Buon centenario

by Roberto Pertosa

Capita sempre che quando il talento è assente ci si aggrappa, inventandole, a questioni “tecnico-normative” per tentare di dimostrare maldestramente che un qualsiasi progetto proposto non risulta realizzabile, che contrasta la normativa vigente.
Si fa riferimento a fantomatici DPP approvati, e considerati definitivi, di altrettanto fantomatici PUG ancora da approvare, si viene accusati addirittura, e paradossalmente, di poca conoscenza delle regole, peraltro da “tecnici” che altro non sono che “ragionieri” che usano “l’architettura” come fosse un pallottoliere (e anche impropriamente), e che considerano il progetto architettonico come una mera e inutile esercitazione progettuale.
Un grandissimo collega di Firenze, Architetto di fama internazionale con cui ho lavorato per molti anni, affermava che quando gli capitava, per qualche assurda coincidenza, di confrontarsi con i “tecnici” gli sembrava che gli rubassero qualcosa, intendendo che gli rubassero la nobiltà della figura dell’architetto che lui, come me, considerava assoluta e intoccabile, avendone costoro, purtroppo, la medesima titolarità.

Ma, facendo di mestiere l’architetto, io purtroppo produco progetti di architettura.
Con questo apparentemente banale assunto voglio dire che quando mi capita di lavorare al di fuori dei confini, vengo chiamato Architetto. E quello che i “tecnici” definiscono una “esercitazione progettuale”, nei contesti in cui lavoro e in cui si produce Architettura, lo definiscono invece progetto architettonico (forse utilizzando una definizione ardita per certi ambiti culturali?).
Per cui è molto avvilente pensare di “svolgere la professione” senza aver mai prodotto un progetto di architettura o, nel caso, con un approccio che non prevede affatto la contemplazione del Metaprogetto, e di tutta la fase metaprogettuale, termine astruso sconosciuto ai più, e soprattutto che non contempli addirittura un Progetto che interpreti in maniera assoluta un’idea e un concept. I miei maestri questo mi hanno insegnato, e sinceramente trovo perfino imbarazzante doverlo specificare.

Ma veniamo al “tecnico”, ambito in cui costoro si trovano a loro agio…
Mi piacerebbe conoscere, perché sembrerebbe che mi sia sfuggito qualcosa, la norma del fantomatico PUG, non ancora approvato, che impedisca, ad esempio, e venendo al dunque, la pedonalizzazione di Piazza Cavour a Foggia e zone limitrofe, oggetto di una certa “esercitazione progettuale”. Perché, se così fosse, ma mai potrebbe esserlo, si potrebbe comprovare in maniera piuttosto banale come questo aspetto sia facilmente “plasmabile”, sia tecnicamente, e sia perché le regole si fanno comunque sempre in funzione delle esigenze degli uomini, e le fanno gli uomini allo scopo di creare spazi i cui unici fruitori sono gli uomini stessi. L’ABC dell’architettura.
Detto questo, è piuttosto ovvio che tale approccio sia ben oltre le capacità soprattutto culturali, purtroppo, del nostro contesto. Infatti, per intraprendere questa tortuosa strada c’è bisogno, ahimè, di protagonisti all’altezza e illuminati…

Piuttosto sarebbero da analizzare altri aspetti che investono l’approccio culturale della stessa popolazione nei confronti della città. Quando ci si lamenta del degrado, dell’immobilismo, della mancanza di bellezza, non si è in grado di comprendere come tutto dipenda drammaticamente dai singoli stati di mediocrità di ciascuno degli stessi protagonisti, inconsapevoli, dello scontento, che assemblati insieme producono un irreversibile stato diffuso di inettitudine. Le città sono semplicemente l’espressione dei cittadini che le abitano.

Come quando si elogia, in modo a volte buffamente campanilistico, la città con i suoi singoli e molto spesso insignificanti contesti, in questo specifico caso la stessa piazza Cavour, come se fosse uno “straordinario” esempio di “architettura” ignorando che si tratta (piazza Cavour) di un impianto morfologico che di “storico” ha ben poco, se poi di impianto si può parlare, e anche piuttosto banale.
Che le sue tracce storiche sono tutt’al più da recuperare addirittura dalla transumanza (unico aspetto davvero rilevante, si consideri la sua valenza in qualità di attraversamento del tratturo Foggia-Ofanto), e che si tratta di un non-luogo privo di rilevanza urbana intesa come luogo urbano deputato alla vivibilità, alla percorrenza e alla contemplazione.
Che non possiede alcuna caratteristica che possa fare riferimento al ruolo di Piazza come un vero luogo deputato all’incontro, inteso terminologicamente come luogo “domestico”.
Che la fontana del Sele non ha valenza artistica, per quanto immeritatamente vincolata, o valenza storica nel senso stretto del termine, ma esclusivamente simbolica e per giunta in tal senso acquisita, essendo solo un calco in cemento posizionato esclusivamente allo scopo di rappresentare l’inaugurazione di un’altra opera pubblica, e che poi sarebbe stato demolito o, nel migliore dei casi, isolato in altri luoghi circoscritti.
Essa infatti rappresentava all’epoca, in tale occasione, solo l’elemento visibile di un’opera ben più importante quale era l’acquedotto pugliese.
E che il Pronao è un’espressione neoclassica di scarsissima valenza realizzata in una epoca in cui il neoclassicismo era ormai stra-defunto nel resto del mondo, ma ritenuto uno stilema culturalmente opportuno e adeguato come evidente e stantia espressione “celebrativa” legata a certe “associazioni” insieme a tutto l’impianto assiale monòtono della villa comunale, allineato alla fontana stessa, il quale impianto ha perso totalmente da tempo, se mai l’abbia posseduto, il suo ruolo obsoleto di “passeggiata novecentesca” che andrebbe ormai ridecodificato in chiave contemporanea. Campa cavallo…

Per cui, in mancanza di veri contesti strutturati e valenti, in presenza di stratificazioni evidenti e gravemente frammentate, è necessario creare nuovi e risolutori contesti di riconnessione, seppure futuristici, visionari, dirompenti, volutamente dirompenti, che forse lasciano perplessi per la loro caratterizzazione. Ma questa è una scelta, certamente contestabile, ma è una scelta.

Detto questo, il valore simbolico di tutto il contesto descritto è comunque importante per quello che rappresenta per i cittadini, e per tale motivo andrebbe appunto valorizzato con interventi che permettano di “isolarlo”, intendendolo depurato definitivamente dall’accerchiamento dei mezzi veicolari, e allo stesso tempo “amplificarlo” in proporzione all’importanza che i foggiani gli attribuiscono, sempre però con un approccio intellettuale, ormai necessario e inevitabile, che non può certo essere ricercato in quelle trasparenti figure che svolgono l’imbarazzante compito di deprimenti custodi di pallottolieri. Ed è proprio qui il problema, che presumo irreversibile in questi ambiti socio-culturali…

Ficcatevelo in testa. Gli Architetti, ma solo quelli che producono Architettura, sono e devono essere profondi conoscitori della società, e questo implica una conoscenza talmente ampia dello scibile da farli considerare degli illuminati. Ma questa rarissima malattia purtroppo non è contagiosa, ma è un vizio congenito che si tramanda solo in famiglia.

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