Camilla, Maria Chiara, Francesco. La città perbene e quella per male sono la stessa città

by Enrico Ciccarelli

Ritengo necessario tornare sulla vicenda di Camilla Di Pumpo. Essendo un essere umano e un cittadino di Foggia, pagherei per potermi limitare al dolore, allo sdegno, al compianto. Ma sono un giornalista, e sono tenuto a fare molta attenzione ai punti critici e alle contraddizioni della posizione alla quale mi sento vicino. Lo specchio deformante della sofferenza che vibra nelle parole dei familiari della vittima e del suo compagno Mario Aiezza non può che destare comprensione e rispetto, ma rischia di fuorviarci. Anche un articolo splendido come quello di Alessandro Galano su Foggia Città Aperta, che chiama giustamente a complici dell’accaduto altri fenomeni deteriori di lungo corso presenti nella nostra comunità, anche le parole intense e degne di Modesta Raimondi ele riflessioni acute su facebook di una brava docente della nostra Università come Donatella Curtotti, possono non essere recepite nel modo secondo me corretto. Proprio come le dichiarazioni rese dall’avvocato Michele Sodrio, il legale di Francesco Cannone, il conducente dell’auto che ha causato la morte di Camilla, dichiarazioni che sommessamente ritengo in diversi punti offensive della sua e della nostra intelligenza, potrebbero indurci a negare la preziosa funzione che l’avvocato difensore deve svolgere, e le tutele legali e garanzie processuali a cui Francesco ha diritto al pari di chiunque.

Proviamo ad affidarci al corrimano di alcuni capisaldi: non esistono processi che si facciano a colpi di opinione pubblica e di social network. Sarà un processo basato su diritto e giustizia, speriamo tempestivo, a illustrarci le condotte dell’investitore. Saranno dei giudici a dover stabilire con l’aiuto di esperti e inquirenti, quale fosse l’andatura dell’auto investitrice, se il conducente avesse o meno diritto a guidare quell’auto, se prima di mettersi alla guida avesse bevuto (non sarà possibile farlo tramite l’alcool test, ma forse si potrà ricostruire dove e come abbia passato la serata con i suoi amici). Sarà sempre lo stesso processo a stabilire se vi siano state condotte imprudenti da parte della vittima (se indossasse o meno la cintura di sicurezza, ad esempio), perché è da questi elementi che scaturirà la definizione giuridica della condotta dell’imputato e le responsabilità di cui gli sarà fatto carico, con le relative sanzioni. E questo penso debba servire innanzitutto a ricordare a tutti che le regole –tutte- poste a tutela della sicurezza stradale non sono vessazioni di un qualche potere autoritario ma elementari cautele che è non solo dovere, ma interesse di tutti osservare. Questo appartiene al terreno dei fatti, che non è il caso di continuare a inquinare con gossip di varia dignità e conio, sui quali è meglio evitare di strologare senza cognizione di causa.

Poi c’è il terreno non meno importante dei simboli: non siamo andati in piazza a esprimere un semplice cordoglio per la morte di una giovane donna dal bel sorriso. Ci siamo andati per contrapporre un valore di comunità al deteriore valore della soddisfazione dei propri interessi o istinti. Abbiamo voluto fornire una testimonianza di empatia rispetto a uno Zeitgeist, uno spirito del tempo, che sembra invece privilegiare un isolamento edonista, un disperato e ridanciano nichilismo. Uno striscione molto bello e poetico, in piazza, diceva Camilla, figlia di tutti. Vero, verissimo. Il passaggio successivo, assai più amaro da digerire, cari concittadini, è che è figlio di tutti noi anche Francesco.

Non per precetto di fede: l’ovvietà che si tratti di un nostro fratello in Cristo scadrebbe in questo caso a stupido pietismo. È figlio nostro perché è figlio dei nostri errori, delle nostre mancanze, della nostra pigrizia. Badate, quando dico “nostro” non dico di noi Foggiani. Dico di noi Foggia perbene, per usare l’espressione della professoressa Curtotti. Di noi borghesia professionale, di noi classe dirigente e soprattutto di noi che dovremmo essere classe generale, avrebbe detto don Benedetto Croce. Perché la civiltà delle regole, quella in cui la libertà non diventa licenza e il potere non diventa arbitrio, ha lì il suo nocciolo duro, trova lì la forza di affermarsi ed imporsi rispetto alle antinomie e ai tumulti della vita associata.

Come ha reagito la Foggia perbene o presunta tale rispetto al crescere della Foggia per male, alla crescente disarticolazione del vivere civile, al disarmo dei presidi fondamentali della democrazia (dal voto all’informazione, dalla politica alla formazione)? In parte approfittando del malaffare o venendo a patti con esso; in parte ritraendosi nei propri sancta sanctorum, nelle isole felici della cultura e delle belle arti, in parte rifugiandosi in spazi privati di prospera tranquillità.

È così, grazie a questo, che la malapianta della città senza coscienza ha potuto svilupparsi, prosperare, arrivare a sembrare quasi maggioritaria, incombente, sovrastante. La città complice e assassina di cui parla l’articolo di Alessandro non è nata nel vuoto pneumatico, non è la colonia marziana sorta come un fungo al fianco delle nostre linde abitazioni immacolate: è il prodotto della nostra stupida illusione che la si potesse ignorare, che quei ragazzi imbecilli tutti velocità, cocaina e musica a palla potessero essere lasciati al loro destino.

Se abbiamo tollerato, a tratti addirittura incoraggiato l’impressionante degrado della nostra vita politica e della nostra rappresentanza istituzionale, se abbiamo permesso l’ingresso negli edifici della democrazia di individui che sarebbero stati respinti anche nella cantina di Mastro Minguccio, come credete che avremmo potuto impedire che la loro lunga ombra raggiungesse le nostre vite, che ghermisse i nostri figli?

E credete ora che la risposta possa essere l’invettiva? Che ci si possa saziare distribuendo patenti di disumanità più o meno attendibili? Immaginate che si possano erigere mura robuste e barriere all’interno delle quali preservare la nostra tranquilla e agiata superiorità? Spiacente, non funziona così. Se vogliamo fare qualcosa per Camilla e per quelli come Camilla, siamo tenuti a fare qualcosa per Francesco e per quelli come Francesco. Non per le due persone che essi sono state o sono, ovviamente: per il carico simbolico che essi hanno assunto in questa narrazione.

Perché non esistono la città perbene e la città per male: esiste solo la città, la nostra; e ci tocca farcene carico. Senza demonizzazioni più o meno insulse, senza difese d’ufficio più o meno penose. Siamo la città di Camilla, siamo la città di Francesco. E siamo una città con molti aspetti –negativi e positivi- simili ad altre. Solo che questa è la nostra. Mi farà molto piacere se gli abitanti di Toronto, di Forlimpopoli o di Timbuktù faranno cose egregie per le loro città; ma io sono di Foggia e mi preoccupo di quello che dobbiamo fare a Foggia. Magari anche copiando da Toronto, Forlimpopoli e Timbuktù.

Perché siamo anche la città di Maria Chiara. Sì, Maria Chiara Giannetta, orgoglio foggiano non per aver portato gli scagliozzi sul palco dell’Ariston, e nemmeno per il commovente discorso sulla cecità e l’intelligente divertissement del dialogo con le canzoni. Per essere una ragazza che ha trovato qui, in quel Teatro dei Limoni che riscuote da anni la mia incondizionata ammirazione, una culla accogliente per le sue passioni e il suo talento. Per non essersene accontentata, per avere spinto a livelli più alti la sua determinazione e la sua ambizione, per essersi fatta un mazzo così  ed essersi realizzata a livelli piuttosto alti senza –almeno così mi pare- essere molto mutata dalla intelligente, semplice e bella ragazza di provincia che era.

Ora che abbiamo pianto per Camilla, ci siamo indignati per Francesco e abbiamo applaudito Maria Chiara, che ne pensereste se ci decidessimo a dare un destino, un futuro, un percorso ai tanti Francesco e alle tante Camilla e Maria Chiara che non conosciamo? Possiamo immaginare di farlo ovunque, ma ci tocca farlo qui; potremmo farlo in qualsiasi momento, ma ci tocca farlo ora. Scusate se vi ho preso più di sei secondi.

You may also like