Cerignola, nuovo scioglimento di un Consiglio comunale: s’agisce solo sulle manifestazioni sintomatiche della patologia mafiosa?

by Felice Piemontese

Lo scioglimento dei consigli comunali conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento della criminalità organizzata è un istituto figlio di quella che comunemente in campo giuridico è chiamata “legislazione d’emergenza”. Si tratta di quella serie di provvedimenti legislativi che lo Stato, più o meno dal 1974, ha emanato per fronteggiare prima i fenomeni eversivi legati ai cosiddetti anni di piombo e, successivamente, alla criminalità organizzata.

Si tratta di una legislazione che incide fortemente sui principi di costituzionali di democraticità e sovranità sospendendo quegli organi eletti dal popolo e sanzionando tutte quelle situazioni, non necessariamente rilevanti ai fini penalistici, che compromettono l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione o che, peggio ancora, arrecano un grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.

L’attuale disciplina normativa confluita nell’art. 143 del Testo Unico degli Enti Locali (d.lgs. n. 267/2000) è la conseguenza dei precedenti interventi normativi che hanno visto il loro culmine con il decreto legge 31 maggio 1991, n. 164, che prevedeva per la prima volta una disciplina specificamente dedicata allo scioglimento di interi collegi elettivi interessati da infiltrazione e condizionamento da parte della criminalità organizzata. Una disciplina dettata principalmente dai feroci omicidi di stampo mafioso verificatisi il 3 maggio 1991 a Taurianova, in provincia di Reggio Calabria. Si trattava del cosiddetto “venerdì nero” di Taurianova che vide l’omicidio di quattro persone rappresentanti di famiglie tra loro rivali (la testa di una delle vittime fu oggetto di un macabro gioco a pistolettate dopo essere stata mozzata con un coltello) e che, successivamente, fece emergere il coinvolgimento anche di esponenti politici ed amministratori locali.

Un venerdì nero, seppur non così cruento sotto l’aspetto di sangue, è segnato nella nostra terra dal venerdì 17 luglio 2015. Un venerdì in cui il Consiglio dei Ministri ha deliberato lo scioglimento del Consiglio Comunale di Monte Sant’Angelo conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. Si trattava del primo scioglimento in Provincia di Foggia che opera in base a questa specifica disposizione di legge.

Ciò che è successo dopo quel venerdì è ormai noto: i ricorsi degli ex amministratori di Monte Sant’Angelo vengono rigettati sia dal TAR che dal Consiglio di Stato; nel 2018 si procede allo scioglimento del Consiglio Comunale di Mattinata, scioglimento quest’ultimo, che viene confermato dal TAR nel 2019, lo stesso anno si insediano le commissioni di accesso (commissioni che hanno il compito di istruire la relazione prefettizia che dal Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica viene trasmessa al Ministero dell’Interno con una eventuale proposta di scioglimento da deliberare in Consiglio dei Ministri prima della firma del relativo decreto di scioglimento da parte del Capo dello Stato) a Manfredonia e Cerignola. Poco meno di 48 ore fa il Consiglio dei Ministri delibera lo scioglimento del Consiglio Comunale di Cerignola e l’affidamento della sua gestione ad una commissione straordinaria che, con tutta probabilità, si insedierà già nelle prossime ore in attesa della firma del decreto presidenziale.

Lo scioglimento di Cerignola (e lo scioglimento, semmai dovesse avvenire, di Manfredonia) rappresenta però qualcosa di diverso. A differenza di Monte Sant’Angelo e Mattinata si tratta di un comune molto più grande, uno dei comuni della cosiddetta Pentapoli di Capitanata. Gli esempi di casi riguardanti Comuni così vasti si contano facilmente: si ricordano per esempio nel 2018 Vittoria (Ragusa) e nel 2017 Scafati (Salerno) e Lamezia Terme (Catanzaro): tutti scioglimenti confermati poi dalla giustizia amministrativa.

Al netto però delle delle relazioni da leggere nel merito, dei ricorsi che quasi certamente saranno presentati dagli ex amministratori e degli eventuali decreti di incandidabilità che seguiranno e considerando l’attuale stato di applicazione della normativa in questione nei vari comuni italiani, è tuttavia doveroso effettuare almeno due considerazioni. La prima, di carattere strettamente giuridico, riguarda il fatto che sebbene come da ormai consolidate pronunce del Consiglio di Stato l’assunzione di tale provvedimento “non esige né la prova della commissione di reati, né che i collegamenti tra l’amministrazione e le organizzazioni criminali risultino da prove inconfutabili” essendo sufficienti “semplici elementi (e quindi circostanze di fatto anche non assurgenti al rango di prova piena) di un collegamento e/o influenza tra l’amministrazione e i sodalizi criminali”, parrebbe opportuna una rivisitazione completa della normativa attraverso la previsione di elementi maggiormente concreti e sindacabili nonché attraverso la previsione di un controllo anche su quella che dovrebbe essere l’attività di “bonifica” delle commissioni straordinarie e che, in non pochi casi, lasciano inalterato il quadro amministrativo previgente al momento dello scioglimento. Dovrebbe in poche parole risolversi il fatto che quasi nella totalità dei casi, all’allontanamento dalle scelte comunali del personale di livello politico che si assume condizionato, non segue mai un allontanamento per quanto riguarda il personale di livello amministrativo: dirigenti e funzionari comunali, nonostante lo scioglimento, restano infatti sempre al loro posto. La seconda considerazione, di carattere più morale, riguarda il fatto che lo scioglimento di un consiglio comunale per fenomeni di infiltrazione e condizionamento della criminalità organizzata agisce esclusivamente su una delle manifestazioni sintomatiche della patologia ma non cura la malattia a monte rappresentata dal radicamento della criminalità organizzata nel tessuto socio-economico della popolazione: per tale cura continuerà ad esserci bisogno di una più ampia e consapevole politica di diffusione della cultura della legalità partendo dal mondo della scuola e dell’associazionismo: non quella delle passerelle ma quella per esempio che a Monte Sant’Angelo vede più agenzie educative del territorio riunite in un Tavolo Permanente per la Legalità che è supportato, senza pretese di coordinamento, anche da un intero Consiglio Comunale rinnovato rispetto al passato. C’è bisogno di uno scatto d’orgoglio che al “fuggi da Foggia” preferisca un “resto a Foggia” fatto di capitalizzazione di tutti i buoni esempi che le nuove generazioni possono offrire a questo territorio in un momento in cui il crollo di intere classi dirigenti e politiche deve necessariamente rappresentare esclusivamente un passaggio di consegne obbligato e non più procrastinabile.

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