“Cogliere nella ‘distanza’ una modalità innovativa, rispondente ai personali ritmi di apprendimento degli studenti”. La pedagogista Barbara De Serio spiega la Dad ai genitori

by Michela Conoscitore

Il mondo, negli ultimi mesi, sta vorticosamente cambiando a causa dell’impatto che la pandemia da Covid-19 sta esercitando sulla società e sulle varie comunità umane. Una di queste è sicuramente la scuola, forse quella più colpita perché a causa degli ostacoli creati dalla diffusione del virus, sono venute a mancare le basi su cui si fonda: le interazioni sociali, tra alunni e con i docenti.

Le varie misure di contenimento del patogeno hanno portato sempre più in primo piano il ruolo della Didattica a distanza nel processo educativo odierno che viene mediato dalle strette maglie del distanziamento sociale. Quando il cambiamento investe un ambito così vicino al quotidiano di tutti, è necessario che qualcuno traduca e spieghi i nuovi mezzi attraverso i quali, come nel caso della scuola, essa si è trasformata, analizzandone anche le differenti peculiarità.

bonculture ha intervistato la professoressa Barbara De Serio, pedagogista montessoriana e docente in Storia della pedagogia presso l’Università degli Studi di Foggia:

Professoressa De Serio qual è la sua riflessione, da pedagogista, sulla recente chiusura delle scuole in Puglia?

Mi verrebbe da dire ‘come un fulmine a ciel sereno’, ma sappiamo tutti che la situazione era tutt’altro che serena. Certamente la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado pone all’attenzione una questione più considerevole, dal momento che coinvolge, oltre agli adolescenti, una fascia d’età più bassa e più sensibile nei confronti dei processi di socializzazione, che insieme alla scolarizzazione hanno un ruolo assolutamente imprescindibile nel percorso di crescita e di costruzione dell’identità personale e sociale dei bambini e delle bambine. Mi chiede una riflessione personale. Credo che la complessità della situazione emergenziale sia connessa, e in parte rimandi, ad un altrettanto complesso dilemma, quello tra istruzione e salute. Difficile dire dove sarebbe più giusto che pendesse l’ago della bilancia; sono entrambi due bisogni fondamentali dell’essere umano, cui tutti i documenti e le convenzioni internazionali sulla tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza fanno da sempre riferimento e l’uno, in teoria, non può escludere l’altro. Sarò, forse, impopolare, ma credo che la scelta di chiudere le scuole in Puglia sia stata dettata proprio dall’esigenza di salvaguardare entrambi i diritti. Certo, poi pesa la lettura di articoli sul web che riportano riflessioni e domande dei più piccoli, che continuano a chiedere a mamma e papà il motivo della nuova chiusura delle scuole, dal momento che loro a scuola sono sempre stati bravi, hanno rispettato tutte le regole che in coro, ogni giorno, ripetevano ad alta voce insieme ai maestri e ai compagni, hanno sempre indossato le mascherine e non si sono alzati dal banco neppure per andare a temperare una matita. Allora la domanda nasce spontanea, tra l’amarezza di non riuscire a garantire ai nostri figli il diritto alla frequenza scolastica e il timore che tentativi ingenuamente negazionisti della pandemia, che operano in direzione di una riapertura delle scuole, possano portare, paradossalmente, alla negazione di entrambi i diritti presi in considerazione poc’anzi: è davvero questa la scuola che vogliamo? Una scuola che opprime e che costringe a stare immobili e seduti al proprio posto e a non accettare che un bambino divida con il proprio compagno di banco la sua merenda? Io, da mamma, me lo chiedo tutti i giorni.

L’ambiente classe e il rapporto diretto con il docente non si possono ricreare con la DAD: quali sono gli aspetti positivi o più importanti che l’insegnamento in presenza esercita sull’apprendimento?

Sono a tutti noti, e scientificamente consolidati, gli studi di settore che riconoscono alla didattica in presenza il potere di contribuire in massima parte, rispetto agli altri apprendimenti, alla costruzione della dimensione relazionale della personalità infantile. Non a caso la scuola viene definita palestra di socializzazione, luogo in cui si impara a convivere con gli altri in un contesto che è, o dovrebbe essere, assolutamente facilitante per lo sviluppo delle abilità sociali e per il consolidamento del pensiero critico, che matura dalla ricchezza del confronto con l’altro e dallo scambio costruttivo con punti di vista diversi dai propri. Lei sostiene, presumo provocatoriamente, che l’ambiente classe non si possa ricreare con la didattica a distanza. In realtà oggi si parla, non a caso, di didattica digitale integrata, che include e, appunto, integra, accanto ai momenti a distanza, fondati sul digitale, anche quelli in presenza. Trovo importante l’uso corretto e pertinente dei termini, soprattutto in ambito pedagogico-didattico, quando in gioco è la formazione dell’umanità futura, che da adulti – genitori ed educatori – siamo tutti chiamati a garantire e nei confronti della quale siamo tutti ugualmente responsabili. Da pedagogista aggiungo che trovo significativo il riferimento al concetto di integrazione, che fa leva sulla creazione di un setting scolastico tutt’altro che ‘distante’ dai bisogni di socializzazione dei bambini, a prescindere dall’età; una didattica a distanza quale ‘parte’ della didattica integrata, e non escludo che possa essere letta in questi termini la didattica alla quale si sta facendo ricorso in questo periodo, dal momento che si tratta, in ogni caso, di una scelta limitata alla specifica situazione emergenziale che stiamo vivendo. Tornando alla sua affermazione iniziale, sulla difficoltà di ricreare un rapporto diretto tra studenti e docenti nella didattica a distanza, posso assicurarle che c’è una vasta letteratura scientifica che dice esattamente il contrario e che dimostra che la didattica a distanza, se progettata ed erogata secondo un criterio di qualità, può addirittura supportare e migliorare la relazione formativa, ad esempio, abbattendo delle barriere che, paradossalmente, in presenza sono talvolta più accentuate ed evidenti: si pensi alle difficoltà emotive e di espressione dei bambini più timidi, che hanno spesso delle resistenze ad intervenire e a condividere il proprio punto di vista in presenza del grande gruppo.

Secondo lei, la DAD promuove negli alunni una maggior responsabilizzazione nell’organizzazione della propria giornata scolastica?

Bella domanda. Dipende dall’età degli studenti. Da studiosa del pensiero pedagogico montessoriano posso certamente dirle che apprezzo, promuovo e sostengo tutte le strategie didattiche in grado di facilitare negli studenti l’esercizio dell’autonomia e della libera organizzazione del lavoro scolastico, e la didattica a distanza è sicuramente tra queste. Si pensi agli adolescenti e alla necessità, in un periodo come quello che stiamo attraversando, in cui non è stato ancora disposto un altro vero e proprio lockdown – da alcune categorie professionali, peraltro, mai realmente sperimentato – di dover gestire i collegamenti in autonomia, senza il supporto degli adulti, spesso assenti per lavoro. Nel caso dei bambini della scuola primaria, con particolare riferimento a quanti frequentano il primo ciclo dell’istruzione, il discorso cambia. Non parlerei, in quel caso, di responsabilizzazione nell’organizzazione della giornata scolastica, nonostante i docenti, oggi sempre più qualificati sul piano didattico e relazionale e più competenti in ambito digitale, possano fare tanto in tal senso; certamente, anche nel caso dei bambini più piccoli, la didattica a distanza agevola e migliora, in termini di autonomia, le competenze digitali, considerando che siamo di fronte a “nativi digitali” senza precedenti.

Di contro, si potrebbero riscontrare poca motivazione e scarso interesse: i docenti e le scuole come possono ovviare a questi lati negativi della DAD che vanno ad influire sul rendimento scolastico?

Con un utilizzo competente della didattica a distanza si può decisamente ovviare al rischio della bassa motivazione allo studio da parte di bambini e adolescenti, nonché degli stessi docenti, per i quali la padronanza delle metodologie di didattica a distanza può corrispondere, proporzionalmente, con la motivazione e con l’efficacia dell’intervento. Gli ‘aspetti negativi’ della didattica a distanza – come lei li definisce – possono dipendere prevalentemente dall’incapacità dei docenti di utilizzare in modo consapevole le nuove tecnologie. Occorrerebbe, dunque, investire sulla formazione delle competenze dei docenti, che non dev’essere più, come si è soliti dire, ‘a macchia di leopardo’, ma dev’essere un diritto-dovere di tutti gli insegnanti. Non è un caso che nei più recenti corsi di formazione iniziale dei docenti uno spazio importante venga riservato alle TIC e non possiamo non riscontrare che, con riferimento alle precedenti esperienze di didattica a distanza, realizzate sempre durante il periodo di emergenza sanitaria, ancora in corso, la maggior parte delle scuole ha risposto prontamente e positivamente a questa sfida didattica. Ovviamente in questa sede non sto tenendo conto delle scuole in cui, per diversi motivi, i risultati positivi della didattica a distanza non sono stati raggiunti.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi della Didattica a distanza?

Credo vada detto, preliminarmente, che di solito spaventa e non viene accolto positivamente ciò che non si conosce. E credo vada considerato il fatto che la didattica a distanza, in realtà, non sia sufficientemente conosciuta e, soprattutto, praticata, salvo che in condizioni limitate e circoscritte ad alcune emergenze. Questo, ovviamente, rischia di produrre false credenze, se non, addirittura, stereotipi e pregiudizi. Possiamo discutere, allora, di vantaggi e svantaggi della didattica a distanza, a patto di fare i conti con questa consapevolezza. In ogni caso, in generale, io annovererei tra gli svantaggi tutti quelli connessi al digital divide e alla povertà educativa.

Sono ancora tanti, infatti, i bambini che non possono fruire della didattica a distanza per mancanza di strumentazione, reti e competenze di vario tipo. Un altro svantaggio, come già detto, è quello legato al problema della relazione educativa, se la didattica a distanza è priva di progettualità e intenzionalità. Numerosi, però, i vantaggi, tra cui la formazione, nelle giovani generazioni, di un pensiero reticolare, che consente loro di migliorare le proprie competenze digitali e di utilizzare il web come strumento di condivisione, oltre che di formazione, nonché la possibilità di agevolare la “dilatazione” dei tempi di studio, soprattutto nel caso degli adolescenti, che grazie alla didattica a distanza, ripeto, vengono maggiormente responsabilizzati nella gestione degli apprendimenti individuali e nell’organizzazione del tempo scolastico, potendo in tal modo fruire anche di processi di insegnamento-apprendimento in contesti informali e secondo modalità non tradizionali. Certamente, se dovesse rimanere l’unica forma di didattica non riusciremmo a cogliere i vantaggi che invece si manifestano maggiormente laddove la didattica a distanza diventasse realmente una didattica integrata, in grado di arricchire e ampliare la didattica più tradizionale, in presenza.

La Didattica a distanza quale fascia d’età della popolazione scolastica impoverisce maggiormente?

Sicuramente la prima infanzia, quindi i bambini non ancora pienamente autonomi nella gestione dei compiti di studio e del carico didattico, che hanno spesso bisogno di essere completamente supportati nei collegamenti e nelle operazioni digitali richieste dalla didattica a distanza, con conseguente disagio anche dei genitori o degli adulti che si occupano di loro. Va messo anche in conto, in questo caso, il disagio emotivo che i bambini del primo ciclo di istruzione vivono a causa della carenza del contatto fisico con i compagni e con le maestre. Anche in questo caso, da montessoriana, ci tengo a sottolineare che, soprattutto nei primi anni di vita, gli apprendimenti sono sensoriali, per cui occorre assolutamente incentivare tutte le occasioni di apprendimento in cui le conoscenze siano guidate dai sensi e grazie a questi interiorizzate. La relazione e la socializzazione sono, ovviamente, al centro dei riflettori. Il problema che i bambini del primo ciclo di istruzione pongono ai maestri e alle maestre davanti allo schermo di un computer è proprio quello di non poterli ‘abbracciare’: “maestra io ti voglio toccare” – si sente ripetere spesso – e questo è decisamente un limite della didattica a distanza, che rischia di rallentare, almeno in parte, il processo di acquisizione e consolidamento di alcuni apprendimenti infantili.

Tra le altre infanzie che la didattica a distanza rischia di impoverire vi sono i bambini stranieri, che vivono una condizione di doppia fragilità legata anche alla scarsa padronanza della lingua del paese ospitante, i bambini con bisogni educativi speciali e quelli in condizioni socio-economiche fragili, che spesso non possiedono una connessione internet, e questo rischia ovviamente di ingigantire gli scompensi sociali e le condizioni di emarginazione culturale di cui queste infanzie sono già in parte vittime. Nella programmazione e organizzazione di una didattica a distanza di qualità occorre dunque assicurarsi che all’appello rispondano tutti i bambini, soprattutto quelli che rischiano di rimanere ai margini.

La scuola occupa una porzione consistente nella vita dei ragazzi: quali consigli vorrebbe dare da pedagogista ai genitori ora che i ragazzi sono nuovamente a casa?

Direi loro di essere costruttivi rispetto a questa diversa modalità di fare scuola, per aiutare i loro figli a fronteggiare consapevolmente e senza particolari ansie il cambiamento e accogliere quanto di positivo ci può essere nelle esperienze “critiche”. Preciso, a tal proposito, che la pedagogia legge la “crisi” in modo positivo e propositivo, in quanto strumento di tras-formazione e attribuzione di senso agli eventi e alla capacità personale di reagirvi. Occorrerebbe poi collaborare con la scuola per rendere quanto più possibilmente autonomi i bambini, liberi anche di sbagliare per apprendere dai propri errori, nell’ottica di quella dimensione resiliente ed empowered che oggi più che mai dovrebbe accompagnare i percorsi di formazione e di crescita. In ogni caso, da mamma lavoratrice, conosco altre ansie che accompagnano i genitori, oltre alla gestione dei ritmi della didattica a distanza dei propri figli, difficile anche per chi riesce a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro, in ogni caso appesantiti dal ritmo frenetico della piena ripresa delle attività.

Molti genitori, accanto all’impossibilità, spesso, di rimanere a casa con i figli durante l’orario scolastico, sottolineano il disagio di doversi improvvisare nel ruolo di maestri senza averne le competenze. Perché non pensare in questo caso, compatibilmente con la disponibilità dei genitori, di coinvolgere maggiormente le famiglie in un lavoro di collaborazione con la scuola e di co-progettazione dei percorsi di didattica integrata? La provocazione, che mi auguro venga accolta, è quella di valorizzare un lavoro di rete che possa portare a rafforzare il sistema formativo con la presenza delle famiglie, al di là delle specifiche condizioni emergenziali. Perché non prevedere, ad esempio, nell’ottica della formazione per tutti e per tutta la vita, dei percorsi di formazione e/o aggiornamento delle competenze digitali dei genitori, oltre che dei maestri e degli studenti? È o non è l’istruzione il vero bene economico e sociale di un Paese?

Dato che l’andamento della pandemia è imprevedibile, quali saranno le conseguenze a cui i ragazzi potrebbero andare incontro dopo lo scorso anno scolastico già vissuto in questa modalità se il periodo in DAD si protrarrà nei prossimi mesi?

Fare i conti con la consapevolezza che esistono altri modi di fare scuola, oltre a quello tradizionale, significa, come già detto, considerare anche le tante barriere alla formazione per tutti e per tutta la vita. Penso, dunque, a questo aspetto come ad una primissima emergenza da valutare qualora l’utilizzo della modalità della didattica a distanza dovesse protrarsi nel tempo. Resta altrettanto chiaro il principio secondo cui i disagi legati alla fruizione della didattica a distanza da parte dei bambini e degli adolescenti sono direttamente proporzionali alla nostra capacità di tranquillizzarli – siamo tutti, a vario titolo, educatori – fornendo loro le chiavi di lettura necessarie per cogliere proprio nella ‘distanza’ una modalità innovativa per fare didattica, spesso più rispondente ai personali ritmi di apprendimento degli studenti. Ciò perché, ci tengo a ribadirlo, riconoscere alla didattica a distanza i vantaggi che merita significa investire in una scuola più orientata a riprogettarsi continuamente, in risposta ai bisogni formativi del territorio e delle nuove generazioni, nella consapevolezza, imprescindibile, della centralità che le competenze digitali ormai rivestono nel processo di insegnamento-apprendimento, in quanto competenze strategiche e trasversali.

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