Antonio, da cameriere a homeless a causa del covid sino al lieto fine

by Andrea Giotta

C’è un cuore che batte, nel cuore di Roma. Nei visceri della capitale, agli argini del fiume Tevere, ai piedi di Castel Sant’Angelo, tra un ponte e l’altro, c’è una distesa di tende. Ognuna di esse contiene esseri umani con una storia da raccontare, fatta di emarginazione e dimenticanza, ma anche di sentimenti, pensieri e voglia di ricominciare.

Una di queste è quella di Antonio, un trentottenne, ritrovatosi improvvisamente  a vivere per strada. Fino a pochi mesi fa Antonio conduceva una vita ordinaria, da 5 anni aveva lasciato la Puglia, sua terra nativa per lavoro. Svolgeva la mansione di cameriere presso un ristornate romano fino a quando, a causa della pandemia globale, questo ha chiuso, licenziandolo.

Da quel momento si è aperto un nuovo capitolo nella vita di Antonio che ha dovuto arrangiarsi per vivere.

Ma riavvolgiamo il nastro e vediamo come tutto ha avuto inizio, ed è proseguito, dalle parole dello stesso Antonio, rintracciato da bonculture.

Come  sei diventato un senza tetto?

“Fino a prima della pandemia ero un cameriere, purtroppo non mi erano riconosciuti i contributi assicurativi e così con la chiusura del locale sono stato licenziato”.

Una volta senza lavoro cosa hai fatto?

“Ho cominciato a pagarmi una camera in affitto. Successivamente non sono riuscito a sostenere le spese e così, nel mese di settembre, ho comprato una tenda, che è diventata la mia casa. L’ho posizionata sul lungotevere, dove ahimè ve ne sono altre”.

Da settembre per Antonio è iniziata una nuova vita, che mai avrebbe pensato di condurre.

Ponte Milvio, Ponte Sisto, Ponte Vittorio Emanuele. Tappe obbligate, veri e propri conduttori di una città frenetica, che corre e che porta a alzare gli occhi al cielo per i suoi tantissimi monumenti.

Ma a volte bisogna anche abbassare lo sguardo.

“I ponti sono i punti del lungotevere più ambiti – spiega Antonio – perché c’è copertura in caso di pioggia, ma una volta occupati gli homeless, o barboni, come sono volgarmente etichettati, devono subire le intemperie. Al di sotto dei ponti, sotto il livello del suolo, a pochi metri dal continuo fluire dell’acqua c’è una città sotterranea, dimenticata.

 In questa nuova vita ho subito conosciuto un amico. Lo chiamano tutti Vasco, per la sua forte somiglianza con il cantante Vasco Rossi, è pugliese come me, abbiamo subito fraternizzato, aiutandoci a vicenda”.

Tra una visita guidata, un angelus di Sua Santità, un cambio della guardia al Vittoriano, si scandiscono le giornate romane. Ma la vita di chi un tetto non lo possiede, come si articola?

“Al mattino, quando Roma si sveglia – racconta Antonio-  andavo al Vaticano dove potevo usufruire di un servizio docce, istituito recentemente da Papa Francesco, per aiutare i senza dimora. Avendo un forno da campeggio cercavo poi  del cibo così da scaldarlo ed evitare di andare nelle mense per bisognosi. Nell’arco della giornata si riesce, se si è fortunati, a mangiare una volta, o a pranzo o a cena. Poi cala la notte, la parte più difficile del vivere per strada.

Bisogna essere sempre all’erta, occorre dormire con un occhio aperto. Si corre sempre il rischio di essere aggrediti o derubati.

Tra grida e  provocazioni, che sono frequenti, non devi mai dimostrarti un debole, altrimenti ti mettono i piedi in testa. Se lasci anche  un paio di scarpe fuori dalla tenda c’è il rischio di non trovarlo più. Una vita pesante, traumatizzante che ti porta a vedere cose brutte. Tra tutte ne ricordo una.

Una mattina, insieme a un vigile urbano, fermai una persona che stava tentando di lanciarsi nel Tevere, non so per quale motivo, ma appena la vidi mi precipitai per evitare il peggio. Io mi ritengo fortunato a essere stato all’interno di una tenda perché ci sono molte persone il cui unico riparo è un insieme di cartoni o un sacco a pelo, che non proteggono dal freddo della notte”.

Qual è stata la tua paura più grande nel periodo in cui hai vissuto per strada?

“Ho temuto di non risollevarmi più e di non uscire più da questa situazione in cui ero piombato. A volte la vita, così come nel mio caso, ti sfugge di mano, devi essere tenace per risalire e rialzarti altrimenti poi è dura.

Così come improvvisamente Antonio si è ritrovato senza nulla, altrettanto d’improvviso si è accesa la luce che lo ha salvato.

Una mattina il giornalista Lino Lombardi era venuto sul lungotevere per fare un servizio sulla situazione dei senza dimora. Così è venuto vicino alla mia tenda e ho accettato di essere intervistato, ho pensato che sarebbe stato un modo per dare voce alla situazione in cui ero”.

Una volta terminata l’intervista, Antonio non avrebbe mai immaginato quello che, di li a poche ore sarebbe accaduto. La  voce di Antonio, trasmessa da un notiziario nazionale, entra in casa di due amici di infanzia, che, non senza qualche dubbio la riconoscono e si danno subito da fare.

Ringrazierà per sempre il dottor Lombardi e i due miei amici di infanzia che, essendo vicino Roma, sono subito mobilitati per aiutarmi.

Di qui una catena solidale. I due amici vanno a trovare Antonio, subito dopo parte una raccolta fondi sui social che, in poche ore, sensibilizza cuori di tutta la Penisola, raccogliendo una somma importante. Antonio non è più in strada, ma da qualche giorno, grazie all’aiuto degli amici, alloggia in un bed and breakfast di Roma.

Mentre parla con noi Antonio sta raggiungendo Vasco, il suo vicino di tenda, sta andando da lui per portargli qualcosa da mangiare, ma soprattutto per portargli una cosa che non si può comprare né si può produrre in laboratorio, ma che ha  una potenza fuori dal comune: il conforto.

Il legame tra i due, dimostra come anche in situazioni di difficoltà estrema, può nascere una grande amicizia.

“Il Tevere negli ultimi giorni ha straripato prosegue Antonio, è ancora molto alto, e chi era sugli argini è stato costretto a spostarsi, Vasco è ora sugli scalini, quasi all’altezza del manto stradale. La pioggia entra nelle tende e logora coperte e cartoni. Nelle scorse notti, quando pioveva, non riuscivo a dormire. Il rumore della pioggia mi teneva sveglio, mi faceva ricordare quando ero in tenda, e questo ricordo mi fa pensare a tutti coloro che sono in queste condizioni. Vivere per strada da un lato ti insegna molto, ma dall’altro ti procura dei traumi, delle preoccupazioni”.

Il desiderio di Antonio è ora quello di aiutare chi è nelle condizioni in cui lui stesso è stato, pertanto lancia un appello per aiutare Vasco che, dopo 15 anni di vita per strada, forse, sensibilizzato da quanto accaduto al suo amico,  potrebbe terminare di vivere di vagabondaggio e cercare un lavoro. “Farebbe qualsiasi mansione, in tutta Italia. Mi piacerebbe che un imprenditore o un datore di lavoro non passasse indifferente davanti alla sua storia. Nella sfortuna sono stato fortunato, mi sento un privilegiato, vorrei fare qualcosa per gli altri, restituire ciò che di buono ho ricevuto. Mi piacerebbe creare un’associazione di inclusione sociale. Chi vive in strada deve essere aiutato anche a reinserirsi nella società, riacquisendo una posizione e un lavoro, in base a ciò che sa fare meglio”.

Quello che più ha colpito Antonio è stata l’indifferenza dei passanti,  che, incuranti dei barboni, guardano e passano senza fermarsi. “A volte anche un “come stai?” una parola di conforto può aiutare, e tanto.

Bisogna andare oltre le apparenze, dietro un homeless c’è una storia, in molti casi anche molto profonda e carica di significato. Spesso, un luogo comune etichetta il barbone come un avvinazzato, come qualcuno che non vuole lavorare, in realtà così non è”.

La storia di Antonio, per citare un testo di Venditti, va dritta dalla pelle al cuore. Ma essa è l’emblema di una condizione  che molti ignorano, ma presente e anzi sempre più diffusa.

“Ricordati di me, questa sera che non hai da fare, mentre la città è allagata da questo temporale”. Recita così l’inizio di un indimenticato brano del cantautore romano uscito nel 1988. Il ricordo di chi è solo, il dedicare del tempo, va oltre una donazione, che è altresì importante, ma saper ascoltare chi non è ascoltato, dare voce a chi l’ha persa, confortare chi ha perso la speranza, sono tutti degli argini per cercare di ricominciare e far ricominciare.

Chi grazie a un notiziario, ha riconosciuto Antonio dalla voce, si è ricordato di lui e lo ha voluto portare via dal temporale ideale che stava attraversando sono stati due amici di infanzia.

Uno di loro ha accettato di raccontare la sua testimonianza a bonculture.

“Per puro caso, dato che non seguiamo particolarmente i notiziari, ci è stato comunicato della situazione del nostro amico. Inizialmente increduli, pensavamo fosse uno scherzo, poi riconoscendo la voce, abbiamo capito che si trattava di Antonio. Personalmente ho pianto, mi si è gelato il sangue”.

Cosa avete deciso di fare, una volta appurato che fosse il vostro amico?

 “Mi sono confrontato con un altro amico che, come me vive nel Lazio, e non abbiamo perso altro tempo, volevamo tirare fuori Antonio da quell’incubo, da quella situazione, perché non lo merita, così come non lo meriterebbe nessun altro essere umano. Capisci dell’esistenza di queste situazioni solo quando le tocchi con mano perché diversamente le ignoreresti o non te ne rendi conto della loro esistenza. Ci siamo quindi recati sugli argini del Tevere. Pioveva, abbiamo percorso cinque kilometri a piedi, passando in rassegna ogni tenda presente, ma di Antonio nessuna traccia.

Ci siamo bagnati dalla testa ai piedi, il nervosismo si stava impossessando di noi, una serie di emozioni e pensieri contrastanti accompagnavano il nostro incedere.  A un certo punto siamo rientrati in macchina, ma non accettavamo di darci per vinti, così ci siamo rimessi alla ricerca. Mancavano le ultime 4 tende.

Ci siamo sgolati chiamando per nome il nostro amico. Ad un tratto è uscito dalla tenda un signore che ci ha chiesto cosa volessimo, era Vasco. Avevamo capito di avercela fatta. Dopo aver visto che qualcosa nella tenda accanto a quella di Vasco si muoveva, finalmente abbiamo visto Antonio. Una volta salutatici e guardatici negli occhi lo abbiamo spronato a vestirsi e a venire con noi a prendere un caffè.

Successivamente è partita casualmente una raccolta fondi, perché abbiamo capito che le nostre forze, da sole, non bastavano. La raccolta è volta a soddisfare le sue esigenze”.

Ora Antonio dorme in un bed and breakfast e  ha lavorato come magazziniere presso una ditta di enogastronomia romana, a breve farà anche una prova da addetto alle consegne. Un ragazzo umile e perbene, così lo definisce uno dei due amici che lo ha aiutato a venire fuori da un temporale passeggero che deve essere tale anche per i tantissimi senza dimora che da Milano a Palermo, all’ombra di un cartone, in una tenda o all’interno di un sacco a pelo, vivono l’abbandono e la solitudine.

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