la domanda? L’effetto leva rischia di essere molto basso per molte imprese.

Il rischio correlato a questi prestiti è pressoché nullo, perché sono in gran parte garantiti dallo Stato. In questa fase 1, più critica, acuta e cruciale dell’emergenza epidemiologica, appare una scelta più che mai opportuna, per sostenere il tessuto economico e sociale nazionale. Occorre non abbandonare a se stesso il mondo imprenditoriale e, in particolar modo, le PMI. Oggi le aziende hanno ordini bloccati, magazzini pieni di prodotti intermedi o finiti, perché l’anello successivo della catena ha subito un brusco shock. Allo stesso tempo, però, le scadenze e le conseguenti uscite finanziarie incombono. Un significativo pericolo, pertanto, risiede nel fatto che la combinazione economico-produttiva possa venir meno tanto configurarsi una fattispecie di cessazione. Oltre a ciò, un altro effetto devastante concerne il depauperamento di know how, di capitale umano, che dovrebbe rigenerarsi e riconvertirsi verosimilmente in altri contesti produttivi. Nella situazione attuale, quindi, come ha suggerito Draghi, i prestiti a tassi zero, garantiti dallo Stato, devono servire, per superare questo momento di emergenza sanitaria. Si tratta di una scelta che presenta un duplice effetto positivo: sostenere le imprese e fornire le opportunità di consumo delle famiglie, le quali sono state garantite con altre specifiche misure. In altri termini, il binomio “produzione/consumo” deve andare di pari passo.

La logica del prestito a tasso zero deve essere però circoscritta a questa fase storica, nella quale le banche ricoprono il ruolo di mero trait d’union. In un momento successivo, esse dovranno ritornare a fare una valutazione del merito creditizio, perché dovremo finanziare quelle aziende che avranno sviluppato un modello di business chiaro, innovativo e in grado di superare la “tempesta”. La grande sfida che dovrà affrontare il sistema economico, una volta superata l’emergenza socio-economica causata dal COVID-19, sarà quella di finanziare le aziende in grado di creare valore sostenibile nel tempo. Un significativo rischio risiede nel non condurre una puntuale valutazione del merito creditizio ed erogare capitali di terzi ad aziende che probabilmente continuano ad implementare una formula strategica decotta e inadeguata a leggere gli andamenti e le tendenze del mercato.

La restituzione è prevista tra due anni.

Tale arco temporale appare congruo, per affrontare efficacemente gli effetti negativi dell’improvviso e inaspettato blocco produttivo e per consentire alle imprese di ripensare il proprio disegno competitivo. Oggi bisogna aiutare l’economia reale ed essere consapevoli che, una volta superata la tempesta, non si dovrà compiere l’errore di erogare risorse finanziarie “a pioggia”, senza un’analisi strategica approfondita del merito creditizio, perché si potrebbe innescare una crisi di tipo finanziario, a seguito dell’eventuale impossibilità del beneficiario di restituire il prestito ricevuto.  Come è stato già dichiarato da autorevoli uomini di stato, banchieri, premi Nobel per l’economia, questa iniezione di liquidità rappresenta una scelta obbligata ma, dopo la fase di grande criticità, bisogna ritornare a premiare l’operatore economico che verosimilmente sarà in grado onorare il debito contratto.

Anche perché il costo del lavoro viene già scaricato ampiamente sullo Stato

Sicuramente la CIG in deroga così come la proroga delle scadenze fiscali sono misure condivisibili, perché si deve dare respiro alla ripresa e creare le condizioni operative, affinché il “motore” produttivo italiano possa ripartire. Il Governo con quest’ultima manovra ha cercato di spalmare il più possibile nel tempo le scadenze e le correlate uscite finanziarie. Nella fase successiva, però, occorrerà premiare chi avrà la capacità di cogliere tempestivamente gli eventuali nuovi trend dei mercati di riferimento.

Lei che previsioni fa? Come cambierà il mercato?

L’epidemia sanitaria, provocata dal COVID-19, inevitabilmente lascerà un profondo segno, perché cambierà la prospettiva del consumatore riguardo agli acquisti. A titolo esemplificativo, si potrà risvegliare la shut-in economy, giacché molto di quello che siamo stati abituati a fare all’aperto, potremo farlo a casa. Cominciano a cambiare le aspettative e le modalità con le quali il consumatore si approccia al prodotto e al servizio finale. Le nuove tecnologie potranno fornire un ulteriore stimolo allo sviluppo di beni e servizi della shut-in economy. In questi giorni, abbiamo assistito tutti all’esplosione nell’uso delle application che consentono di effettuare l’acquisto di generi alimentari, direttamente da casa. Sarà questo un trend momentaneo? Sinceramente, credo che vi siano tutti i presupposti, affinché tale opzione possa essere recepita tra le nostre tradizionali modalità di acquisto.

Gli acquisti online sono schizzati del +80%

Superata la crisi, molte abitudini cambieranno. La catena di distribuzione e il negozio continueranno a percorrere la strada della spesa a domicilio. Gli imprenditori dovranno essere bravi ad osservare anche l’altra “faccia della medaglia”, perché potrebbero dischiudersi nuove opportunità. Focalizzando l’attenzione sull’acquisto dei beni essenziali, negli anni scorsi, si è assistito ad una crescita esponenziale della grande distribuzione organizzata a discapito talvolta del negozio di vicinato. Oggi, questa situazione emergenziale consente anche la valorizzazione del negozio di vicinato perché, ad esempio, grazie alla partnership con una società informatica esterna, anche di piccolissime dimensioni, tramite una propria application, vi potrebbero essere le condizioni per intercettare interessanti opportunità di mercato. Avendo un rapporto diretto, pur a distanza, il cliente e in particolar modo le sue abitudini di acquisto possono essere ampiamente monitorare, rispetto al passato.

Tante applicazioni, dall’orto a casa al delivery agricolo, erano molto sperimentali finora. Oggi questo segmento potrebbe produrre molte occasioni per chi sa commercializzare il prodotto.

Oggi, il c.d. “km zero” sarà realmente possibile, tanto da riuscire ad accorciare la filiera. Le attività imprenditoriali potranno scegliersi i loro fornitori, più prossimi in termini di distanza geografica, ed avere un rapporto continuativo con il cliente. Grazie agli applicativi sviluppati da numerosi partner informatici esterni, si possono elaborare numerosi dati, allo scopo di desumere un quadro informativo teso a migliorare la value proposition. Come in ogni crisi, anche questa che, ci ha toccato profondamente sul piano sociale ed emotivo, lascia intravedere aspetti positivi.

Questo vale per il settore agroalimentare, che è essenziale, come quello informatico e hi-tech. Però ci sono dei settori che potrebbero uscire con le ossa rotta. Quali sono oltre al tessile, turismo e ristorazione? Quali distretti potrebbero essere travolti dalla pandemia, professore?

In prima battuta, risponderei moda e turismo, perché sono letteralmente impossibilitati ad operare. Ragionando in una prospettiva meramente sociologica, oggi stiamo convivendo con significative e condivisibili restrizioni. Ma quante volte abbiamo detto in questi giorni nelle chat: non vedo l’ora di andarmi a fare una pizza o comprarmi un particolare vestito, nonostante quest’ultimo desiderio di acquisto possa essere soddisfatto da numerose application e market place virtuali? Ciò cosa vuol dire? In ambito internazionale, si sta cominciando ad investigare il fenomeno del revenge spending. In altre parole, è ragionevole ritenere che possa manifestarsi una sorta di “vendetta alla spesa”, allorché potremo riconquistare totalmente la nostra libertà di movimento. Non sarei eccessivamente deterministico ma la spinta all’acquisto potrebbe essere indotta da quell’aspetto sociologico connesso al “ritorno” alle proprie abitudini di convivenza sociale.

Almeno per i primi tempi, fino a quando non avremo il vaccino.

Certo, i ristoranti, gli alberghi, le attività congressuali dovranno sicuramente adottare misure di sicurezza, allo scopo di garantire la salute pubblica. Un’ondata di revenge spending è plausibile che si manifesterà, perché è elevata la voglia di ritornare a vivere le quotidiane esperienze di confronto nel proprio contesto sociale di riferimento.

Il presidente Conte ha fatto riferimento anche alle misure che il Governo attiverà per stoppare le scalate dei gruppi stranieri e le speculazioni azionarie alle nostre aziende di Stato. Quali sono i rischi?

Il rischio è altissimo. In effetti, i c.d.  “gioielli di famiglia”, ovvero “i fiori all’occhiello” dell’imprenditoria italiana, da Eni a Mediobanca,  hanno registrato significative riduzioni di valore. Ciò inevitabilmente può stimolare appetiti esterni, perché parliamo di campioni di eccellenza in vari settori produttivi, tra i quali l’Oil&Gas, l’aerospazio, la robotica, le nanotecnologie, per citarne alcuni. È più che mai importante salvaguardare questo nostro patrimonio imprenditoriale. Un altro tassello importante concerne il mondo della finanza nel quale, già in passato, siamo stati “terreno di conquista” di investitori stranieri. Lo Stato, pertanto, deve intervenire avvalendosi del golden power, laddove si configurino le necessità operative, perché occorre prevenire ed eventualmente contrastare possibili scalate ostili.

Quanto deve durare l’azione di golden power?

Deve durare per tutto il periodo in cui le nostre aziende possano essere soggette al pericolo di investitori stranieri. Gli Stati membri dell’Unione Europea, dalla Germania alla Francia, sono molto attenti a tenersi stretti le loro eccellenze. L’italianità deve essere difesa, perché si parla di grandi numeri, di miliardi di fatturato e di quasi 400mila dipendenti. Conservare e difendere un assetto proprietario italiano vuol dire salvaguardare il futuro dell’economia italiana.

In questi anni abbiamo assistito ad una delocalizzazione spinta per razionalizzare i costi del lavoro con la globalizzazione. Chiunque si faceva produrre il semilavorato o il prodotto finito in Cina o nel Sud Est asiatico. Tanti suoi colleghi economisti stanno sostenendo che le filiere si accorceranno molto, lei è d’accordo? O sarà compito dello Stato frenare le forniture troppo lunghe?

Condivido l’idea della filiera corta che, in questo momento, potrebbe rappresentare un “ritorno” alla  valorizzazione della territorialità e della logica distrettuale, tramite la ri-creazione di ecosistemi produttivi, caratterizzati non soltanto da asset materiali, ma altresì dalla contaminazione e scambio di saperi, oltre che di competenze. La globalizzazione spinta, se da un lato, ha portato benefici in termini di economie di scala, dall’altro, però ci ha spinto a trasferire know how piuttosto che ad arricchire significativamente quello esistente. L’emergenza epidemiologica, causata dal COVID-19, ha dimostrato che siamo arrivati ad un livello di globalizzazione così spinta che dalla Cina il virus ha coperto tutto il globo terrestre. La filiera corta potrebbe aiutare a limitare la rischiosità di natura esogena e, al contempo, a valorizzare il territorio, in termini di fonte del vantaggio competitivo aziendale.

Come riavviare la gestione caratteristica di ciascuna impresa? Pensa che ancora una volta la gestione finanziaria potrebbe avere un’impennata speculativa in alcune aziende? E quali saranno i rischi delle imprese quotate?

Ripensare la gestione caratteristica significa rivedere la value chain, per capire a monte e a valle come “accorciare” la filiera e limitare i rischi esogeni. Un altro aspetto interessante concerne le implicazioni che l’emergenza epidemiologica ha ingenerato sul piano organizzativo. Cambieranno le routine aziendali, lo smart working può rappresentare una grande occasione, per riorganizzare la tecnostruttura e per stimolare il livello di creatività del capitale umano.

L’azienda però deve sempre migliorare le sue tecniche e i propri modelli di mitigazione del rischio. La possibilità di migrare gradualmente il modello organizzativo verso lo smart working deve essere attentamente vagliata, nell’ottica di affrontare con efficacia la correlata problematica inerente alla sicurezza delle reti. È fondamentale intercettare le opportunità implicite all’adozione di una soluzione organizzativa innovativa ma bisogna altresì salvaguardare i dati aziendali, c.d. sensitive, allo scopo di favorire la creazione di contesti operativi, diffusi in termini spaziali, ma oltremodo “vicini”, in termini operativi.

Da alcuni informazioni bancarie abbiamo saputo che pochissime imprese meridionali hanno fatto richiesta di riconversione delle proprie linee produttive per la produzione di articoli sanitari. Le tute protettive per il 90% arrivano dalla Cina. Lei che ne pensa?

Condivido appieno. Nel momento più critico dell’emergenza epidemiologica, l’Italia ha dimostrato di essere davvero un grande Paese, una grande comunità coesa soprattutto dal punto di vista della solidarietà. Al riguardo, gli esempi di comportamenti socialmente responsabili delle imprese sono stati numerosi. Abbiamo dimostrato al mondo intero quanto sia grande il sistema valoriale delle imprese di questo Paese. Un brand su tutti: Armani ha riconvertito alcune linee di produzione, per realizzare camici monouso da devolvere alle strutture sanitarie regionali e nazionali. Le aziende italiane, di qualsiasi dimensione, hanno dimostrato di aver sviluppato un notevole livello di interconnessione con il tessuto sociale.

I comportamenti socialmente responsabili delle imprese, però, presentano tratti distintivi ben differenti dalla mera riconversione. Al riguardo, viene da pensare come mai la scelta di riconvertire, tutto o parte, del portafoglio prodotti non sia stata fatta prima dell’emergenza epidemiologica, provocata dal COVID-19? Verosimilmente, l’azienda non era dotata di adeguate fonti del vantaggio competitivo, per concorrere e misurarsi in queste arene.

Il soggetto economico deve seguire ed essere guidato dalla propria vocazione imprenditoriale. La dinamica congiunturale deve essere intercettata e valorizzata, purché l’azienda disponga di un patrimonio di competenze adeguate e duttili, per porre in essere un processo di riconversione. In estrema sintesi, la vita di un’azienda non può dipendere o essere ricondotta alle capacità di “cavalcare” un trend e di intercettare un’opportunità episodica o di natura congiunturale.   

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