“Beni confiscati e narrazioni della società civile: la Puglia di Emiliano deve costruire il network dell’antimafia sociale”. L’augurio 2021 di Leonardo Palmisano

by Antonella Soccio

“La pandemia ci dà la possibilità di cambiare l’economia, in modo che sia sganciata da ricette a spezzatino: pensare di riavviare solo dei settori invece di altri è una pia illusione. Già prima l’economia non andava bene, i dati del Pil pro capite e dell’occupazione in Puglia erano molto inferiori rispetto alla media nazionale. I massicci investimenti in turismo e agricoltura nelle due province bersaglio della Puglia, il Salento e la Capitanata, non hanno prodotto i numeri che ci si attendeva, perché mantengono tassi di occupazione giovanile e femminile molto bassi e Pil al di sotto della media regionale. Serve ora un sistema economico regionale integrato, con un ri-orientamento dell’investimento pubblico, che favorisca l’imprenditoria giovanile e creativa e che mantenga qui il valore aggiunto, ma produce allo stesso tempo occupazione in Puglia”.

A parlare è il docente, sociologo, imprenditore e romanziere Leonardo Palmisano, che ha vissuto il 2020 da protagonista con le elezioni regionali e nella costruzione del programma di Michele Emiliano nel Pd di Bari e che è stato spesso artefice di duri botta e risposta antimafia con gli amministratori pugliesi, primo fra tutti l’unico sindaco di centrodestra di un capoluogo pugliese, Franco Landella.

“La crisi ci pone di fronte ad un bivio, di fronte alla diversificazione sociale che abbiamo vissuto negli ultimi anni e ad un inasprimento della condizione sociale in questo anno pandemico- spiega a bonculture- La politica oggi non ha gli strumenti per comprendere cosa sta accadendo, sta tornando prepotentemente il primato economico che si riafferma con due tendenze. La prima è quella monopolistica, la seconda quella localistica ma che guarda al mercato globale. Noi dobbiamo essere bravi a seguire questa seconda tendenza. Con LegalItria abbiamo tenuto un festival che non era più territorializzato, abbiamo offerto un prodotto culturale in chiaro con gli strumenti tipici dell’informazione del nostro tempo, che sono i social network. Abbiamo trovato un pubblico internazionale interessato, dal Canada, dall’Australia, un potenziale bacino assai più allargato delle edizioni in presenza”.

La pandemia ha accresciuto la voglia di contenuti gratuiti, pochi sono disposti a pagare per leggere o per vedere un contenuto di qualità, come superare questo gap?  

Io penso che il sistema politico regionale debba sostenere le realtà, debba supportare coloro che producono contenuti di qualità free. Quei contenuti che trattengono valore aggiunto in Puglia e che creano occupazione. Noi abbiamo assunto altre 4 persone per seguire le dirette ed è stata una occupazione di grande qualità, abbiamo chiamato il meglio dell’audiovisivo pugliese. 150mila persone hanno visto le nostre dirette, una comunità molto molto ampia, più ampia di un festival in presenza. Ecco perché il Pubblico deve cominciare ad investire in tutto quello che è free e di qualità. Lo facciamo col canone Rai, è tempo che lo si faccia anche per le piattaforme, i siti. Del resto lo si è sempre fatto con le tv private nazionali e locali, è tempo che si trasferiscano queste prassi su internet.

Questo però non significa certo foraggiare realtà che copia incollano comunicati istituzionali o che sono semplici casse di risonanza di gruppi organizzati…

Io credo che vada fatto ordine nelle priorità: serve un innalzamento del pubblico, ma occorre anche educare il pubblico ad acquistare alcuni contenuti ed è qui che deve agire la politica. Alcuni contenuti potrebbero stare nel mercato dell’audiolibro, ad esempio, come hanno fatto in Svezia, dove alcuni libri, finanziati dal sistema pubblico sono letti da attori. Lo stesso vale per la costruzione di software. Io penso che la Puglia debba migliorare la sua rete infrastrutturale hardware fatta di porti ed aeroporti, ma debba anche creare delle server farm, che se sono pubbliche è meglio, che sappiano mettere in rete contenuti, gestire la creazione di brevetti.

Che pensi dell’accordo tra Emiliano e il M5S? E qual è il tuo giudizio sulla Giunta regionale?

Ho difficoltà ad esprimermi sul M5S, votano gli atti dell’amministrazione Emiliano ma non ne sono ancora entrati e non sono convinto che entreranno, ci sono dei passaggi traumatici che potrebbero non voler attraversare. In più oggi il Governo nazionale non gode di buona salute. È difficile dare un giudizio sull’operato della Giunta Emiliano: è nata dentro la fase più acuta del Covid e della crisi sociale ed è normale che ci sia oggi un primato di Emiliano e Lopalco, anche a livello mediatico, che oscura tutto il resto. Credo si sia mosso bene l’assessore all’Agricoltura Pentassuglia e sono curioso di vedere come affronterà il problema Xylella così come sono anche curioso sulle politiche dell’assessorato al welfare, visto anche quello che sta accadendo a Foggia.

In che senso?

Penso si debba costruire una pianificazione lunga sull’antimafia sociale. Se ci sono dei fondi, va costruito un percorso politico con la presidenza della Regione, andiamo ad aggredire in termine di prevenzione- visto che non è una procura- i contesti mafiosi, attraverso l’uso dei beni confiscati.

Eppure il bando di antimafia sociale pugliese è stato abbastanza rivoluzionario, non credi?

Sì, alcune amministrazioni che sono capofila in quel bando stanno lavorando anche se con qualche ritardo. Penso che quel bando possa essere ulteriormente utilizzato, legando ad esempio il sostegno alla formazione professionale di soggetti svantaggiati all’uso effettivo del bene confiscato. Ha senso per me che intorno al bene confiscato se è di natura agricola siano formate delle persone che producano agricoltura. Se il bene è un capannone, ha senso formare delle persone a fare manifattura, se il bene è un immobile, ha senso formare delle persone ad utilizzare uno spazio di co-working. Una eventuale seconda ondata di bandi di antimafia sociale, andrebbero ottimizzati in questi termini. Fatto l’elenco che serve, che ancora preciso non c’è, dei beni confiscati Comune per Comune, si può intervenire sul bene e sulle persone in base alla qualità del bene confiscato per produrre attività.

Qual è la migliore esperienza di gestione di bene confiscato al di là di quelle cerignolane di cui si parla sempre?

Non le conosco tutte, mi sbilancerei molto. Però posso dire che dove io sono coordinatore del cantiere, a Triggiano, stiamo lavorando per la costruzione di un protocollo per i panificatori, per il pane dell’antimafia, scritto dai bambini di Triggiano. Nonostante la distanza, che nega la possibilità di fare animazione sociale in un certo modo, c’è un livello di consapevolezza nell’infanzia. Abbiamo trovato una disponibilità sia nell’amministrazione sia nel mondo produttivo locale. Il pane dell’antimafia sta per diventare un prodotto tipico, abbiamo bisogno di costruire un Puglia qualcosa che spezzi l’egemonia criminale nell’economia.  

Il caso Foggia è quello più eclatante in Puglia e a livello nazionale. Il 2020 era cominciato a gennaio con la marcia dei 20 mila di Libera per le strade della città, tutti avevano/avevamo grandi speranze, poi il Covid ha rattrappito tutto. Che percezione hai, la pandemia cosa è stata e cosa ancora è per le mafie e per la Società foggiana?

È stato un grande business per le mafie, è stato un business perché hanno ripreso a portare la droga a casa, è stato un business con l’usura, sono entrati nel sistema di welfare, in alcuni casi anche favoriti dagli amministratori locali. Però la risposta delle procure è stata molto efficace, la risposta su  Foggia ha dello straordinario, DecimAzione uno e bis cominciano a rivelare l’esistenza di interessi comuni di apparati amministrativi ed apparati mafiosi. Manca ancora il pezzo robusto della società civile, però si sta muovendo. Il posto dove la società civile ha tardato a nascere in modo preciso è Foggia, ma la risposta che sta dando la città negli ultimi mesi è importante, ma non va politicizzata. La società civile foggiana non è uno strumento di partito, si deve tradurre in uno strumento culturale. Va bene se si cominciano a fare delle produzioni culturali che raccontano la mafia foggiana. E se ne fanno tante, ma se ne devono fare di più.

Anche se a parte i tuoi libri, quello dell’ex questore Silvis e il libro di Foschini, dal basso, dal territorio, ci si è cimentati poco nella fiction.

Ne ho diversi di libri scritti nei decenni da autori foggiani, quello che forse è mancato- e l’ho detto a produttori culturali foggiani ed editori- è la connessione con altri territori di Puglia.

Noi stiamo provando a costruire una ipotesi di rete regionale del racconto delle mafie. L’idea migliore è quella del network, che non è un network antimafia, ma un network editoriale, che si dia un sostegno, perché spesso quando cominci a raccontare delle cose in alcuni territori rischi che qualcuno ti faccia saltare in aria. Stiamo cercando di costruire una rete di carattere regionale apertissima, dove ciascuno fa il suo e sostiene l’altro e in questo momento di grande reciprocità dei contenuti questo diventa positivo, senza farci concorrenza inutile al ribasso. Dobbiamo colmare il vuoto di racconto.

Mi ha sempre colpito, tranne che per rarissimi casi ma sempre per eventi o fatti già molto noti (come il bel monologo di Stefano Corsi su Giovanni Panunzio), l’assenza di teatro civile e di narrazione sui fatti di mafia in Puglia e in particolare in Capitanata. Ci sono state ordinanze e ci sono situazioni che rappresenterebbero una miniera per il teatro, c’è ancora troppa paura a parlarne o forse si ritiene siano poco interessanti o quelle storie non abbiano la dignità di salire sul palco?

Forse c’è una sottovalutazione, io faccio sempre l’esempio di Toti e Tata e di Gennaro Nunziante, che nel pieno dell’egemonia criminale a Bari di Parisi loro si inventarono una fiction che andava su una tv locale e che si chiamava il Polpo e che faceva il verso agli atteggiamenti criminali di Bari Vecchia. Ecco credo che oggi queste cose vadano messe in rete, di carattere regionale e di tutela. Se escono 5 libri sulla mafia foggiana scritti da foggiani, come Radici Future siamo disposti ad organizzare a Bari 5 presentazioni, una per ogni libro. Se qualcuno poi a Foggia i teatri li vuole dare anche alle compagnie per parlare di mafia e non solo per le feste di laurea sarebbe un bel segnale. Esiste il TPP, ma esiste anche la possibilità di dare un indirizzo alle politiche culturali regionali. Quando incontrerò l’assessore Bray gli chiederò di sostenere quelle produzioni che vadano verso il racconto delle mafie nelle loro diverse forme. È giusto che si sappia che esistono le mafie pugliesi ed è giusto che la produzione culturale teatrale, cinematografica, letteraria si cimentino anche su questo, nelle diverse forme che sapranno e riusciranno ad individuare. Bisogna produrre delle cose che raccontino in modo diverso la ferocia delle mafie. Possono produrre anche lavoro, pensiamo alle fiction campane, come La Squadra, per poi arrivare a Gomorra. Hanno prodotto tanto lavoro: raccontare le mafie da punti di vista diversi porta risultati, lo stiamo vedendo con i romanzi e con i saggi, i dati di vendita sono più che gratificanti. Raccontarle a teatro, raccontarle in tv, con documentari, al cinema è importante. Qualcuno lo ha anche fatto, pensiamo a La capa gira di Alessandro Piva. Le storie mafiose sono anche le nostre storie, perché incrociano le nostre vite, sono storie di questo territorio. Su queste storie si possono imbastire narrazioni che stanno sul mercato. Il fatto che la Puglia legga poco non favorisce la costruzione di un pensiero che proceda in modo dialettico. Ho spesso detto che noi che scriviamo di mafie pugliesi non ci frequentiamo molto e forse questo è un problema. La Regione dovrebbe consultarci e obbligarci a stare insieme, come ha fatto col comitato scientifico antifascista, servirebbe un comitato regionale antimafia fatto di narratori, esperti, saggisti. Alla fine chi se ne occupa nello specifico siamo noi, ci conosciamo. Per promuovere delle costruzioni narrative che alimentino la conoscenza dei fenomeni mafiosi, anche a più mani, sarebbe interessante. E non sarebbe la prima volta in Italia, ma sarebbe la prima volta in Puglia. Questo potrebbe essere un compito della agenzia per l’antimafia regionale, o dell’osservatorio che sarà. Noi lo facciamo con LegalItria con i libri, ma potremmo pensare ad una cabina di regia della narrazione antimafiosa regionale. Vedo in questo il futuro della Puglia: una Puglia che non mente a se stessa ma fa una efficace operazione di verità e lo fa attraverso le sue teste migliori.

Ultima domanda: cosa ti aspetti dalla sinistra pugliese e qual è il tuo augurio per il 2021?

Io mi sto impegnando all’ipotesi di una corrente di sinistra interna al Pd intorno a Gianni Cuperlo. Io credo che la sinistra abbia due strade davanti a sé: una è l’antagonismo fuori da una ipotesi di governo ed è rappresentata da Potere al Popolo e l’altra è una sinistra interna al Pd ma che sia una sinistra larga nella società.

Non ti interessa la costruzione di un contenitore a sinistra del Pd? Avendoci militato la consideri una esperienza chiusa?

No c’è spazio per fare la sinistra rossoverde, i risultati elettorali sono deludenti.

La performance di Puglia Solidale e Verde, che sembrava ed era molto forte per la presenza di grosse personalità, ha deluso purtroppo.

In Emilia Romagna hanno preso meno che in Puglia, io li avevo sottostimati e non pensavo che sfiorassero la soglia di sbarramento: avendo conosciuto dall’interno i dispositivi elettori che si mettono in moto nei confronti della sinistra, avevo intuito la loro performance. Quell’esperienza non mi interessa più. Non ha molto senso costruire qualcosa che se si vuole governare deve muoversi dentro un quadro interno al Pd, preferisco costruire la sinistra del Pd. Se ci sarà spazio lo vedremo di volta in volta, ma voglio dare il mio contributo.

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